Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-05-2011) 07-07-2011, n. 26690

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione C.O., personalmente, avverso l’ordinanza in data 26.1.2010 del Tribunale di Venezia in funzione ex art. 310 c.p.p. che, in accoglimento dell’appello interposto dal Procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza del 28.12.2010 del Tribunale di Venezia di sostituzione della misura cautelare in carcere applicata al C. con quella degli arresti domiciliari, ripristinava la più grave misura cautelare carceraria.

Deduce il vizio motivazionale in ordine alla valutazione della pericolosità dell’imputato essendosi il giudice a quo basato solo sull’assunto di precedenti condanne, senza alcuna considerazione per il tempo trascorso dalle precedenti condanne.

E’ stata depositata una memoria difensiva con allegati nell’interesse del ricorrente a sostegno del provvedimento del Giudice monocratico del Tribunale di Venezia oggetto di riforma da parte del medesimo Tribunale ex art. 310 c.p.p., con cui si lamenta l’omessa valutazione, da parte del Giudice dell’appello, di precedenti decisioni del Tribunale di Venezia che avevano valutato complessivamente la posizione del C. e sulle quali si era fondata l’ordinanza riformata del Giudice monocratico.

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivo manifestamente infondato.

Invero, nel ricorso afferente i procedimenti "de libertate", devono ritenersi inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice.

Il controllo di logicità della motivazione deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato eccedendo dalla competenza della Cassazione ogni potere di revisione e di apprezzamento degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nonchè ogni valutazione sulle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile dei giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare e del tribunale della libertà (ex ceteris: Cass. pen. Sez. 1^, 20.2.1998, n. 1083, Rv. 210019; Sez. 4^, 17.8.1996, n. 2050).

Le censure addotte s’appalesano, inoltre, estremamente generiche ed incapaci di addurre serie ragioni a supporto dell’idoneità della minore misura degli arresti domiciliari; peraltro, in tema di misure cautelari personali, l’unico principio stabilito dal codice di rito penale, quantunque non enunciato espressamente, è quello della stretta necessità delle misure, in coerenza con l’inviolabilità del diritto coinvolto, e non anche quello dell’attualità di tali misure, che rileva soltanto sotto il peculiare profilo della necessità di tener conto del tempo trascorso dalla commissione del reato (nel caso di specie, molto recente: 8.12.2010) e dell’accertamento delle esigenze cautelari.

Peraltro, benchè il Tribunale dell’appello abbia fondato la propria decisione solo sulle particolari esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) evidenziate dalla pericolosità dell’imputato, le argomentazioni addotte per sovvertire il giudizio più benevolo ex art. 299 c.p.p. del giudice monocratico risultano ben meditate ed esplicitate in una prognosi tratta non solo dai gravi e specifici precedenti penali ma anche dalla gravità dei fatti oggetto di giudizio che inducevano a ritenere una sostanziale professionalità nella commissione di artificiosi furti di denaro presso i bancomat;

il sequestro dell’armamentario al ricorrente e a sua moglie, confortavano la tesi della commissione pregressa e ripetuta di reati contro il patrimonio e quindi correttamente ne è stata desunta la prognosi di elevatissimo pericolo di futura reiterazione.

La motivazione addotta, dunque, s’appalesa del tutto esaustiva e corretta nonchè esente da ogni sorta di vizio.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

Si deve disporre, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. c.p.p..

Si deve incaricare la Cancelleria di provvedere agli immediati adempimenti a mezzo fax.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. c.p.p..

Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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