T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 11-07-2011, n. 1863 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Brw & Partners s.r.l. contesta la determinazione del contributo dovuto per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 1392, avente ad oggetto la realizzazione, in un immobile sito in via Savona, n. 97, di un soppalco praticabile ad uso ufficio di mq. 123,51 ed il cambio di destinazione d’uso da laboratorio ad ufficio al piano terra per mq. 150,19.

Chiede, quindi, l’annullamento della nota con cui il Comune di Milano ha fissato tale contributo in euro 124.546,50, della deliberazione della giunta comunale n. 2463 del 3.11.2004, avente ad oggetto "approvazione dell’incremento di diritti ed oneri previsti per il rilascio dei titoli edilizi in sanatoria ai sensi dell’art. 32, c. 40, d.l. n. 269/2003", della deliberazione della giunta comunale n. 2644 del 16.11.2004, avente ad oggetto " approvazione dei termini e delle modalità di versamento del contributo di costruzione – determinazione della quota di anticipazione e della misura di incremento degli oneri di urbanizzazione in applicazione dell’art. 4 della l. reg. Lombardia n. 31/2004" e della deliberazione del Consiglio Comunale n. 73 del 21.12.2007, avente ad oggetto "determinazione, in aggiornamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti per titoli abilitativi di interventi di nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazione edilizia".

2. Queste le censure dedotte:

I. erroneo inquadramento dell’abuso realizzato nella tipologia 1 di cui all’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 in quanto la realizzazione di soppalchi è ristrutturazione edilizia e va ricondotta nella tipologia 3; difetto di motivazione;

II. violazione dell’art. 34, l. n. 326/2003, dell’art. 32, d.l. n. 269/2003, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 31/2004, degli artt. 16 e 19, d.P.R. n. 380/2001, violazione e falsa applicazione delle deliberazioni della G.C. n. 2493/2004 e n. 2644/2004 e della deliberazione del C.C. n. 73/2007; violazione del principio tempus regit actum e dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento; violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23 e 24 Cost.;

III. illegittimità delle deliberazioni della G.C. n. 2493/2004 e n. 2644/2004 e della deliberazione del C.C. n. 73/2007 per violazione e falsa applicazione dell’art. 32, n. 34, d.l. n. 269/2003 e della l. reg. Lombardia n. 31/2004 e per incompetenza assoluta.

3. Con memoria depositata l’11 aprile 2009, la ricorrente ha, altresì, eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, c. 6, l. reg. n. 31/2004 per contrasto con gli artt. 117 c.3, 3 e 97 Cost.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Milano contestando la fondatezza delle censure dedotte.

5. All’udienza del 5 maggio 2010 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

6. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta l’erroneità e il difetto di motivazione dell’inquadramento di uno dei due abusi oggetto di condono – consistente nella realizzazione di un soppalco praticabile, ad uso ufficio, di 123,51 mq. – nella tipologia 1 di cui all’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, anziché nella tipologia 3, nella quale dovrebbe essere ricompresa in quanto opera di ristrutturazione edilizia.

Il motivo è fondato.

La realizzazione di un soppalco praticabile all’interno di una unità immobiliare, privo di autonomia strutturale e funzionale, costituisce un intervento di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1 – lett. d), d.P.R. n. 380/2001 (secondo cui sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti") (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 28 novembre 2008, n. 20563; sez. VI, 11 aprile 2007, n. 3329).

L’opera edilizia in questione rientra, in particolare, tra gli interventi di ristrutturazione edilizia che l’art. 10, comma 1 – lett. c), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 assoggetta a permesso di costruire, in quanto porta ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comporta un aumento delle superfici utili.

La necessità del permesso di costruire – contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’amministrazione – non consente però di ricondurre l’abuso alla tipologia 1: l’intervento in questione, nonostante necessitasse del permesso di costruire e non sola della denuncia di inizio attività, rimane pur sempre qualificabile quale intervento di ristrutturazione edilizia e non quale nuova costruzione; esso rientra, pertanto, nella tipologia 3 di cui all’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 ("opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio").

Il Collegio non condivide le ulteriori ragioni addotte dalla difesa dell’amministrazione resistente a sostegno della qualificazione dell’abuso quale nuova costruzione.

Non assumono, difatti, rilievo, nel caso di specie, i limiti posti dal testo unico dell’edilizia agli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, ciò perché non risulta né che l’opera abusiva sia stata realizzata previa demolizione di un preesistente fabbricato né che siano state poste in essere modifiche alla volumetria o alla sagoma (ma solo alla superficie).

La difesa dell’amministrazione non può, poi, utilmente invocare la nozione di ristrutturazione edilizia dettata dall’art. 66 del regolamento edilizio del Comune di Milano (ai sensi della quale gli interventi che portano a incrementi di volume e di superficie lorda di pavimento non sono da intendere quali interventi di ristrutturazione edilizia ma di nuova costruzione) in quanto l’unica definizione di ristrutturazione applicabile, ai fini della individuazione della tipologia cui ricondurre l’abuso oggetto di condono, è quella contenuta all’art. 3, c. 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001: è a tale norma, invero, che il d.lgs. n. n. 269/2003, nell’indicare le opere ricomprese nella tipologia 3, fa espressamente rinvio.

Per le ragioni esposte, l’inquadramento dell’abuso in questione nella tipologia 1 si pone pertanto in contrasto con le previsioni dettate dal d.lgs. n. 269/2003.

Per l’effetto il Comune di Milano va condannato a restituire alla società ricorrente il maggiore importo che la stessa ha corrisposto in conseguenza dell’erronea qualificazione dell’abuso.

Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a. la ricorrente ha diritto agli interessi legali. Non essendovi elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione o, in altri termini, per affermare l’inescusabilità dell’errore – stante anche la qualificazione quale tipologia 1, operata dalla ricorrente in sede di presentazione della domanda di condono – gli interessi spettano dalla data della domanda.

7. La ricorrente deduce, poi, l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 34, l. n. 326/2003, dell’art. 32, d.l. n. 269/2003, dell’art. 4, l. reg. Lombardia n. 31/2004, degli artt. 16 e 19, d.P.R. n. 380/2001, violazione e falsa applicazione delle deliberazioni della G.C. n. 2493/2004 e n. 2644/2004 e della deliberazione del C.C. n. 73/2007, violazione del principio tempus regit actum e dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23 e 24 Cost.

La censura è infondata.

Nel caso di specie trova applicazione la l. reg. Lombardia n. 31/2004 (con la quale la Regione Lombardia ha disciplinato la sanatoria degli abusi edilizi prevista dall’articolo 32 del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003) in quanto legge vigente al momento dell’adozione del provvedimento con cui l’amministrazione ha determinato il contributo per il rilascio del titolo in sanatoria: in forza del principio "tempus regit actum" la validità degli atti è, difatti, regolata dalla legge in vigore al tempo della loro formazione, senza che possa quindi essere invocata l’entrata in vigore della normativa regionale solo in un momento successivo alla presentazione dell’istanza (oltretutto incompleta, in quanto mancante delle dichiarazioni Ici e Tarsu, presentate solo nell’ottobre 2008).

Ai sensi dell’art. 4, c. 6, l. reg. n. 31/2004, "gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria sono determinati applicando le tariffe vigenti all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria": poiché al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria (solo nell’ottobre 2008, invero, la ricorrente ha prodotto le dichiarazioni Ici e Tarsu) erano già in vigore le tariffe fissate dalla delibera del Consiglio Comunale n. 73/2007, legittimamente l’amministrazione ne ha dato applicazione, ai fini della determinazione del contributo di costruzione.

8. La deliberazione n. 37/2007 ad avviso della ricorrente sarebbe illegittima per violazione dell’art. 32, c. 34, d.l. n. 269/2003 e per incompetenza assoluta.

Le censure sono infondate.

L’art. 32, c. 34, d.l. n. 269/2003 stabilisce che "con legge regionale gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento": ebbene, la Regione Lombardia ha previsto, con l’art. 4, c. 1, l. reg. n. 31/2004, un incremento massimo degli oneri concessori dovuti in caso di realizzazione di opere abusive del 50%.

La circostanza che tale incremento percentuale operi, in virtù della previsione di cui all’art. 4, c. 6, l. reg. n. 31/2004, sulle tariffe vigenti all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria, non viola alcun principio della legislazione statale.

L’art. 32, d.l. n. 269/2003 si limita, difatti, a stabilire un limite massimo di incremento degli oneri dovuti in caso di sanatoria rispetto a quanto dovuto a seguito di un rilascio di un regolare titolo edilizio.

La disposizione non prende, invece, posizione su quale sia il momento cui debba farsi riferimento per la individuazione delle tariffe da applicare ai fini della determinazione degli oneri, non prevedendo affatto che debbano essere utilizzate le tariffe vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge di sanatoria.

Per contro, la legge regionale lombarda prende a riferimento le tariffe vigenti al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria operato dall’art. 4, c. 6, l. reg. n. 31/2004.

Tale interpretazione non porta ad un incremento complessivo degli oneri di urbanizzazione superiore al 100% – limite previsto dall’art. 32, c. 34, d.l. n. 269/2003 – proprio perché la norma statale non dispone che gli oneri di urbanizzazione debbano essere determinati facendo applicazione delle tariffe vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge di sanatoria.

Poiché gli oneri, determinati ai sensi dell’art. 4, c. 6, l. reg. n. 31/2004, sono stati incrementati nei limiti di quanto previsto dall’art. 32, c. 34, d.l. n. 269/2003, alcuna censura può essere mossa all’atto impugnato.

Quanto al vizio di incompetenza assoluta, è inammissibile per genericità non avendo la ricorrente precisato né se l’incompetenza sia dedotta con riferimento alla Giunta o al Consiglio Comunale né le norme che assume violate.

9. La ricorrente lamenta, poi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, c. 6, l. reg. Lombardia n. 31/2004 per contrasto con l’art. 117, c. 3 Cost. – in particolare, con il principio fondamentale della legislazione statale secondo cui il calcolo del contributo deve essere effettuato con riferimento alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda o, comunque, al momento dell’entrata in vigore della legge di sanatoria – con l’art. 3 Cost. e con l’art. 27 Cost.

Le censure sono infondate.

Con ordinanza 17 marzo 2010 n. 105 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 6, l. reg. 3 novembre 2004 n. 31 – sollevata da questo Tar con ordinanza 20 marzo 2009, n. 53 con riferimento agli artt. 3, 97 e 117 Cost. – statuendo, tra l’altro, che:

– relativamente alle normative sul condono edilizio succedutesi nel tempo (art. 32 decretolegge n. 269 del 2003, art. 39 legge n. 724 del 1994, art. 37 legge n. 47 del 1985) non è ravvisabile un orientamento interpretativo consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale della legislazione statale secondo cui gli oneri di concessione debbano essere determinati con riferimento alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria;

– il criterio delle tariffe vigenti al momento dell’entrata in vigore delle leggi di sanatoria di volta in volta promulgate dal legislatore statale ai fini della determinazione della misura del contributo è ben lungi dell’essere l’unica regolamentazione conforme alla Costituzione, ma rappresenta solo una delle diverse soluzioni astrattamente possibili;

– gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l’abuso è iniziato, al momento in cui l’immobile abusivo è completato, al momento dell’entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell’entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria;

– la materia è necessariamente riservata, per la pluralità delle soluzioni possibili, alla discrezionalità del legislatore;

– in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l’interesse pubblico l’adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso – ugualmente meritevole di protezione – sembra il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore.

10. Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, in parte fondato ed in parte infondato.

11. La complessità delle questioni trattate, che hanno richiesto anche un rinvio alla Corte costituzionale, giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione, e lo respinge per la restante parte.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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