Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-06-2011) 07-07-2011, n. 26609 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Nel giudizio di appello della sentenza pronunciata dal giudice della udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli il 26 febbraio 2009, nei confronti di M.G., F. S., A.G., Ma.Pa., M. G., E.M., P.S. e m.

a., imputati:

i primi quattro del delitto di associazione di tipo mafioso, per aver partecipato alla consorteria camorristica, costituente articolazione del Clan dei Casalesi, operante in San Marcellino, dintorni e altrove e capeggiata da M. (capo A della rubrica); del delitto di detenzione di porto pluriaggravati di arma comune da sparo, commesso in Roma il 29 novembre 2002 (capo A/A) e del delitto di lesioni pluriaggravate in danno di un imprenditore non identificato (capo A/D);

tutti, tranne M. e ma., del delitto di riciclaggio di due autovetture BMW (capo A/I);

ma., E. e P. del delitto di estorsione pluriaggravata in danno del proprietario di una autovettura Opel Corsa, già oggetto di rapina (capo A/F);

M., F. e A. del delitto di estorsione pluriaggravata in danno della imprenditrice G.T., in Aversa nel 2002 (capo F);

F. e A. del delitto di estorsione pluriaggravata, cosi riqualificato il contestato delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, commesso in danno di L.G., in San Marcellino dal luglio 2001 al marzo 2002 (capo L);

F. e Ma.Pa. del furto pluriaggravato commesso in danno di Fi.An., accertato in Bastia Umbra il 21 giugno 2002 (capo A/E);

il solo F. del delitto di estorsione pluriaggravata e continuata, commessa in danno di L.G., in San Marcellino dal luglio 2001 al marzo 2002 (capo M); della detenzione e del porto illegali, pluriaggravati di arma comune da sparo, commesso in Formia il 1 giugno 2002 (capo S); del delitto di lesioni pluriaggravate, cosi derubricato il delitto di omicidio tentato, commesso in danno dell’imprenditore Pi.Cl., in Formia il 1 giugno 2002 (capo A/C);

il solo A. del delitto di furto aggravato tentato in danno di persona non identificata, in luogo imprecisato, il 16 ottobre 2002 (capo A/H);

e il solo Ma.Pa. della detenzione e del porto illegali, pluriaggravati di arma comune da sparo, in luogo imprecisato, 11 13 maggio 2002 (capo V), la Corte di appello di Napoli, con sentenza, deliberata il 12 aprile 2010 e depositata il 12 luglio 2010, ha così provveduto:

– previo riconoscimento della continuazione con i reati oggetto della condanna inflitta dalla medesima Corte, giusta sentenza 12 ottobre 2007, ha rideterminato la pena complessiva per E. in otto anni, un mese, dieci giorni di reclusione e ottomila Euro di multa;

– previo riconoscimento della continuazione con i reati oggetto della condanna inflitta dalla medesima Corte, giusta sentenza 31 maggio 2006, ha rideterminato la pena complessiva per P. in sette anni, sei mesi di reclusione e tremilacinquecento Euro di multa;

– ha ridotto le pene a M. a dieci anni di reclusione e duemila Euro di multa;

– a F. a dieci anni, otto mesi di reclusione e duemila Euro di multa;

– ad A. a otto anni di reclusione e duemila Euro di multa;

– a Ma.Pa. a sette anni, quattro mesi di reclusione e duemila Euro di multa;

– ha confermato, nel resto la sentenza appellata colle condanne di m.g. e di ma., alla pene della reclusione, rispettivamente, in due e in quattro anni, e della multa in Euro duemila per entrambi, nel concorso per Ma. di circostanze attenuanti generiche.

Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità la Corte territoriale ha osservato quanto appresso.

1.1 – Non meritano accoglimento le censure degli appellanti M., F. e A., in punto di accertamento della concorsuale condotta estorsiva in danno della imprenditrice alberghiera G. T. (capo F), in punto di qualificazione del fatto e in punto di ricorrenza della aggravante a effetto speciale della metodologia mafiosa, formulate sotto i profili della equivocità delle emergenze delle intercettazioni telefoniche, delle dichiarazioni liberatorie della persona offesa, della liceità delle richieste e – per A. – del difetto dell’elemento psicologico.

Dalle conversazioni intercettate del 1, del 6, del 9, del 13, del 19, del 20, del 22, del 29 agosto, del 3, del 6 settembre, e del 15 ottobre 2002 (ricapitolate o testualmente riportate nella sentenza), risulta che, col pretesto della riscossione del prestito di quaranta milioni di lire erogato da M. alla G., F. e A., su mandato del primo, estorsero alla imprenditrice, prima la gestione della azienda alberghiera e, poi, tutto il compendio aziendale, alienando a terzi attrezzature e arredi.

Le dichiarazioni della donna (di aver inteso cedere la propria azienda liberamente e senza costrizione alcuna per estinguere, così, il debito contratto con M.) sono resistite dalla considerazione che l’imprenditrice subì a opera di F. e A. un vero e proprio "assedio", costituito dalla "continua, asfissiante, ostile, inquietante presenza" degli appellanti, colla reiterazione "delle richieste, anzi delle imposizioni di andare via".

Sebbene le conversazioni intercettate non contengano "espressioni dal contenuto apertamente minatorio", la considerazione del "complessivo tenore della condotta", della caratura criminale di M. e, soprattutto, dei termini economici obiettivi di tutta la vicenda dimostra la coartazione della vittima e l’ingiustizia del profitto.

A fronte di un debito di quaranta milioni di lire, la G. subì la ablazione della intera azienda, di valore di gran lunga superiore.

La cucina dell’albergo, che M. intendeva rivendere a un prezzo oscillante tra trenta e sessanta milioni di lire, valeva ottanta milioni; e i giudicabili avevano, altresì, appreso e alienato "gli arredi di tutte le stanze dell’ostello".

Della gestione e della successiva liquidazione della azienda la G. non ottenne alcun rendiconto.

La compartecipazione di A., preteso "manovale inconsapevole", secondo la tesi difensiva, è ampiamente provata. E da costui che F. apprende che la G. ha deciso di cedere l’azienda e di andar via e tanto F. comunica a M., in assenza di A. (a casa malato). La successiva conversazione delle ore 21.2 del 19 agosto 2002, n. 1229, tra M., F. e A. disvela il pieno coinvolgimento di quest’ultimo nella vicenda. E fu, infine, proprio A. il compartecipe che procedette alla liquidazione dei singoli cespiti.

La condotta concorsuale, trascendendo l’obiettivo del recupero del credito e finalizzata al conseguimento dell’ingiusto profitto della appropriazione di tutto il compendio aziendale, integra, pertanto, gli estremi del delitto di estorsione (e non del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni).

Quanto alla aggravante a effetto speciale, il metodo utilizzato è "tipicamente mafioso": sfruttando la situazione debitoria della imprenditrice "come grimaldello", gli imputati si sono inseriti in maniera "sempre più penetrante e invasiva nella vita aziendale", fino a estromettere la titolare; quindi, dopo aver assunto la gestione dell’albergo, hanno alienato tutti i beni dell’azienda.

1.2 – In ordine al delitto di estorsione in danno del falegname L.G., così riqualificato dal giudice della udienza preliminare il contestato reato di esercizio arbitrario della proprie ragioni (capo L), ascritto ad A. e F., priva di pregio giuridico è l’eccezione difensiva, in rito, circa la supposta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., sotto il profilo del difetto di correlazione tra la imputazione contestata e la sentenza e con riferimento alla peculiare disciplina del rito abbreviato à termini dell’art. 441-bis cod. proc. pen..

Invero non è intervenuto "alcun mutamento della imputazione" e legittimamente il primo giudice ha esercitato il potere – dalla giurisprudenza di legittimità riconosciuto al giudicante pure nel rito abbreviato – di dare al fatto una diversa (ancorchè più grave) definizione giuridica, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 1.

Quanto al merito, devono essere disattese le richieste degli appellanti di assoluzione e, gradatamente, di derubricazione con ripristino della originaria qualificazione del fatto e di esclusione della aggravante del metodo mafioso.

La prova della concorsuale condotta estorsiva è offerta dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa all’atto della denunzia, l’8 novembre 2001, e nel corso delle indagini, il 20 febbraio 2002.

L.G. ha riferito: già nel luglio del 2001 egli era stato fatto oggetto di percosse da parte di D.S.A. e di P., suoi creditori, i quali reclamavano il pagamento;

successivamente si erano presentati presso il suo laboratorio i pregiudicati I.R. e A.G., a lui ben noti anche con i loro soprannomi, rispettivamente, (OMISSIS) e (OMISSIS); I. gli aveva ingiunto di sistemare la pendenza debitoria relativa ai D.S., con la minaccia, presente A., che altrimenti se la sarebbe vista con loro; esso L. aveva subito telefonato a D.S.L., dicendogli che non era necessario "mettere di mezzo" I. e A., in quanto avrebbe saldato il debito al più presto; I. gli aveva strappato di mano la cornetta del telefono e aveva soggiunto al D. S. di andarsi a prendere i soldi; L. si era allora recato in banca, a Caserta, assieme a D.S., aveva riscosso un assegno non trasferibile e aveva immediatamente versato il relativo importo al creditore a scomputo parziale del debito; in seguito, in occasione di altri incontri, A. e I. avevano reiterato le minacce, non ostante le assicurazioni fornite circa il pagamento del saldo; successivamente F. si era associato ad A.; i due, dichiarando di agire a nome di I. avevano proferito minacce di morte; esso L. aveva, ancora, versato la somma di lire 1.500.000 ad A. e a F.; se non che successivamente aveva appresso che i creditori D.S. non avevano ricevuto il relativo importo a scomputo del debito e che, anzi, I. aveva loro detto che quel pagamento era stato "girato ad altro creditore", mentre esso L. non aveva nessuna altra esposizione; la sera dello stesso giorno del colloquio tra L. e D.S., I., spalleggiato da F. il quale teneva la mano "sotto la cintura nell’atteggiamento" tipico di chi impugna una arma, si era presentato sotto casa di L.; lo aveva ingiuriato, minacciato di morte e schiaffeggiato, intimandogli di andare via da San Marcellino.

La condotta integra gli estremi del ritenuto delitto di estorsione.

Sia perchè i D.S. non introitarono mai quanto corrisposto da L. ad A. e F., sia per il carattere trasmodante della minacce e dei mezzi impiegati, privi di "proporzionalità" rispetto al ragionevole intento di far valere un diritto.

La "brutalità" dell’intervento e le modalità delle condotte concorsuali rivelano "inequivocabilmente" il metodo mafioso.

1.3 – Anche con riferimento all’ulteriore delitto di estorsione in danno del L., ascritto ad A. (capo M), devono essere disattese le analoghe richieste dell’appellante, di assoluzione e, gradatamente, di derubricazione e di esclusione della aggravante del metodo mafioso.

La prova della condotta estorsiva è rappresentata dalle dichiarazioni della parte offesa.

L. ha riferito: nel mese di agosto 2001, in seguito ai primi incontri intervenuti in relazione all’altro episodio delittuoso, I. lo convocò a casa sua; dopo avergli rinnovato la richiesta di saldare il debito con i D.S. "per il suo bene", gli commissionò alcuni lavori di falegnameria (allestimento controtelai) per il suo appartamento; esso L. eseguì la commessa e presentò a I. il preventivo per la realizzazione delle ulteriori opere richieste (costruzione di alcuni armadi a muro); ma I. replicò che non voleva più niente e, senza corrispondere il prezzo dei controtelai costruiti e installati, gli intimò, sotto minaccia di morte (Altrimenti di uccido) di non farsi vedere più a San Marcellino; successivamente nel novembre 2001, I. a A. si erano recati da tale T.S., nei confronti del quale L. vantava il credito di lire 2.500.000 per la esecuzione di alcune opere, e asserendo di essere stati incaricati dal creditore, avevano riscosso l’importo e se ne erano appropriati, col pretesto dello scomputo del debito di L. nei confronti dei D.S..

Deve essere tenuta ferma la qualificazione giuridica della condotta in termini di estorsione. Non è certamente ravvisabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Contrariamente all’assunto difensivo nessuna contestazione fu mossa circa la esecuzione dei controtelai, il cui prezzo la vittima fu costretta a non esigere a cagione delle minacce ricevute.

E, quanto all’esazione del credito verso T., la riscossione di ( I. e) A. deve essere inquadrata nel "terrificante contesto di intimidazioni, soprusi, appostamenti sotto casa, percosse e minacce di morte, nel quale ( I. e A.) unitamente a F. ottennero i pagamenti" e "incamerarono a proprio favore" la totalità delle somme riscosse.

In ordine alla aggravante del metodo mafioso soccorrono le considerazioni in precedenza espresse in relazione alla concorrente estorsione consumata in danno della medesima vittima.

1.4 – In relazione al delitto di lesioni gravi in danno dell’imprenditore Pi.Cl., ferito alle gambe con tre colpi di pistola calibro mm. 6,35 (capo A/C) e ai connessi delitti di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo (capo S), ascritti a F., in rito è priva di pregio, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, la eccezione difensiva fondata sulla decisione del giudice del riesame, favorevole, al giudicabile, in quanto la statuizione dell’incidente cautelare non spiega "alcuna efficacia vincolante tanto nei confronti del titolare della azione penale, quanto verso i poteri di accertamento del giudice della cognizione".

Quanto al merito, "in assenza di ulteriori motivi di gravame", deve ribadirsi la valutazione della sufficienza del compendio probatorio, costituito dalla rilevazione da parte della consorte della vittima degli ultimi cinque caratteri alfanumerici della targa del veicolo a bordo del quale dell’aggressore si era allontanato; dalla esatta corrispondenza di tali caratteri a quelli dell’autovettura Renault Clio dell’appellante; dall’avvistamento, operato dai Carabinieri di F. alla guida della macchina il giorno del fatto di sangue, nelle ore antecedenti la sparatoria; dalla localizzazione della utenza cellulare dell’imputato nella zona del delitto; dalla mancata giustificazione da parte dell’appellante della propria presenza sul luogo del reato e in concomitanza della perpetrazione.

Le modalità ferimento connotato dai caratteri "dell’avvertimento terrifico e incoercibile", preceduto dalla ispezione dei luoghi e attuato "con tecnica militare", e l’atteggiamento omertoso della vittima, rivelano in modo non equivoco la metodologia mafiosa.

Sicchè deve essere disatteso il motivo di gravame per la esclusione della aggravante a effetto speciale.

1.5 – Per quanto riguarda i delitti di detenzione e di porto illegali di una arma comune da sparo, ascritti a Ma.Pa. (capo V), non sono decisive le obiezioni dell’appellante circa la mancata individuazione della tipologia della pistola.

Risulta, invero, che nel corso della intercettazione del 13 maggio 2002 di conversazione telefonica dell’imputato fu captata la voce di persona (non identificata) la quale, trovandosi in compagnia di Ma., diceva a costui. "La pistola sta qua"; seguiva l’imprecazione dell’appellante, espressione del disappunto per la imprudenza della indicazione rivelatrice della presenza della pistola e della assenza di "dissociazione rispetto al possesso dell’arma".

La subordinata richiesta dell’appellante di eliminazione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, non merita considerazione, in quanto la aggravante in parola è già stata esclusa dal primo giudice.

1.6 – Con riferimento ai delitti di lesione personale in danno di persona non identificata (capo A/D) e ai connessi delitti di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo (capo A/A), ascritti a M., F., A. e Ma.Pa., le richieste assolutorie degli appellanti non meritano accoglimento.

L’intercettazione delle conversazioni tra presenti del 29 novembre 2002, all’interno dell’abitacolo della autovettura Lancia Thema di M., con a bordo F., A. e M. P., documenta la fase preparatoria della spedizione punitiva eseguita ai danni della vittima (non identificata), la quale non voleva pagare, e dimostra, attraverso i commenti degli appellanti, risaliti a bordo del veicolo dopo l’aggressione, la consumazione del pestaggio.

M. riprende A. perchè costui aveva colpito al capo l’aggredito, rischiando, così, di ucciderlo.

A. fa inequivocabile riferimento alla soppressione di una pistola (priva delle canne già asportate), da gettare dal finestrino, essendo preoccupato, dopo il rimprovero di M., che il colpo inferto alla testa con lo "strumento" potesse "porre la vittima in pericolo di vita".

La compartecipazione di Ma.Pa. e di F. è dimostrata dalla richiesta di istruzioni, rivolta dal primo al M. nella face antecedente l’aggressione, e dai commenti di entrambi, in seguito alla perpetrazione delle lesioni: (la vittima) "Ha visto che non si scherzava e ha detto: no, no; i caccio i soldi" ( Ma.); "Questa è stata la prima passata che ha avuto" ( F.).

La univocità e la convergenza dalle evidenze della intercettazione, apprezzate nella loro "reciproca interferenza", comprovano che il possesso dell’arma da parte di A. era ben noto a tutti gli altri componenti del "commando", nessuno dei quali manifestò sorpresa, nè espresse dissociazione.

Quanto alla gradata richiesta di esclusione della aggravante a effetto speciale, basta considerare che la perpetrazione dell’agguato, eseguito con "tecnica militare" dai componenti del "commando (..) nella comune consapevolezza della presenza di un’arma (..) con estrema rapidità e ferocia", in danno della vittima che si rifiutava di pagare, riveste i connotati del metodo mafioso.

1.7 – Devono essere disattese le richieste assolutorie di F. e Ma.Pa., relativamente al delitto di furto aggravato della autovettura BMW 530 D, sottratta a Fi.

M. (capo A/E).

Le conversazioni telefoniche intercettate intercorse tra gli appellanti, dal 5 al 21 giugno 2002 (riassunte dalla Corte territoriale nei passaggi salienti) documentano ampiamente la programmazione, la organizzazione e la esecuzione furto, dal momento della indicazione da parte di Ma. a F. del numero di targa e della localizzazione del veicolo da rubare (ben sedici giorni prima della consumazione del reato), fino alle conversazioni tra Ma. e i compartecipi in merito agli oggetti rivenuti all’interno dell’autovettura sottratta.

1.8 – Privi di fondamento sono i gravami di E., P. e ma., in ordine alla estorsione (capo A/F) in danno di G. A., figlio del proprietario della autovettura Opel Corsa, rapinata, il quale dovette corrispondere la somma di lire 1.900.000 per ottenere la restituzione del veicolo.

La compartecipazione di ma. e di E. è comprovata dalle intercettazioni delle telefonate nel corso delle quali i due appellanti "discutono accanitamente" del prezzo da fissare per il riscatto del veicolo.

Risultano, altresì, dalle intercettazioni l’incarico conferito da E. a P. per la materiale restituzione del veicolo, l’incasso del prezzo del riscatto e la successiva corresponsione a ma. della quota pattuita (lire 300.000) del profitto della estorsione.

La effettiva consumazione della estorsione è comprovata dalle sommarie informazioni rese da Ga.An..

Costui ha riferito che, inizialmente, aveva preso contatto con ma. per ottenere la restituzione del veicolo e che l’autovettura gli era stata, infine, consegnata a Secondigliano, nei pressi del bar (OMISSIS), da P. previo pagamento nelle mani di costui della somma pattuita.

Peraltro la presenza di Ga., di P. e anche di ma. nelle adiacenze del suddetto bar fu anche rilevata dai Carabinieri, i quali, tuttavia, non riuscirono a localizzare e recuperare il veicolo prima del pagamento del prezzo del riscatto.

ma. ha fornito un "primario contributo casuale" alla perpetrazione della concorsuale condotta. E priva di pregio è la tesi difensiva della estraneità del giudicabile fondato sull’assunto della disinteressata presenza di ma. all’atto della consegna del veicolo, in quanto la quota del profitto di spettanza dell’appellante fu a costui corrisposta da P. successivamente.

Quanto alle richieste subordinate, la prospettata restituzione al Ga. da parte di ma. della somma di lire 300.000, non vale a integrare, a fronte del maggior danno, la attenuante del risarcimento.

Nessuno dei compartecipi – neppure ma. pur considerata la parziale e ipotetica restituzione – merita la concessione delle circostanze attenuanti generiche: ostano la considerazione della gravità del fatto e della negative personalità degli appellanti, desunte dai rispettivi precedenti penali.

1.9 – In ordine al delitto di furto tentato (capo A/H), ascritto ad A. in concorso con Li.Ba., detto (OMISSIS), le conversazioni intercettate delle comunicazioni telefoniche, tal tenore inequivocabile, intercorse tra l’appellante, in funzione di vedetta, e il correo, materiale esecutore, nella flagranza del tentativo, offrono la dimostrazione della concorsuale condotta delittuosa.

Non rileva la mancanza di ulteriori elementi di prova circa la materialità della condotte.

E priva di fondamento è la prospettazione difensiva del dubbio circa la identificazione vocale dell’appellante, in quanto le conversazioni intercorsero sulla utenza di A. e l’interlocutore si rivolge all’appellante chiamandolo col suo prenome.

1.10 – Del pari le numerose conversazioni telefoniche intercettate, nel mese di ottobre dell’anno 2002 (opportunamente riassunte dalla Corte territoriale) comprovano la compartecipazione degli appellanti A., F., Ma.Pa., m.g., E. e P. nel delitto di riciclaggio (capo A/I) loro ascritto.

Emerge incontestabilmente: A. e Ma.Pa. avevano il possesso delle autovetture di illecita provenienza; F. curava per conto del primo il reperimento di false targhe e falsi documenti di circolazione; E. mediava le vendite con acquirenti napoletani; m.g., per incarico del fratello, in quel periodo fuori sede, prese in custodia uno dei veicoli, che, quindi, provvide a consegnare all’acquirente guidando l’auto fino al luogo dell’appuntamento stabilito; P. si occupò, in occasione di un tentativo di vendita non riuscito (per il rifiuto dell’acquirente), di condurre l’altra autovettura; sia m.g. che P. erano ben consapevoli che i veicoli erano muniti di false targhe e documenti e che presentavano i segni della effrazione, conseguiti al furto (blocca sterzi rotti).

1.11 – In ordine al delitto associativo, ascritto a M., F., A. e Ma.Pa. (capo A) le richieste assolutorie degli appellanti per insussistenza del fatto o per non averlo commesso, sono tutte infondate.

Occorre premettere che devono essere disattese le censure dell’appellante A. in ordine alla propria identificazione.

I copiosi riferimenti a relazioni di affinità e a dati onomastici (prenome e soprannomi dell’appellane), censiti nelle conversazioni intercettate (specificamente indicate e riassunte dalla Corte territoriale) e le individuazioni fotografiche, effettuate dalle persone offese, G. e L., danno la dimostrazione della identità della persona fisica del giudicabile coll’autore delle condotte a lui ascritte.

In merito alla sussistenza della consorteria camorristica, capeggiata da M., e alla partecipazione degli appellanti, le deduzioni difensive si rivelano prive di pregio.

La esistenza del gruppo criminale, la sua struttura, la affectio societatis sono, infatti, comprovate dalle evidenze emergenti dalla analisi delle condotte, singole e concorsuali, dei reati fine, commessi dagli associati, oggetto di accertamento nei paragrafi che precedono (e ricapitolate dalla Corte territoriale).

La conversazione telefonica intercettata del 22 giugno 2002, tra M. con interlocutore non identificato, conferma l’indicazione delle fonti collaboranti, circa il flusso delle contribuzioni dovute dalla consorteria locale al gruppo egemone dei Casalesi, dei quali costituiva autonoma articolazione.

Al riguardo, dalle intercettazioni, risulta che M. impartiva ad A. e F. le istruzioni del caso.

Dalla conversazione tra presenti, intercorsa il 23 maggio 2000, nell’abitacolo della autovettura di D.M.N., capo zona del gruppo Picca, e D.B.G., agente della Polizia Penitenziaria, affiora il ruolo apicale ed egemone di M. nel territorio di San Marcellino.

E la egemonia territoriale è rivendicata da M., quale capo della consorteria locale, nei confronti dei camorristi di Crispano, come dimostrano le intercettazioni delle telefonate intercorse l’8 aprile 2002 tra M., A. e F..

Ulteriori intercettazioni (specificamente indicate e illustrate dalla Corte di merito) documentano la attività di direzione del gruppo criminale da parte di M..

1.12 – Nei confronti di M. non può essere riconosciuta la continuazione rispetto al delitto associativo per il quale ha riportato condanna, giusta sentenza della Corte di assise di appello di Napoli 24 ottobre 2007.

L’assunto che la condotta associativa accertata nel presente giudizio già costituisse oggetto della risoluzione criminosa maturata dall’appellante, allorchè aderì alla precedente consorteria (quale mero partecipe), è contraddetto dall’intervallo cronologico intercorso tra la cessazione della permanenza del delitto più remoto, risalente al 1996, e la perpetrazione della nuova condotta associativa, incoata nell’anno 2000, e soprattutto dal rilievo della assoluta diversità ed eterogeneità di ruoli, contesti e compagini.

Nè la scelta di vita criminale e i generici propositi delinquenziali valgono a dimostrare la identità del disegno criminoso.

1.13 – Deve essere rigettata la richiesta di esclusione della recidiva, avanzata dall’appellante A..

L’analisi di precedenti penali in relazione ai reati oggetto del presente giudizio dimostra la "inquietante accelerazione" impressa dal giudicabile alla "propria carriera criminale (..) sia intermini di gravità oggettiva delle condotte (..) sia in termini di rilevantissimo incremento dell’allarme sociale derivatone". 1.14 – Per il resto, nessuna delle ulteriori richieste di concessione delle attenuanti generiche, formulate dagli appellanti, merita accoglimento: si tratta, infatti, di recidivi, autori di reati gravissimi e allarmanti; animati da "fortissima propensione al delitto", che si sono dimostrati incapaci di "trarre motivo di ravvedimento" dalle vicende giudiziarie.

1.15 – Gli accertati profili di pericolosità consigliano la conferma delle misure di sicurezza detentive disposte nei confronti di M., F. e Ma.Pa..

1.16 – Le pene sono equamente commisurate nelle misure stabilite per ciascun imputato.

2. – Ricorrono per cassazione tutti gli imputati: A., col ministero dei difensori di fiducia, avvocati Sergio Cola e Fabrizio Iorio, mediante atto recante la data del 5 ottobre 2010, nonchè mediante ulteriore atto, redatto dall’avvocato Cola l’11 ottobre 2011; M., F., Ma.Pa., m.

g. e ma., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Emilio Martino, mediante unico atto recante la data del 23 settembre 2010; E., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Tommaso Mancini, mediante atto recante la data del 16 agosto 2010 e mediante "motivi aggiunti", recanti la data del 6 maggio 2011, depositati il 17 maggio 2011; P., personalmente, mediante atto recante la data dell’8 ottobre 2010, depositato il 21 ottobre 2010. 2.1 – A. sviluppa, con due distinti ricorsi, complessivamente dodici motivi.

2.1.1 – Col primo motivo (ricorso 5 ottobre 2010) i difensori denunziano, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 42, 43 e 629 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova.

Dopo aver ricapitolato le ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento della condanna per la estorsione in danno di G. S., i difensori deducono: salvo due telefonate del 19 agosto 2002, in nessuna delle comunicazioni telefoniche intercorse quel mese A. risulta tra gli interlocutori, nè del giudicabile alcuno fa menzione; il ricorrente si limitò a comunicare a F. che la G. intendeva dismettere l’azienda; non sono peraltro note le circostanze in cui l’imputato apprese la notizia; non risulta in alcun modo "la continua, ostile e inquietante presenza" presso l’albergo del ricorrente; nè emergono suo carico atteggiamenti di minaccia, ostilità o imposizione; A. è affatto estraneo alla successiva liquidazione del compendio aziendale; difetta veruna "connessione causale" con la compartecipazione delittuosa ipotizzata a carico dei coimputati; contraddittoriamente la Corte territoriale ha affermato e negato che dalle intercettazioni risultasse attività di minaccia; quindi, in proposito, ha fatto riferimento a concetti vaghi e disancorati dalle evidenze processuali; i giudici di merito hanno ritenuto con travisante supposizione la presenza di A. in occasione della conversazione telefonica tra M. e F. del 19 agosto 2001, contraddistinta dal numero 1221; e hanno inferito che costui avesse ricevuto l’incarico di ritirare l’assegno dalla G.; la Corte territoriale affatto illogicamente a) ha identificato A. col soggetto cui gli interlocutori della citata telefonata fanno riferimento, citandolo col nome di P.; b) ha supposto che la G. avesse confidato il proposito di dismissione al ricorrente; che costui fosse a conoscenza delle condizioni economiche della G., del regolamento dei relativi rapporti debitori, della "vicenda espropriativa", delle comunicazioni telefoniche intercorse tra i compartecipi;

dell’ipotizzato carattere estorsivo della trattativa tra i correi e la donna; della sproporzione tra il credito di M. e il ricavo finale della vendita dei beni aziendali; epperò difetta, in ogni caso, l’elemento psicologico del delitto ritenuto; la Corte territoriale ha omesso di considerare la censura difensiva circa la assenza di comunicazioni telefoniche tra la G. e il ricorrente;

ha, piuttosto, retrodatato, rispetto alla ricostruzione del primo giudice, in termini di valutazione probatoria, la considerazione delle condotta del ricorrente; è, infine, incorsa nella inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in quanto le emergenze processuali non consentono di ritenere provata la compartecipazione delittuosa del giudicabile.

2.1.2 – Col secondo motivo i difensori, in relazione alla estorsione in danno di L.G. (capo L), denunziano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza della legge processuale, in relazione agli artt. 521 e 441 cod. proc. pen., censurando l’immotivata reiezione della eccezione difensiva circa il mutamento della imputazione e la carenza di correlazione tra la sentenza e la contestazione.

2.1.3 – Col terzo motivo i difensori, in relazione al delitto associativo (capo A), denunziano, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, opponendo: non è stata accertata l’identità dell’imputato in relazione alla conversazioni a lui attribuite; l’affermazione della responsabilità penale è frutto del travisamento delle emergenze processuali; le risultanze delle intercettazioni considerate dalla Corte di merito sono generiche, scarsamente individualizzanti e non idonee a suffragare l’accertamento operato in violazione della "regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio". 2.1.4 – Col quarto motivo i difensori, in relazione al delitto di riciclaggio (capo A/I), denunziano, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ritenuta meramente apparente, opponendo: i giudici di merito non hanno vagliato le risultanze probatorie e hanno omesso di analizzare la posizione del ricorrente.

2.1.5 – Col quinto motivo i difensori reiterano analoga censura, di vizio della motivazione, in relazione ai delitti di lesione personale in danno di soggetto non identificato (capo A/D) e ai connessi reati di detenzione e porto illegali di arma comune da sparo (capo A/A), e deducono: in sede cautelare la Corte suprema di cassazione ha annullato la ordinanza del giudice del riesame, sul punto degli indizi di colpevolezza; "nulla di più (..) è stato aggiunto" dai giudici di merito; la Corte di appello ha travisato le risultanze delle intercettazioni per quanto riguarda l’arma; il colpo inferto alla vittima con un corpo contundente, non implica l’uso dell’arma;

non è chiaro il riferimento alla asportazione della canna; e, quanto alle lesioni, le espressioni riportate non consentono di inferire la compartecipazione del ricorrente nella aggressione.

2.1.6 – Col sesto motivo i difensori, in relazione al delitto di furto tentato (capo A/H), denunziano, ancora, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, opponendo: la Corte di merito ha illogicamente desunto "da elementi esteriori (..) la presenza di una volontà colpevole"; e ha travisato il contenuto della telefonata; la affermata compartecipazione, in difetto di condotte materiali, non è "supportata da nessuna argomentazione concreta". 2.1.7 – Col settimo motivo i difensori denunziano ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza della legge processuale, in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., nonchè, cod. proc. pen. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, graficamente inesistente, in ordine alla ritenuta continuazione.

2.1.8 – Con l’ottavo motivo i difensori denunziano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza di motivazione in ordine alla richiesta, formulata col gravame, di riconoscimento della attenuante della minima importanza nella compartecipazione delittuosa.

2.1.9 – Col nono motivo i difensori denunziano, ancora, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza della legge penale, in relazione del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa la aggravante in parola, ritenuta in relazione ai delitti di estorsione in danno della G. (capo F) e di L. (capo L), asserendo: la Corte di merito non ha dato conto della reiezione delle doglianze difensive (non meglio illustrate); non si è realizzata alcuna condizione di assoggettamento "idonea a configurare la aggravante"; la presunta vittima è stata "sempre cosciente della trattativa economica". 2.1.10 – Col decimo motivo i difensori denunziano, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio.

2.1.11 – Con l’undicesimo motivo i difensori denunziano, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 597 cod. proc. pen., deducendo che, in violazione del principio devolutivo, la Corte territoriale ha ritenuto l’aggravante del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione ai delitti di lesione personale in danno di soggetto non identificato (capo A/D) e ai connessi reati di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo (capo A/A).

2.1.12 – Col ricorso dell’11 ottobre 2010, l’avvocato Cola, riprendendo le censure già formulate in ordine al capo F, relativo alla estorsione in danno di G.T., dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 629 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, e dopo aver riportato ampio brano della sentenza impugnata, deduce: l’accertamento della responsabilità si fonda sulla "apodittica e congetturale interpretazione" delle conversazioni telefoniche intercettate; la Corte territoriale ha omesso di considerare che, secondo quanto risulta dalle stesse telefonate, M. aveva concesso il prestito di quaranta milioni di lire alla G., per l’amicizia tra costei e sua moglie; M. aveva avviato "pacifiche e legittime trattative" colla debitrice per recuperare il credito senza "nessuna maggiorazione"; fu la G., secondo quanto risulta dalla telefonata del 19 agosto 2002, tra M. e F., a decidere autonomamente e spontaneamente la cessione della propria azienda; la Corte di appello ha, inoltre, errato nel supporre la presenza di A. alla concomitante conversazione colla G., in quanto F. rispose negativamente alla relativa domanda di M.; da altra telefonata emerge ancora l’intento degli interlocutori di corrispondere alla G. la quota del ricavato della vendita del compendio aziendale eccedente l’importo del debito; i giudici di merito hanno sostituito "il contenuto delle dichiarazioni della G. con deduzioni arbitrarie, immotivate e destituite di ogni fondamento"; difettano, poi, sia il danno che il profitto ingiusto; il riferimento della Corte di appello al valore dei beni è capzioso e frutto di "lampante distorsione"; per la cessione della cucina l’acquirente non era, infatti, "intenzionato a sborsare oltre trenta milioni"; sicchè, anche supponendo l’alienazione della cucina al ridetto prezzo, residuerebbe la differenza di dieci milioni rispetto al debito da estinguere; laddove la debitrice aveva aderito "ben volentieri" alla transazione, contraddittoriamente la Corte territoriale ha ritenuto la ricorrenza di minaccia con connotazione mafiosa; e in ulteriore contraddizione è incorsa la Corte di merito, prima negando che dalle intercettazioni emergessero espressioni "dal contenuto apertamente minatorio", e, poi, asserendo il contrario; solo mere supposizioni e presunzioni sorreggono l’imputazione; la presenza di A. "fu circoscritta a una sola giornata"; il giudicabile sapeva soltanto "che era in corso una lecita trattativa economica tra il F., il M. e la G." e comunicò a F. che la G. voleva "lasciare l’ostello". 2.2 – L’avvocato Martino, nell’interesse dei propri assistiti, sviluppa ventiquattro motivi con i quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione all’art. 393 c.p. (primo e terzo motivo), in relazione al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203 (secondo, quarto, sesto, ottavo, decimo e ventiquattresimo motivo), in relazione agli artt. 624, 648 e 648-bis c.p. (tredicesimo motivo), in relazione all’art. 110 c.p. (quattordicesimo motivo); in relazione all’art. 62 c.p., n. 6 (quindicesimo motivo), in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 c.p. (sedicesimo, ventesimo e ventiduesimo motivo), in relazione all’art. 416-bis c.p. (diciassettesimo, diciottesimo e ventiquattresimo motivo), in relazione all’art. 81 c.p. (diciannovesimo, ventesimo e ventiquattresimo motivo), in relazione all’art. 203 c.p. (ventunesimo motivo), in relazione all’art. 175 c.p. (ventiduesimo motivo), in relazione all’art. 63 c.p., comma 4 e art. 69 c.p. (ventitreesimo motivo); inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2, art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, (primo, terzo, quinto, settimo, nono, undicesimo, dodicesimo, quattordicesimo e diciassettesimo motivo); in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (diciassettesimo motivo);

in relazione all’art. 194 cod. proc. pen. (primo, terzo e quinto motivo); in relazione agli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. (primo, quinto, settimo, nono, undicesimo, dodicesimo, quattordicesimo e diciassettesimo motivo) e in relazione all’art. 649, (primo e quinto motivo), nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

2.2.1 – In ordine al delitto di estorsione in danno di G. S., ascritto a M. e a F. (capo F), il difensore, censurando l’omessa considerazione delle deduzioni formulate in proposito con i motivi di gravame, dopo aver riportato alcuni brani della sentenza impugnata, deduce: l’accertamento della Corte territoriale contrasta in modo stridente con le risultanze delle intercettazioni e colle dichiarazioni della G. che scagionano gli imputati; i giudici non hanno dato contro della ritenuta inattendibilità della persona offesa; ma hanno valutato il compendio indiziario, secondo una "lettura ispirata dalla logica del mero sospetto"; le emergenze processuali, affatto contraddittorie, escludono la ravvisata ipotesi delittuosa; il travisamento della prova è "macroscopico"; il riferimento alla caratura criminale di M. non vale a offrire la dimostrazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, della sussistenza del delitto; la Corte di merito ha immotivatamente disatteso l’eccezione difensiva relativa al giudicato cautelare favorevole gli imputati, per effetto della acquiescenza del Pubblico Ministero sul rigetto del giudice per le indagini preliminari della richiesta di misura cautelare; affatto illogicamente e contraddittoriamente è stata disattesa la richiesta di derubricazione della imputazione nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; a tal fine, secondo la giurisprudenza di legittimità, è sufficiente che il reo agisca nella ragionevole opinione di difendere un suo diritto.

2.2.2 – Col secondo motivo il difensore si duole della denegata esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, cit., ritenuta in relazione al delitto in parola, argomentando: il primo giudice aveva ritenuto la ricorrenza della aggravante sotto entrambe le ipotesi, previste dalla legge; la Corte territoriale non ha fatto cenno alcuno alla ipotesi teleologica della agevolazione; sicchè deve ritenersi che la medesima sia stata "implicitamente esclusa"; quanto alla residua ipotesi i giudici di merito hanno pretesto di desumere "con indebito automatismo" il metodo mafioso, dalla caratura criminale di M., così contravvenendo ai principi di diritto fissati dalla giurisprudenza di legittimità nel senso della necessità "di una oggettiva e specifica individuazione modale", senza che possa attribuirsi "dirimente valore ai dati puramente soggettivi" correlati alla percezione della persona offesa.

2.2.3 – In ordine ai delitti di estorsione in danno del falegname L.G., ascritti a F. (capi L e M), il difensore deduce: la Corte territoriale non ha valutato la credibilità e la attendibilità intrinseca del testimone, in relazione "all’interesse che qualifica la posizione del soggetto" e ha trascurato di considerare la richiesta difensiva di derubricazione delle imputazioni, nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;

a tal fine, secondo la giurisprudenza di legittimità, è sufficiente che il reo agisca nella ragionevole opinione di difendere un suo diritto.

2.2.4 – Col quarto motivo il difensore si duole della denegata esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, cit., ritenuta in relazione al delitto in parola, reiterando le deduzioni già formulate col secondo motivo.

2.2.5 – In ordine ai delitti di lesione personale grave in danno dell’imprenditore Pi.Cl. (capo A/C) e ai connessi reati di detenzione e porto illegali di arma comune da sparo (capo S), ascritti a F., il difensore deduce: la Corte territoriale, a dispetto della favorevole decisione del giudice del riesame, ha trascurato di considerare la obiezione difensiva, circa la mancanza della sopravvenienza di nuovi elementi di prova, dopo la pronuncia in sede di incidente cautelare; non ha spiegato le ragioni per le quali le intercettazioni costituiscono indizi, gravi precisi e concordanti, nè le ragioni per le quali, in relazione alla dichiarazioni della persona offesa, può "ritenersi superata positivamente la verifica di credibilità e attendibilità"; ha, infine, illogicamente valutato in senso negativo l’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di non rendere dichiarazioni, trascurando di considerare il principio dell’onere probatorio, laddove "il sistema vigente eleva a rango costituzionale il diritto di mentire". 2.2.6 – Col quarto motivo il difensore si duole della denegata esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, cit., ritenuta in relazione ai delitti in parola, reiterando le deduzioni già formulate con i precedenti motivi.

2.2.7 – In ordine ai delitti di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo, ascritti a Ma.Pa. (capo V), il difensore censura l’accertamento operato dai giudici di merito sulla base della interpretazione di una "mera espressione" e la omessa considerazione delle deduzioni difensive sul punto che era dubbia la esistenza dell’arma e che, comunque, non era dimostrato che si trattasse di una pistola vera, piuttosto che di una pistola giocattolo.

2.2.8 – Con l’ottavo motivo il difensore denunzia la omessa motivazione in ordine al mezzo di gravame relativo alla esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione ai delitti in parola, deducendo che la Corte di appello è incorsa in equivoco, supponendo erroneamente che il primo giudice avesse escluso la aggravante de qua.

La aggravante doveva essere esclusa "in considerazione della regola di diritto enunciata della S.C. a S.S.U.U. RG 25303/00".

Il difensore correda il motivo con la produzione di copia di stralci della motivazione e del dispositivo della sentenza di primo grado.

2.2.9 – In ordine ai delitti di lesione personale in danno di soggetto non identificato (capo A/D) e ai connessi reati di detenzione e porto illegali di arma comune da sparo (capo A/A), ascritti a M., F. e Ma., il difensore deduce, censurando l’omessa considerazione dei motivi di gravame al riguardo:

la "unica intercettazione ambientale" non offre indizi gravi, precisi e concordanti; non è accertato se effettivamente l’oggetto, cui fanno riferimento gli interlocutori, fosse una pistola, se funzionasse, ovvero se si trattasse di una arma giocattolo; nè sono stati acclarati i motivi delle lesioni, nè le generalità della vittima;

2.2.10 – Col decimo motivo il difensore si duole della denegata esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, cit., ritenuta in relazione ai delitti in parola, reiterando le deduzioni già formulate con i precedenti motivi sub 2.2.2, sub 2.2.4 e sub 2.2.6. 2.2.11 – Con l’undicesimo motivo, in ordine al furto della autovettura di Fi.An., ascritto a F. e a Ma.Pa. (capo A/E), il difensore deduce, censurando l’omessa considerazione dei motivi di appello in proposito: le intercettazioni delle telefonate tra gli imputati non rappresentano, alla luce della giurisprudenza di legittimità, indizi gravi, precisi e concordanti; dal fatto che effettivamente l’autovettura fu sottratta non può evincersi la dimostrazione della responsabilità dei ricorrenti.

2.2.12 – Con il dodicesimo motivo, in ordine al riciclaggio di due veicoli, ascritto a F., Ma.Pa. e m.

g. (capo A/I), il difensore, censurando l’omessa considerazione delle deduzioni difensive in proposito, deduce: dalla intercettazioni non emergono indizi gravi, precisi e concordanti; le risultanze sono generiche; non è indicato nè il modello, nè il numero di targa dei veicoli; i riferimenti per Ma.

( Gi.) sono indiretti; costui si "sarebbe limitato a custodire l’auto per fare un favore al fratello", senza concorrere nel reato, già consumato.

2.2.13 – Col tredicesimo motivo, il difensore in relazione al medesimo delitto, si duole della mancata derubricazione della imputazione, ai sensi dell’art. 624 c.p. ovvero dell’art. 648 c.p., reitera le censure formulate col gravame e, stigmatizzando la omessa considerazione delle medesime da parte della Corte territoriale, deduce: non sono state identificate nè l’autovettura, nè la targa, nè sono "emersi elementi dimostrativi dell’occultamento della identità della res"; sicchè non sussiste il delitto ritenuto.

2.2.14 – Con il quattordicesimo motivo, in ordine al delitto di estorsione in danno di Ga.An., ascritto a ma. (capo A/F), il difensore, analogamente, censurando la omessa considerazione dei motivi di gravame sul punto, deduce: ma. ha agito quale intermediario delle persona offesa, nel suo esclusivo interesse; il "guadagno" fu restituito; il giudicabile, se davvero avesse concorso nell’estorsione, non avrebbe avuto interesse a presenziare alla riconsegna del veicolo; la Corte non ha dato conto della ritenuta inattendibilità del Ga. sul punto che la mediazione di ma. "fosse orientata nell’esclusivo interesse" della vittima.

2.2.15 – Col quindicesimo motivo il difensore si duole del diniego della attenuante del risarcimento del danno, invocata da ma., e denunzia il travisamento del fatto e, in proposito, oppone – e documenta mediante produzione di copia del processo verbale 24 maggio 2008 della offerta reale della somma di Euro 2.500,00 – che tale importo (e non la minor somma di lire 300.000, come affermato dalla Corte territoriale) fu corrisposta alla persona offesa.

2.2.16 – Col sedicesimo motivo il difensore censura l’ulteriore diniego delle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio, riportando la motivazione della Corte territoriale in parte de qua, obiettando che ma. non è gravato da carichi pendenti e che non gli è stata contestata la recidiva; e, ancora, reiterando le deduzioni del precedente motivo circa il risarcimento del danno.

2.2.17 – Con il diciassettesimo motivo, in ordine al delitto associativo ascritto a M., F. e Ma.Pa.

(capo A), il difensore, censurando l’omessa considerazione dei rilievi formulati in proposito col gravame, deduce: la Corte territoriale non ha dato conto dei criteri di valutazione delle dichiarazioni del collaborante De.Si.Da.; le propalazioni di costui sono risalenti nel tempo e non attengono alle condotte oggetto del giudizio; dalla pregressa condotta associativa di M. nell’ambito del "clan dei casalesi" (oggetto di accertamento giudiziario) non possono evincersi la sussistenza della nuova consorteria, la direzione della stessa da parte di M., la partecipazione di F. e di Ma.; il primo giudice ha confuso il tema dell’accertamento di una autonoma associazione di tipo mafioso, con quello della verifica della permanenza dei rapporti di M. colla consorteria di provenienza; le intercettazioni "poche ed equivoche" non dimostrano la esistenza del sodalizio camorristico; nè la succitata dimostrazione, nè tampoco quella delle condotte di promozione, direzione e partecipazione, rispettivamente ascritte ai ricorrenti, sono offerte della considerazione dei reati addebitati ai giudicabili; a prescindere dagli "innumerevoli dubbi" al riguardo, per alcuni dei reati i giudici di merito hanno escluso l’aggravante del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203; e nessuno dei reati è riconducibile al programma delittuoso del supposto "sodalizio", tutti ricollegandosi a motivazioni di carattere individuale; della associazione di tipo mafioso difettano la obiettività della concretezza delle condotte associative e gli elementi strutturali, secondo il modello tracciato dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite.

2.2.18 – Col diciottesimo motivo il difensore lamenta la denegata derubricazione della condotta ascritta a M., in termini di mera compartecipazione, deducendo che la Corte territoriale non ha considerato il rilievo difensivo circa la inverosimiglianza della costituzione di una nuova associazione e del ruolo apicale col mantenimento dei rapporti con il "clan dei casalesi". 2.2.19 – Con il diciannovesimo motivo il difensore censura il diniego del riconoscimento della continuazione con il pregresso delitto di associazione di tipo mafioso, per il quale M. ha riportato condanna, opponendo che il dato cronologico non è di ostacolo alla applicazione della continuazione e che la attuale imputazione associativa fa riferimento al medesimo "clan dei casalesi". 2.2.20 – Con il ventesimo motivo il difensore, nell’interesse di tutti i suoi assistiti, stigmatizza la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio, anche in ordine all’aumento a titolo di continuazione, dolendosi della "valutazione complessiva" e indiscriminata della Corte territoriale, priva della considerazione della "posizione specifica di ciascuno degli odierni imputati". 2.2.21 – Il ventunesimo motivo investe, in relazione alla misura di sicurezza della casa di lavoro, la prognosi della ritenuta pericolosità di M., F. e Ma.Pa., formulata con "valutazione complessiva" e indiscriminata, priva della considerazione della "posizione specifica di ciascuno degli odierni imputati". 2.2.22 – Col ventiduesimo motivo il difensore censura, riguardo a m.g., la mancata concessione delle attenuanti generiche (già ottenute in prime cure e confermate dalla Corte di appello), il mancato contenimento della pena nel minino edittale e la omessa concessione del non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale, deducendo di aver chiesto col gravame, in considerazione delle condizioni personali familiari e sociali del giudicabile, nonchè della attività lavorativa da costui esercitata il contenimento della sanzione e il beneficio de quo.

2.2.23 – Col ventitreesimo motivo il difensore, nell’interesse di M., F. e Ma.Pa., deduce che la Corte territoriale non ha dato conto dell’esercizio del potere discrezionale di aumentare ulteriormente, per la concorrente aggravante, la sanzione siccome computata in ragione della ritenuta aggravante a effetto speciale.

2.2.24 – Col ventiquattresimo motivo il difensore denunzia l’illegittimo aumento operato sulla pena base per il delitto associativo, inflitta a Ma.Pa., in relazione alla aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, non contestata – e neppure giuridicamente configurabile – in relazione al reato de quo.

2.3 – E. sviluppa due motivi, ulteriormente articolati nei "motivi aggiunti", dichiarando promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 648-bis c.p. (primo motivo) e in relazione agli artt. 629 e 628 c.p. (secondo motivo), nonchè mancanza della motivazione con entrambi i mezzi.

2.3.1 – Con il primo motivo il difensore censura la definizione giuridica della condotta di riciclaggio (capo A/I), postulandone la derubricazione ai sensi dell’art. 648 c.p., comma 2, e, in proposito deduce: non è indicato il "in cosa si sarebbe concretizzato il contributo causale del ricorrente relativamente alla condotta di riciclaggio"; E. perseguiva "uno scopo generico finalizzato eventualmente alla realizzazione di un profitto"; manca lo "lo scopo ulteriore di far perdere le tracce del bene"; difettano gli elementi oggettivo e soggettivo del più grave delitto di riciclaggio; la attività di intermediazione, apprezzata dalla Corte territoriale, si attaglia alla ipotesi dell’art. 648 c.p.; ricorre la attenuante del fatto di particolare tenuità, per le modalità esecutive, il valore "di circa Euro 4.000,00" del veicolo ricettato, della carenza di pericolo e di capacità criminale del colpevole.

2.3.2 – Con il secondo motivo il difensore, in relazione al delitto di estorsione (capo A/F), oppone: E. intervenne "nella fase del ritrovamento del mezzo" e non ricevette il danaro versato per la restituzione del veicolo, sicchè non avrebbe partecipato alla "condotta estorsiva vera e propria"; gradatamente il contributo "poco rilevante" comportava il riconoscimento della attenuante della minima importanza, ai sensi dell’art. 114 c.p..

2.4 – P. dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 629 c.p., nonchè mancanza della motivazione in ordine al concorso nella estorsione, opponendo: la propria condotta, consistita nel consegnare l’autovettura su incarico del cognato E. a un amico di costui, è stata "assolutamente marginale" e si è esaurita in "una fase autonoma e pregressa" rispetto al delitto; esso ricorrente non ha percepito alcun ingiusto profitto.

3. – I ricorsi di M., F., A., Ma.

P., m.g. e ma. sono – nei limiti e nei termini che seguono – fondati e meritano parziale accoglimento.

3.1 – La Corte rileva in limine ed ex officio la inosservanza della legge penale in cui è incorsa la Corte territoriale, colla irrogazione a carico dell’imputato Ma.Pa., a titolo di continuazione, della congiunta pena principale della multa, laddove il ritenuto reato base di associazione di tipo mafioso è esclusivamente sanzionato colla pena detentiva.

Questa Corte, in proposito, ha infatti stabilito il principio di diritto secondo il quale "in tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato, la pena destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti fino al triplo per i reati satelliti – qualunque sia il genere o la specie della loro sanzione edittale – è esclusivamente quella prevista per la violazione più grave" (Sez. Un., 26 novembre 1997, n. 15/1998, Varnelli, massima n. 209486), dappoichè "nell’aumento sulla pena base restano assorbite le pene previste per i reati satellite, in quanto la continuazione determina la perdita dell’autonomia sanzionatoria dei reati meno gravi" (Sez. 3^, 30 settembre 2004, n. 44414, Novaresio, massima n. 230490).

Conseguono l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata limitatamente alla pena della multa irrogata a Ma.Pa. e la eliminazione, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), , della succitata sanzione pecuniaria.

3.2 – Fondatamente il succitato ricorrente si duole, col ventiquattresimo motivo, della aggravante a effetto speciale, di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ritenuta dalla Corte di appello in relazione al delitto di associazione di tipo mafioso (capo A).

La sentenza impugnata è, in parte de qua, viziata dalla inosservanza sia della legge processuale che di quella penale sostanziale.

In rito la aggravante in parola non è stata contestata al giudicabile.

E, peraltro sul piano del diritto sostanziale, neppure è astrattamente configurabile in relazione al delitto associativo previsto e punito dall’art. 416-bis c.p., in quanto la condotta tipizzata dalla norma incriminatrice assorbe la previsione della aggravante.

Tanto comporta l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata nei confronti del ricorrente, limitatamente alla aggravante de qua, colla eliminazione della medesima, che questa Corte dispone ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l).

3.3 – In rito, la condotta di "ragion fattasì contestata ad A. e a F., in concorso con i D.S., creditori della persona offesa, L.G. (capo L), non è suscettibile di essere qualificata, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 1, come estorsione.

Difetta, invero, l’elemento essenziale della ingiustizia del profitto, in radice necessariamente escluso dal delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Epperò si tratta di fatto diverso. E tanto riceve conferma dall’unico (e non recente) arresto di legittimità censito in punto di derubricazione del delitto di estorsione nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Sez. 6^, 21 marzo 1995, n. 5801, Morongiu, massima n. 201681: "… non incorre nella violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza il giudice che ritenga l’imputato colpevole di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, così diversamente qualificando la originaria imputazione di estorsione nella sussistenza della querela della persona offesa; in tal caso infatti, nella contestazione relativa al reato più grave è compreso il fatto meno grave, integrante il reato di minor consistenza per il quale è intervenuta condanna"). Invero il criterio adottato della continenza delle imputazioni si connota per la evidente proprietà asimmetrica (se A, maggiore di B, contiene B, allora B, minore di A, non può contenere A); sicchè, a contrariis, resta escluso che la contestazione relativa al reato meno grave involga quella del reato più grave e possa, così, consentire, assicurando la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, la diversa – e più severa – definizione giuridica.

Conclusivamente il giudice della udienza preliminare e la Corte di appello sono effettivamente incorsi, come denunzia col secondo motivo il ricorrente A., nella inosservanza della legge processuale (art. 521 c.p.p., comma 2, sanzionata a pena di nullità à termini dell’art. 522 c.p.p., comma 1), per la mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la condotta accertata colla sentenza.

In virtù dell’effetto estensivo della impugnazione – trattandosi di motivo "non elusivamente personale" il rilievo della nullità della sentenza in parte de qua opera anche a favore del compartecipe F..

Conseguono l’annullamento della sentenza impugnata e della sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di Napoli, 26 febbraio 2009, nei confronti di A. e F., relativamente al reato di cui al capo L), e il rinvio per nuovo giudizio al riguardo al giudice di primo grado.

3.4 – L’accertamento della concorsuale responsabilità di A., F. e M., in ordine al delitto di estorsione in danno della imprenditrice G.T. (capo F) è inficiato dalla contraddittorietà e dalla manifesta illogicità che minano il costrutto argomentativo della Corte territoriale e ne compromettono la tenuta.

Dopo aver dato atto della testimonianza della persona offesa (la G. ha scagionato i ricorrenti negando di essere stata vittima di alcuna "attività minatoria"), e dopo aver escluso "che risulti documentato l’utilizzo (da parte dei giudicabili) di espressioni dal contenuto apertamente minatorio", giudici di merito hanno tuttavia argomentato che la concorsuale "continuativa, ostile e inquietante" e "asfissiante" presenza", degli imputati presso l’albergo della G., a guisa di un vero e proprio "assedio", aveva comportato la coartazione della "libertà di autodeterminazione" della imprenditrice, attraverso la intimidazione di costei, mediante attività "che in ogni caso non potè avere contenuto e portata inferiore a quella documentata dalle intercettazioni", delle conversazioni telefoniche di M. con i compartecipi.

Se non che la stessa Corte territoriale, riconosce nel contempo, che dalle succitate intercettazioni "non emerge" alcuna "attività minatoria".

Il dato assolutamente negativo delle evidenze offerte dalle intercettazioni rende affatto contraddittorio il riferimento comparativo circa il grado di intensità della supposta intimidazione per facta concludentia, reputato "non inferiore" e quello desumibile dalle intercettazioni e, pertanto, non inferiore a zero.

Ma al di là della contraddittoria incongruenza in cui è incorsa la Corte territoriale ragguagliando la illazione della minaccia non verbale, attribuita alle condotta degli imputati, alle risultanze di una prova dalla valenza assolutamente negativa per la tesi di accusa, soccorre l’ulteriore rilievo della manifesta illogicità dell’impianto motivazionale per il malgoverno dei canoni della prova indiziaria.

E’ ben vero che la perpetrazione della intimidazione non necessariamente richiede il ricorso ad esplicite espressioni verbali rappresentative di un male ingiusto, potendo essere frutto di allusioni, reticenze, sottintesi o anche di condotte non verbali, univocamente evocatrici di minaccia; ma il requisito della precisione, il quale denota il cd. sillogismo indiziario, esige che siffatte condotte non verbali siano rigorosamente determinate, illustrate e provate e, inoltre, che sia convalidata la massima di esperienza la quale accrediti l’inferenza della valenza minatoria evocata.

Orbene, nella specie, il riferimento della Corte territoriale alla presenza abituale dei giudicabili presso l’albergo della G. e la considerazione della caratura criminale di M. non appaiono logicamente correlabili alla abduzione indiziaria della condotta estorsiva, laddove le richieste, anche insistenti, di restituzione della somma mutata da M. alla imprenditrice inadempiente appaiono oltre che comprensibili affatto lecite e laddove il rapporto negoziale col M., liberamente contratto dalla donna, era pregresso rispetto al fatto oggetto di imputazione.

Nè, invero, la ulteriore supposizione di atteggiamenti "ostili" o "inquietanti" (peraltro affatto genericamente evocati dalla Corte territoriale, senza alcuna specifica indicazione), connessi alla presenza dei giudicabili, può suffragare l’inferenza della minaccia:

gli è che osta il divieto della praesumptio de praesumpto (ovverossia del divieto della presunzione di secondo grado o della doppia presunzione), implicato dal canone indefettibile della certezza dell’indizio, che è espressione del requisito della precisione, normativamente codificato dall’art. 192 c.p.p., comma 2, (Cass., Sez. 2^, 9 febbraio 1995. n. 5838, Avanzini, massima n. 201517: "il giudice, il quale ben può partire da un fatto noto per risalire da questo ad un fatto ignoto, non può in alcun caso porre quest’ultimo come fonte di un’ulteriore presunzione in base alla quale motivare una pronuncia di condanna"; cui adde: Sez. 1^, 27 aprile 2007, n. 28167, Petrisor; Sez. 2^, 20 novembre 2008, n. 3672, Brambilla; Sez. 2^, 13 ottobre 2009, n. 44048, Cassarino; Sez. 2^, 18 giugno 2010, n. 25086, Zimmermann; Sez. 1^, 12 gennaio 2011, n. 5095, Bulla, non massimate).

Il rilievo del vizio di motivazione che inficia l’accertamento della sussistenza del delitto di estorsione, assorbe le specifiche censure del ricorrente A. in ordine alla propria partecipazione alla concorsuale azione delittuosa.

3.5 – La Corte territoriale ha trascurato di prendere in considerazione il motivo di gravame proposto da Ma.Pa. per la esclusione della aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ritenuta in relazione ai delitti di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo (capo V), sul presupposto affatto errato della esclusione della succitata aggravante da parte del giudice di prime cure.

Affatto fondata è, pertanto, la censura, in punto di vizio della motivazione, formulata dal ricorrente con l’ottavo motivo di ricorso e suffragata da pertinente produzione di copia per estratto della sentenza impugnata.

3.6 – In ordine alle richieste avanzate con l’atto di appello da m.g. per la riduzione della pena e per la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale, la Corte territoriale, pur avendo dato atto, nella parte introduttiva della sentenza della proposizione delle istanze in parola (v. p. 4, punto 13), ha, poi, omesso di prenderle in esame e di motivare la implicita reiezione (v. pp. 25 – 26 e 35 – 37 della sentenza impugnata).

Merita, pertanto, accoglimento la doglianza formulata dal ricorrente con il ventiduesimo motivo di impugnazione, risultando palese il vizio di motivazione denunziato che inficia la sentenza impugnata in proposito.

3.7 – Analogamente la Corte territoriale ha riportato, nella parte introduttiva della sentenza (v. p. 5, punto 9), la gradata richiesta dell’appellante A. pel riconoscimento della attenuante della minima importanza nella compartecipazione delittuosa, à sensi dell’art. 114 c.p. (v. p. 17 e 18 dell’atto di gravame redatto dal difensore di fiducia, avvocato Fabrizio Iorio); ma nel prosieguo ha trascurato di esaminare il pertinente motivo di gravame e di dar contro dell’implicito rigetto del medesimo (v. pp. 35 – 37 della sentenza impugnata).

Si rivela, pertanto, affatto fondata la censura formulata dal ricorrente con l’ottavo motivo di impugnazione, circa il vizio di motivazione, sul punto, della sentenza della Corte territoriale.

3.8 – Effettivamente la conferma della sentenza di primo grado in ordine al diniego del riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno, invocata da ma.an., risulta inficiata dalla fallace percezione della evidenza processuale in cui è incorsa la Corte territoriale in merito all’importo della somma oggetto della offerta reale del giudicabile, erroneamente ritenuta pari a lire 300.000 (e valutata insufficiente per il ristoro del danno), laddove il ricorrente ha dedotto, col quindicesimo motivo di impugnazione, e debitamente documentato, mediante la produzione del pertinente processo verbale, di aver corrisposto alla persona offesa, col ministero dell’ufficiale giudiziario, la maggior somma di Euro 2.500,00.

Ricorre, pertanto, sul punto, il vizio della motivazione extra testuale della sentenza impugnata, risultante dall’atto di offerta reale, specificamente indicato dalla parte e versato in copia in allegato al ricorso.

3.9 – L’accoglimento dei ricorsi in ordine ai delitti di estorsione in danno della G. (capo F) e del L. (capo L) e in ordine alla aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ritenuta a carico di Ma.Pa. in relazione al delitto associativo (capo A), comporta l’assorbimento delle censure formulate da A., col nono motivo di impugnazione, da M. e F., col secondo e col quarto motivo, circa la sussistenza della aggravante in parola in relazione alle succitate estorsioni, nonchè delle censure formulate da M., F. e Ma.Pa., col ventitreesimo motivo, in ordine al concorso delle aggravanti a affetto speciale.

3.10 – Alle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono da 3.4 a 3.8 conseguono l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di M., F. e A., relativamente al reato di cui al capo F); nei confronti di Ma.Pa., relativamente alla aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, ritenuta per il capo V); nei confronti di m.g., relativamente alla pena e al beneficio della non menzione; nei confronti di A., relativamente alla attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1; e nei confronti di ma., relativamente alla attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6; e il rinvia per nuovo giudizio su questi capi e punti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli la quale si uniformerà ai principi di diritto indicati.

4. – I ricorsi di E. e P. e, pel resto, quelli di M., F., A., Ma.Pa., m.

g. e ma. sono infondati.

4.1 – Affatto priva di pregio e del tutto incongruente è la doglianza del ricorrente m.g. per la asserita mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, invero già lucrate in prime cure e confermate dalla Corte territoriale (v. p. 2 e 37 della sentenza impugnata).

4.2 – La censura, mossa da A. col settimo motivo di ricorso, per la ritenuta continuazione interna, è inammissibile.

La evidente carenza di interesse del giudicabile a dolersi del trattamento sanzionatorio più favorevole (conseguito al riconoscimento della continuazione) rispetto a quello risultante dal cumulo materiale delle pene comporta ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a), l’effetto della inammissibilità del mezzo di impugnazione.

4.3 – E’ destituita di fondamento la denunzia di inosservanza della legge processuale formulata dal ricorrente A., con l’undicesimo motivo di impugnazione, sotto il profilo espresso della violazione del principio devolutivo (e implicito della contravvenzione al divieto della reformatio in peius), per aver la Corte territoriale ritenuto l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, in relazione ai delitti di lesione personale in danno di soggetto non identificato (capo A/D) e ai connessi reati di detenzione e di porto illegali di arma comune da sparo (capo A/A), mentre il giudice di primo grado non avrebbe affermato la ricorrenza della succitata aggravante per i delitti in parola.

Il temerario assunto difensivo è documentalmente confutato dal dato testuale dalla sentenza appellata.

E, peraltro, lo stesso giudicabile con l’atto di appello aveva espressamente chiesto la "esclusione dell’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7", ritenuta dal giudice della udienza preliminare in relazione ai delitti in questione (v. p. 12 e 13 dell’appello redatto dal difensore, recante la data dell’11 luglio 2009, depositato quello stesso giorno).

4.4 – Non merita di essere presa in considerazione la gradata doglianza del ricorrente E. circa il mancato riconoscimento della attenuante della minima importanza nella compartecipazione delittuosa, à sensi dell’art. 114 c.p..

Al di là della considerazione della estrema genericità della richiesta (meramente assertiva della ricorrenza della aggravante a dispetto dell’accertamento delle personali condotte di primario rilievo nelle concorsuali azioni delittuose) il punto della attenuante de qua non ha formato oggetto del giudizio di appello, non avendo il giudicabile formulato alcuna censura in proposito con l’atto di gravame, redatto il 26 giugno 2009 col ministero del difensore di fiducia avvocato Ivo De Angelis e depositato il 3 luglio 2009.

Epperò, escluso palesemente il vizio di motivazione, soccorre il rilievo del concorrente motivo di inammissibilità previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 3, trattandosi di (supposta) violazione di legge non dedotta con i motivi di appello.

4.5 – Per il resto non ricorre vizio alcuno di violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte di appello esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna apprezzabile, alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

4.6 – Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

Questa Corte non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato:

– nè il vizio della contraddittorietà della motivazione che consiste nel concorso (dialetticamente irrisolto) di proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa;

– nè il vizio della illogicità manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione.

Epperò i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dai ricorrenti, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 4.7 – Conseguono il rigetto dei ricorsi di E. e P. e, nel resto, di quelli di M., F., A., Ma.Pa., m.g. e ma., nonchè la condanna di E. e P. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata nei confronti di Ma.Pa., relativamente al reato di cui al capo A), limitatamente alla aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e alla pena della multa, che elimina.

Annulla la sentenza impugnata e la sentenza 26 febbraio 2009 del giudice della udienza preliminare del Tribunale di Napoli, nei confronti di F. e A., relativamente al reato di cui al capo L), e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al Tribunale di Napoli.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M., F. e A., relativamente al reato di cui al capo F); nei confronti di Ma.Pa., relativamente alla aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, ritenuta per il capo V); nei confronti di m.g., relativamente alla pena e al beneficio della non menzione; nei confronti di A., relativamente alla attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1; e nei confronti di ma., relativamente alla attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.

Rinvia per nuovo giudizio su questi capi e punti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Rigetta nel resto i ricorsi di M., F., A., Ma.Pa., m.g. e ma..

Rigetta i ricorsi di E. e P. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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