T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6114

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente nel 2003 ha iniziato a collaborare con le DD.DD.AA. di Reggio Calabria e di Genova rendendo ampie e dettagliate dichiarazioni auto ed etero accusatorie, contribuendo all’accertamento dei fatti di cui si era reso responsabile, fornendo un dettagliata descrizione dell’attività illecita relativa ad un ingente traffico di stupefacenti posto in essere con soggetti legati ad una potente famiglia mafiosa calabrese. Inoltre, ha riferito in ordine alla criminalità organizzata che operava nelle province di Genova, La Spezia e Reggio Calabria.

Per l’attività collaborativa prestata gli sono state riconosciute le attenuanti speciali previste per i collaboratori di giustizia e, nel maggio del 2006, è stato ammesso al programma speciale di protezione per anni due.

Con nota dell’aprile 2008 la D.D.A. di Reggio Calabria ha espresso

parere favorevole ad una fuoriuscita del programma, tenuto conto che gli impegni giudiziari del F., almeno in primo grado, risultavano definiti. Parere analogo hanno espresso la D.D.A. di Genova (con nota del 30.5.2008) e la Procura Nazionale Antimafia (con nota in data 28.6.2008).

Pertanto, la Commissione centrale ha emesso il provvedimento impugnato, del quale, a parere del ricorrente, non si comprendono le ragioni effettive.

Peraltro, sempre a parere del ricorrente, il procedimento seguito dalla Commissione Centrale sarebbe gravemente illegittimo, in quanto nessuno lo ha informato, con il necessario preavviso, dell’avvio del procedimento, consentendogli di formalizzare un documentato e concreto progetto di reinserimento socio – lavorativo.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso il provvedimento impugnato:

a) violazione degli artt. 7, 8 e 10 bis della l.n. 241/90; eccesso di potere: – la disciplina contenuta nel d.l. n. 8/1991, va coordinata con quella contenuta nella legge n. 241/1990, in quanto all’interessato al procedimento va garantito di conoscere l’esito del procedimento, di estrarre copia degli atti, di prendere contatti con il responsabile del procedimento ed esercitare tutti i diritti previsti dagli artt. 9 e seguenti della legge n. 241/1990; – infatti, l’art. 13 della legge n. 241/90, non può essere interpretato nel senso che l’interessato non debba essere messo nelle condizioni di conoscere e di intervenire nel procedimento; – risulta, altresì, violato l’art. 10 bis della citata legge n. 241/1990 che prevede l’obbligo per l’Amministrazione di dare all’interessato, prima dell’adozione del provvedimento definitivo di rigetto, il relativo preavviso, al fine di consentire all’interessato medesimo di poter eventualmente controdedurre attraverso il deposito di memorie e documenti;

b) violazione degli artt. 9, 10, 11, 12 della l. 241/90, eccesso di potere: – per gli stessi motivi suesposti, la procedura seguita dalla Commissione centrale ha violato anche tutta la normativa sul diritto all’accesso e sulla facoltà di partecipare che la legge riserva al soggetto interessato, in particolare quando dall’adozione dell’atto derivano gravi ripercussioni; – per quanto, poi, attiene alla materia relativa alle sovvenzioni, contributi e sussidi, di cui all’art. 12 della legge n. 241/90, è evidente che l’applicazione della deroga di cui al citato e successivo articolo 13 della stessa legge, non può operare nel momento in cui è stata già deliberata la cessazione del programma di protezione, in quanto tale deroga non sarebbe più giustificata, nè sul piano normativo che da mere ragioni di opportunità e quindi discrezionali;

c) violazione dell’art. 13 quater, comma 1, l.n. 82/91, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità per contraddizione con atti provenienti dalla stessa: – se l’interessato fosse stato edotto della facoltà di partecipare ed intervenire al procedimento, avrebbe potuto produrre la documentazione, memorie, deduzioni in merito ai procedimenti penali a suo carico, che non si sono ancora definiti;

d) violazione dell’art. 10, commi 14 e 15 del d.m. n. 161/2004, eccesso di potere per difetto di istruttoria: – la Commissione centrale, senza mettere l’interessato nelle condizioni di poter interloquire sul punto, ha ritenuto di erogare per la capitalizzazione delle misure di assistenza economica una somma pari all’importo dell’assegno dì mantenimento erogato per la durata di due anni (il minimo previsto dalla normativa al riguardo); – se l’interessato fosse stato messo nella condizione di conoscere l’esistenza del procedimento di capitalizzazione, avrebbe prodotto idonea documentazione relativa a concreti progetti di reinserimento sociolavorativo; – la somma quantificata è inidonea a permettere il reinserimento del ricorrente in una località dove lo stesso sceglierà di vivere, luogo che, per ovvie ragioni di sicurezza, necessariamente dovrà essere diverso da quello dove viveva prima della scelta collaborativa; – con la somma messa a disposizione con la capitalizzazione, lo stesso potrà godere al massimo di un alloggio idoneo per qualche anno, e non potrà avviare una attività lavorativa.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8); – il provvedimento di modifica o di mancata proroga delle speciali misure di protezione può prevedere, per agevolare il reinserimento sociale degli interessati, la capitalizzazione, in tutto o in parte, delle misure di assistenza, con l’eventuale prosecuzione delle misure di protezione; è sempre fatta salva la facoltà di adottare misure tutorie in occasione degli impegni processuali inerenti alla pregressa collaborazione o testimonianza rese dall’interessato; per tali finalità, possono essere garantiti, inoltre, gli interventi di tipo assistenziale strettamente collegati, compresa l’assistenza legale (comma 14); – la capitalizzazione delle misure di assistenza economica di cui al comma 14 avviene, con riferimento ai collaboratori della giustizia, mediante l’erogazione di una somma di denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento, erogato per la durata di due anni; la capitalizzazione può essere riferita ad un periodo fino a cinque anni, in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento sociolavorativo; alla somma a titolo di capitalizzazione si aggiunge l’importo forfetario di 10.000 euro, rivalutabile secondo gli indici ISTAT, quale contributo per la sistemazione alloggiativa; i predetti criteri si applicano anche a tutti i nuclei familiari inseriti nel programma di protezione; la capitalizzazione può essere riferita ad un periodo fino a dieci anni per i testimoni di giustizia, sempre in presenza di un concreto e documentato progetto di reinserimento sociolavorativo; la Commissione centrale può comunque deliberare misure straordinarie anche di carattere economico eventualmente necessarie per il reinserimento sociale del collaboratore, del testimone e delle altre persone sottoposte a protezione.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

4. Ciò posto, vanno considerate infondate le censure avanzate dal ricorrente per le ragioni di seguito indicate.

4.1. Vanno, anzitutto, disattese le censure aventi ad oggetto il presunto mancato rispetto delle regole partecipative in quanto la giurisprudenza, in tema di partecipazione ai procedimenti di cui al D.L. n. 8/1991, ha affermato che l’art. 10, comma 2ter, L. n. 82 del 1991 comporta l’esclusione dalla partecipazione al procedimento amministrativo, estrisencantesi nella cognizione di atti, degli accertamenti e verifiche poste in essere dall’Amministrazione o dei contributi di altri partecipanti e nella possibilità di interloquire in contraddittorio (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006). Più in particolare, è stato precisato che la conoscenza degli atti afferenti ai procedimenti di competenza della Commissione istituita dall’art. 10, L. n. 82 del 1991, salvo l’esternazione dei provvedimenti finali nei limiti consentiti dalla norma, resta limitata ai soli soggetti preposti alla trattazione e, ove sia stata apposta classifica di segretezza, in possesso di apposito nulla osta (n.o.s.), corrispondente al grado di classifica dell’atto, rilasciato dall’Autorità Nazionale di Sicurezza (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7387 del 13122006).

Del resto, l’articolo 13 della legge n. 241/1990 stabilisce chiaramente l’inapplicabilità degli artt. 7 e ss. della medesima legge ai procedimenti di cui al d.l. n. 8/1991.

Peraltro, nella fattispecie l’interessato risulta aver partecipato al procedimento, tanto da aver prodotto una nota in data 8.8.2008 con la quale ha espresso le ragioni per le quali sarebbe stato inopportuna la sua fuoriuscita dal programma

4.2. Per quanto concerne il merito delle determinazioni assunte dall’Amministrazione, va considerato che, nel caso di specie, la Commissione centrale ha assunto le proprie decisioni partendo dal presupposto che l’interessato era stato ammesso al programma speciale di proiezione nella seduta del 3 maggio 2006 e che il programma era scaduto il 3 maggio 2008.

Pertanto, non si è assistito alla revoca di un programma in corso di svolgimento, perché la Commissione centrale ha correttamente verificato la sussistenza dei presupposti e delle condizioni utili per la prosecuzione del programma, adottando gli atti conseguenti al suo venir meno.

Dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione al caso di specie – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale (che recano l’indicazione di atti, fatti e circostanze, sostanzialmente, non contestati dalla parte ricorrente che, invece, ha contestato le valutazioni e le conseguenze che dagli stessi ha fatto scaturire l’Amministrazione procedente) – risulta che: – con nota del 22 aprile 2008 la D.D.A. di Regio Calabria ha espresso parere favorevole in ordine ad un’ipotesi di fuoriuscita dal programma, tenuto conto che gli impegni giudiziari del Francese, almeno in primo grado, risultavano definiti; – con nota del 30 maggio 2008 la D.D.A. di Genova ha espresso analogo parere; – la Direzione Nazionale Antimafia, con nota del 28 giugno 2008, ha espresso parere favorevole per l’eventuale cessazione del programma, in relazione alla sostanziale conclusione degli impegni giudiziari del F. dinanzi all’Autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

Il Collaboratore, con nota in data 8 agosto 2008 ha rappresentato l’inopportunità di uscire dal programma, in ragione del lungo periodo di detenzione da espiare ed ha chiesto l’estensione delle misure in favore della compagna (BEN Said Wafaa) e dei figli (LAHLOUMI Badreddine, LAHLOUMI Fatinia Ezzahara e LAHLOUMI Mohamed Amine).

Sulla base di quanto rappresentato dalle competenti DD.DD.AA. e dalla Direzione Nazionale Antimafia, la Commissione centrale ha correttamente ritenuto non accogliere le istanze dell’interessato. Infatti, a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, le misure di protezione possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione all’attualità del pericolo; alla gravità del pericolo e all’idoneità delle misure adottate; alla condotta delle persone interessate; all’osservanza degli impegni assunti a norma di legge. Mentre, riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate.

Nella fattispecie, non sono state evidenziate particolari ragioni di pericolo a giustificazione della permanenza delle speciali misure di protezione, se si considera che il Servizio Centrale di Protezione, con nota del 7 luglio 2008, ha comunicato che appaiono infondati i pericoli paventati dal Collaboratore per la figlia "la quale conduce vita serena nella collocazione familiare in cui è inserita e nell’ambito scolastico, come riferito dai servizi sociali competenti".

4.3. Per quanto concerne, infine, la quantificazione della misura economica finalizzata al reinserimento sociale dell’interessato – oltre all’importo forfetario di 10.000 euro, rivalutabile secondo gli indici ISTAT, quale contributo per la sistemazione alloggiativi (del quale non si fa cenno né nel provvedimento impugnato, né nel ricorso introduttivo del giudizio) -, come sopra precisato al punto sub 3), la capitalizzazione delle misure di assistenza economica di cui al comma 14 dell’articolo 10 del D.M. n. 161/2004, avviene, con riferimento ai collaboratori della giustizia, mediante l’erogazione di una somma di denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento, erogato per la durata di due anni; la capitalizzazione può essere riferita ad un periodo fino a cinque anni, in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento sociolavorativo.

Il ricorrente ha lamentato di non aver potuto partecipare al procedimento e, conseguentemente, di non aver potuto produrre idonea documentazione relativa a concreti progetti di reinserimento sociolavorativo.

Tali censure appaiono infondate in quanto l’interessato risulta aver prodotto una nota in data 8.8.2008 (e, quindi, nel corso del procedimento), con la quale ha espresso le ragioni per le quali sarebbe stato inopportuna la sua fuoriuscita dal programma e, quindi, con la stessa (della quale la Commissione centrale risulta aver tenuto conto) avrebbe ben potuto produrre idonea documentazione relativa a concreti progetti di reinserimento sociolavorativo, al fine di ottenere misure di assistenza migliori.

Peraltro, neanche nel presente giudizio l’interessato ha fornito idonei elementi di valutazione al riguardo e ciò induce il Collegio a considerare, in ogni caso, irrilevanti le censure indicate, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 21 octies, comma 2, ultima parte, della legge n. 241 del 1990.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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