Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 07-07-2011, n. 26597 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza del 16/02/2011, il Tribunale di Milano rigettava la richiesta di riesame proposta da P.M. avverso l’ordinanza con la quale il g.i.p. del tribunale di Milano aveva disposto il sequestro preventivo, D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, di due beni immobili (un magazzino ed un terreno) sul presupposto che i suddetti beni appartenessero, in realtà, a P. D., padre della ricorrente imputato di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione ed usura. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, la P.M. ha proposto ricorso per cassazione deducendo motivazione apparente sotto i seguenti profili:

p. 2.1. quanto al magazzino, il Tribunale si era soltanto limitato "a non ritenere credibile la tesi difensiva secondo la quale il denaro versato da un medico chirurgo, quale il dott. D.A., per l’apertura di un poliambulatorio ove esercitare la propria professione, rappresentava un concreto e giustificabile investimento da parte di quest’ultimo, approdando alla conclusione apodittica che il socio occulto del dott. D.A. potesse essere unicamente P.D.";

p. 2.2. quanto al terreno, "la dazione di denaro per l’acquisto del terreno è stata documentalmente provata nel 1996/1997 mentre i reati contro il patrimonio sono stati asseritamente commessi dall’imputato dal 2006 al 2009", sicchè il P.D. non "avrebbe potuto far intestare ai figli il terreno al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene formalizzata nel 2007 e salvaguardarlo dal pericolo della confisca".

Motivi della decisione

p. 3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. La ricorrente agisce nella sua qualità di terza proprietaria dei beni sequestrati.

In punto di diritto, in ordine al sequestro preventivo disposto a carico di un terzo estraneo al reato per cui si procede, vanno rammentati i principi dì diritto di seguito indicati. p. 3.1. Incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicchè possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravita, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio (ex plurimis Cass. 11732/2005 riv 231390, in motivazione – Cass. 3990/2008 riv 239269 – Cass. 27556/2010 riv 247722).

L’onere probatorio dell’accusa consiste unicamente nel dimostrare, anche e soprattutto attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella disponibilità dell’indagato "a qualsiasi titolo".

A sua volta il terzo, pur non essendo gravato da alcun onere probatorio ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua esclusiva proprietà. E’ chiaro, quindi, che il procedimento ruota solo ed esclusivamente intorno al suddetto onere probatorio, sicchè sarebbe del tutto incongruo che il terzo facesse valere eccezioni che riguardino l’indagato e che solo costui potrebbe far valere (in terminis Cass. 14215/2002 Rv. 221843 "in tema di sequestro preventivo, quando il provvedimento sia stato adottato nei confronti di soggetti estranei al procedimento penale, con riferimento alle ipotesi di confisca obbligatoria previste dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies del, conv. con modif. nella L. 7 agosto 1992, n. 356, i soggetti anzidetti sono legittimati a richiedere il riesame o a proporre appello limitatamente alla presunzione di interposizione di persona in base alla quale la misura cautelare è stata disposta, onde far valere la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza di relazioni di "collegamento" con l’imputato, restando esclusa tale legittimazione in relazione a profili diversi del provvedimento di sequestro, sui quali le persone estranee al provvedimento non hanno titolo alcuno ad interloquire"; Cass. Sez. 2^, 23/03/2011, Tondi). In altri termini proprio perchè il terzo sostiene di essere lui il vero ed esclusivo proprietario del bene sequestrato, sarebbe una contraddizione in termini se facesse valere un’eccezione che presuppone: a) la contestazione di uno dei reati indicati nell’art. 12 sexies cit.; b) la prova – a carico dell’indagato – della legittima provenienza del suddetto bene.

Pertanto, nel caso in cui il sequestro colpisca un bene di un terzo, gli esiti del processo possono essere i seguenti: – l’accusa non riesce a dare la prova che il bene è nella disponibilità dell’indagato: il bene va restituito al terzo;

l’accusa riesce a dare la prova che il bene è intestato fittiziamente al terzo essendo in realtà nella disponibilità dell’indagato: in tal caso, il bene è sequestrato;

– ogni altra questione attinente alla pertinenzialità o sproporzione rispetto al patrimonio, è estranea alla problematica che, lo si ripete, ruota solo ed esclusivamente intorno alla prova – spettante all’accusa – che il bene, nonostante sia intestato formalmente al terzo, sia nella disponibilità dell’indagato. p. 3.2. Il secondo principio di diritto che va rammentato è quello secondo il quale il ricorso per cassazione può essere proposto solo ed esclusivamente per violazioni di legge ex art. 325 c.p.p. sicchè il vizio di motivazione, secondo il pacifico l’indirizzo giurisprudenziale (SSUU 25080/2003 riv 224611 – SSUU 5876/2004 riv 226710 -SSUU 25932/2008 riv 239692 – Cass. 19598/2010 riv 247514) può essere dedotto in soli due casi: a) quando la motivazione manchi del tutto (ed mancanza grafica della motivazione); b) quando la motivazione, pur presente graficamente, sia apparente. Con tale sintagma ("motivazione apparente"), la giurisprudenza di questa Corte intende quella motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. p. 4. Alla stregua dei suddetti principi di diritto è allora evidente l’infondatezza del ricorso.

Infatti, il Tribunale, con motivazione coerente, logica ed adeguata ha puntualmente disatteso la tesi difensiva della ricorrente spiegando le ragioni per le quali la ricorrente era, con evidenza, "il fragilissimo schermo del padre".

In questa sede, la ricorrente ha ribattuto – relativamente al magazzino di Seregno – sostenendo che la suddetta motivazione sarebbe illogica, contraddittoria e carente.

Sennonchè si deve replicare richiamando il principio enunciato dall’art. 325 c.p.p. secondo il quale possono essere dedotti solo violazioni di legge.

E, nel caso di specie, è del tutto evidente che non ci si trova affatto davanti ad un caso di motivazione mancante o apparente, avendo il tribunale ampiamente confutato gli argomenti difensivi allegati dalla ricorrente.

In altri termini, la doglianza, nei termini in cui è stato proposta, va ritenuta infondata atteso che la ricorrente, lungi dal denunciare violazioni di legge, lamenta, a ben vedere, pretesi vizi motivazionali che, però, non possono trovare accoglimento in questa sede. p. 5. Quanto, infine, al terreno di Desio – relativamente al quale la ricorrente lamenta una pretesa violazione di legge consistente nel fatto che non vi sarebbe pertinenzialità fra i reati e l’acquisto del terreno – è sufficiente rammentare che:

– per quanto sopra detto, la ricorrente, in quanto asseritamente terza, non può sollevare eccezioni che spettano all’indagato;

– in ogni caso, il requisito della pertinenzialità, in relazione al sequestro finalizzato alla confisca di cui all’art. 12 sexies legge cit. è stato escluso proprio dalle citate SSUU che, in proposito, osservarono "che il legislatore, nell’individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la derivazione di tali beni dall’episodio criminoso singolo per cui la condanna è intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine all’attitudine criminale. In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale della disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l’attività criminosa de condannato". p. 6. In conclusione, essendosi il Tribunale attenuto ai principi di diritto che governano la subiecta materia in tema di distribuzione dell’onere probatorio e della prova in ordine all’intestazione fittizia in capo alla ricorrente dei beni sequestrati, desunta legittimamente, da presunzioni gravi, precise e concordanti, la censura va respinta, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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