Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 07-07-2011, n. 26593

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 11/11/2010, il Tribunale del riesame di Milano confermava l’ordinanza pronunciata in data 17/10/2010 con la quale il g.i.p. del tribunale della medesima città aveva applicato, nei confronti di L.A.P., la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies aggravato dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 perchè, in concorso con V.C., al fine di garantire a costui di eludere le disposizioni di legge in tema di misure di prevenzione patrimoniali, intestavano fittiziamente alla (OMISSIS) s.r.l. un bene immobile con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di favorire l’associazione mafiosa ndragheta.

2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

2.1. Contraddittorietà, carenza ed illogicità della motivazione.

Rileva, innanzitutto, il ricorrente, che il tribunale aveva erroneamente sostenuto che, in ordine all’aggravante di cui all’art. 7 D.L. cit., si fosse formato il giudicato cautelare derivante dalla mancata impugnazione dell’ordinanza del 28/07/2010 con la quale lo stesso Tribunale aveva ritenuto la sussistenza della suddetta aggravante in relazione ad un’ipotesi di favoreggiamento personale nei confronti dei latitanti L. e M..

Al contrario, come risultava dal ricorso che veniva prodotto, quell’ordinanza era stata impugnata avanti la Corte di Cassazione.

Sostiene, poi, il ricorrente che il Tribunale, in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, aveva motivato in modo illogico, avendo travisato il contenuto di alcune conversazioni intercettate.

In ogni caso, alla stregua degli indizi evidenziati il contestato reato non era neppure ipotizzabile in quanto "era necessario spiegare perchè, per la singola operazione in oggetto che aveva come bene la compravendita di un’abitazione a basso prezzo, l’operazione doveva essere qualificata quale elusiva, cioè, atta ad ostacolare la rintracciabilità da parte degli inquirenti".

Infine, ad avviso del ricorrente, non era neppure configurabile la contestata aggravante, atteso che la condotta contestatagli era volta a favorire la persona fisica del V. ed il suo patrimonio, ma non quella, attraverso l’interposizione fittizia, di agevolare il sodalizio criminoso della ndragheta.

Infatti, non vi era alcuna prova che esso ricorrente fosse a conoscenza della presunta affiliazione del V. alla ndragheta, nè del ruolo che costui vi svolgeva all’interno della presunta "locale", nè di possibili misure preventive che gli inquirenti intendevano chiedere relativamente al di lui patrimonio.

2.2. Violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3 per non avere il tribunale considerato che la presunzione di cui alla suddetta norma poteva essere vinta non solo dalla prova dell’effettiva rescissione del vincolo associativo ma anche quando sussistevano elementi che facessero ragionevolmente escludere la pericolosità dell’indagato.

Nel caso di specie, era avvenuto che il L. non si era dato alla fuga, non faceva parte di alcuna associazione mafiosa e non aveva mai utilizzato metodi mafiosi: di conseguenza, non poteva essere ritenuta nei suoi confronti la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Motivi della decisione

3. Il ricorso del L., come risulta dalla narrativa, si sviluppa su tre livelli:

– carenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’art. 12 quinquies L. cit;

– carenza dei presupposti applicativi dell’aggravante dell’art. 7 D.L. cit.;

– carenza delle esigenze cautelari.

4. Ora, in relazione alla dedotta carenza dei presupposti del contestato reato di cui all’art. 12 quinquies L. cit., la censura va ritenuta infondata.

Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, il tribunale, ha ampiamente illustrato i gravi indizi di colpevolezza che gravano sul ricorrente.

La motivazione – anche tenuto conto del fatto che ci si trova in una fase in cui sono sufficienti "gravi indizi" e, quindi, non occorre che l’accusa provi la colpevolezza dell’indagato "al di là di ogni ragionevole dubbio" – va ritenuta ampia, congrua ed adeguata alla stregua degli evidenziati elementi fattuali e logici (cfr pag. 5 ss) sicchè la doglianza (pag. 4 – 10 del ricorso), a ben vedere, si risolve in nulla più che in un tentativo di introdurre in questa di legittimità una nuova ed alternativa valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente esaminati e valutati dal Tribunale.

5. Fondata, invece, deve ritenersi la censura in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. cit..

Sul punto, il Tribunale ha ritenuto che la configurabilità della suddetta aggravante potesse desumersi dal fatto che l’istanza di riesame presentata dal ricorrente, in un altro procedimento in cui risulta indagato per il reato di favoreggiamento aggravato sempre dall’art. 7 D.L. cit., fosse stata respinta dal tribunale e la relativa ordinanza non fosse stata impugnata.

Sulla base di tale presupposto, il tribunale ha ritenuto che "vi è la formazione di un giudicato cautelare, circostanza che riverbera i suoi effetti in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 già ritenuto sussistente per l’episodio del favoreggiamento personale".

Ora, a parte che il ricorrente ha prodotto il ricorso in Cassazione avverso la suddetta ordinanza che è stato discusso e deciso da questo stesso Collegio in data odierna, l’errore concettuale in cui è caduto il tribunale consiste nell’aver ritenuto che l’aggravante in questione, sia pure configurabile in relazione al contestato reato di favoreggiamento, potesse essere automaticamente ritenuta sussistente anche per il diverso reato di cui al presente procedimento.

E’ del tutto evidente, infatti, che fra i due reati non vi è alcuna relazione biunivoca (il favoreggiamento è stato contestato nei confronti di tali L. e M. e non, quindi, del V.), sicchè il fatto che, a carico del ricorrente, fossero stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato dall’art. 7 D.L. cit, non poteva esimere il tribunale dal motivare, nuovamente ed autonomamente, in ordine alla sussistenza della suddetta aggravante in relazione al diverso reato oggetto del presente procedimento proprio perchè si tratta di un reato completamente diverso dal favoreggiamento e commesso in concorso con altra persona.

La totale mancanza di motivazione in ordine alla suddetta aggravante, travolge anche quella parte della motivazione con la quale il tribunale, sul presupposto della configurabilità dell’art. 7 D.L. cit., ha ritenuto di motivare sulle esigenze cautelari sulla base della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio, dovendo il tribunale nuovamente motivare in ordine alla sussistenza dell’art. 7 D.L. cit. e delle esigenze cautelari.

P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza sul punto della sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

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