T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 11-07-2011, n. 6113

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 3.3.2008 il ricorrente è stato arrestato da militari in servizio presso la Regione Carabinieri Campania – Nucleo Operativo di Nocera Inferiore, per la presunta violazione degli artt. 110, 56 e 629, nn. 1 e 2, c.p., in relazione all’art. 628, co. 3, n. 1, c.p..

Avendo il ricorrente manifestato l’intenzione di collaborare con la giustizia, la DDA di Salerno ha avanzato proposta di ammissione alle speciali misure di protezione di cui al d.l. n. 8/1991.

In data 24.7.2008 la Commissione Centrale presso il Ministero dell’Interno ha deliberato l’applicazione delle misure di protezione ex art. 13 l.n. 82/1991 in favore del ricorrente, di Mara Spinelli e delle figlie Debora Mariniello e Morena Mariniello.

Successivamente, in data 21.4.2009, è stata notificata al ricorrente la delibera emessa in data 18.3.2009, con la quale la Commissione Centrale ha dichiarato cessati gli effetti del piano di protezione.

Ritenendo erroneo ed illegittimo il provvedimento indicato, l’interessato ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 9 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento contestando la violazione dell’art. 13 quater d.l. n. 8/1991, la carenza di motivazione, il difetto di istruttoria, ed il vizio di eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità, irrazionalità e sviamento.

In particolare, ha evidenziato che la Commissione centrale ha revocato le misure di protezione disposte in suo favore ed in favore dei propri familiari facendo esclusivo riferimento alla nota del 16.2.2009, con la quale la DDA di Salerno ha rappresentato una presunta incompletezza delle dichiarazioni rese dallo S.. Tale motivazione si presenta insufficiente e denota il mancato apprezzamento, in concreto, dei fatti da parte della Commissione centrale, la quale non ha eseguito alcun autonomo accertamento in merito alle circostanze evidenziate dalla DDA di Salerno.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991 e l’art. 11 del D.M. n. 161/2004, prevedono che quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell’autorità legittimata a formulare la proposta, la Commissione delibera, anche senza formalità e, comunque, entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove necessario, informazioni dal Servizio centrale di protezione di cui all’articolo 14 del D.L. n. 8/1991 o per il tramite di esso.

La richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all’articolo 11, comma 7, del citato decreto legge, la indicazione, quanto meno sommaria, dei fatti sui quali il soggetto interessato ha manifestato la volontà di collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione è ritenuta attendibile e di notevole importanza; e specifica, inoltre, le circostanze da cui risultano la particolare gravità del pericolo e l’urgenza di provvedere.

I contenuti del piano provvisorio di protezione sono specificati nell’art. 6 del D.M. n. 161 del 2004.

Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11, del D.L. n. 8/1991, non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

4. Ciò posto, le censure avanzate dal ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria condotta – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale (che recano l’indicazione di atti, fatti e circostanze, sostanzialmente, non contestati dalla parte ricorrente che, invece, ha contestato le valutazioni e le conseguenze che dagli stessi ha fatto scaturire l’Amministrazione procedente) – risulta che: – la Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno, con nota del 16 febbraio 2009, ha comunicato che l’attività di indagine, in ordine a quanto precedentemente riferito dallo S., ha rappresentato l’incompletezza delle dichiarazioni rese, evidenziando che lo stesso aveva omesso di riferire circostanze rilevanti della sua attività delittuosa rendendo poco attendibile il suo apporto collaborativo; – per tale motivo la Procura Distrettuale Antirnafia di Salerno non ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’ammissione ad un programma definitivo di protezione; – la Direzione Nazionale Antimafia, in data 12 marzo 2009, ha espresso analogo parere.

Ciò posto e richiamato quanto sopra evidenziato in merito al quadro normativo di riferimento, deve ritenersi che la Commissione centrale abbia correttamente operato in quanto, ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 8/1991, la proposta di ammissione alle speciali misure di protezione deve riguardare la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, che abbiano carattere di intrinseca attendibilità, di novità o di completezza in ordine ai reati ivi indicati.

Come correttamente esposto nel provvedimento impugnato, l’articolo 11 del citato decreto legge n. 8/1991, prevede l’ammissione alle speciali misure di protezione, su proposta formulata dal Procuratore della Repubblica competente, mentre il successivo articolo 13, comma 1, stabilisce che il provvedimento con il quale la Commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11 non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.

Nella fattispecie in esame, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Commissione non avrebbe dovuto eseguire particolari valutazioni, a fronte delle circostanze evidenziate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno circa l’incompletezza e l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dallo S. (nota del 16 febbraio 2009), se si considera che la normativa di riferimento prevede che tali circostanze integrano la violazione dell’articolo 12, comma 2, lettera b), del d.l. n. 8/1991, che giustifica anche l’adozione di un provvedimento vincolato di revoca delle misure di protezione (cfr. art. 13quater, comma 2, d.l. n. 8/1991).

Per quanto concerne il venir meno delle misure di protezione nei confronti dei familiari del ricorrente, va considerato che se i familiari del soggetto ammesso a protezione sono essi stessi destinatari di misure di protezione, in funzione della relazione di convivenza o comunque della specificità del rapporto con il "titolare principale" delle misure, una volta accertato che, rispetto al collaboratore di giustizia, sia venuta meno o comunque mutata la situazione posta a base dell’ammissione alle misure di protezione, tale circostanza si estende in modo automatico anche agli altri soggetti indicati dal comma 5 dell’art. 9, del d.l. n. 8/1991, nel senso della incompatibilità con il proseguire della protezione e, quindi, è legittimo il venir meno delle misure anche nei confronti di detti soggetti (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 243 del 29012008).

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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