Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 07-07-2011, n. 26591 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 6/08/2010, il Tribunale del riesame di Milano confermava l’ordinanza pronunciata in data 5/07/2010 con la quale il g.i.p. del tribunale della medesima città aveva applicato nei confronti di G.V. la custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 575 e art. 577, comma 1 e D.L. n. 152 del 1991,art. 7 per avere organizzato, quale mandante, la morte di N.C., in concorso con B.A. (esecutore materiale) e T.A.G. (quale partecipe), con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di agevolare l’associazione mafiosa denominata ndragheta. In (OMISSIS).

Il tribunale, premetteva che il N., nel momento in cui venne assassinato, rivestiva un ruolo di primo piano nell’organizzazione mafiosa ndragheta in Lombardia in quanto, non solo era stato fra i "padri" fondatori della struttura criminale operante in Lombardia ma, con il tempo, ne era diventato il capo assoluto.

In tale suo ruolo, aveva maturato l’ambizione di rendere le varie "locali lombardi" indipendenti da quelle calabresi di riferimento e, contemporaneamente, di renderle "dipendenti" dalla Lombardia e dal suo capo ossia da sè stesso.

Questo progetto, però, fu mal visto dalle cosche calabresi che decisero di ucciderlo in quanto quel progetto, se portato a termine, avrebbe scardinato gli equilibri interni dell’organizzazione mafiosa.

Il tribunale, sulla base di alcuni riscontri processuali (intercettazioni telefoniche: pag. 10), rilevava che le indagini per l’identificazione dei due aggressori e dei mandanti si concentrarono, da subito, sugli appartenenti alla cosca di Guardavalle (Cz) facenti capo, oltre che a N. anche a G.V. e nei confronti degli affiliati vicini allo stesso G. e residenti in Lombardia tra cui B.A..

Il Tribunale, poi, evidenziava che fra i due vi era un notevole attrito desumibile:

a) dalle dichiarazioni rese dalla collaboratrice di giustizia, C. R.;

b) da un’intercettazione telefonica captata il 23/04/2008 in cui il G., parlando con tale O., irrideva apertamente ad alcune disavventure giudiziarie in cui era incappato il N.;

c) da una conversazione fra M. e Mu., captata il 3/05/2008, dopo che si era tenuto un vertice mafioso in cui i due parlavano del difficile rapporto fra il N. ed il G.;

d) dal fatto che il N. non venne invitato ad un matrimonio della figlia di un alto esponente mafioso;

e) dal fatto che lo stesso N., dopo l’omicidio di Cr.

R. ucciso in (OMISSIS), si era mostrato preoccupato, in quanto si era trattato di un episodio emblematico "della tensione interna esistente tra i gruppi locali e tra questi e le cosche calabresi, tensioni che sicuramente coinvolgono i rapporti fra N. e G.".

Quanto agli esecutori materiali, il Tribunale, sulla base di numerosi riscontri fattuali, ne individua uno in B. mentre il T. ne aveva assicurato la fuga (cfr pag. 13 ss).

Infine, il Tribunale, sosteneva che il ruolo di mandante del G. aveva trovato conferma in altre conversazioni captate, in data 13/08/2009, all’interno dell’autovettura Bmw tg (OMISSIS) e, in data 17/04/2009, all’interno di un’altra autovettura, tra M. e P., in cui il M., in modo chiaro parlava dell’omicidio di N. ricollegandolo al G. ed al B..

2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo illogicità e contraddittorietà della motivazione sotto i profili di Seguito indicati.

Quanto al movente, il G. non aveva alcun interesse ad eliminare il N., giacchè non era collegato ad alcuna cosca lombarda o calabrese con interesse al controllo sul suddetto territorio lombardo.

Il ricorrente, infatti, non apparteneva alla presunta c.d. Provincia e/o Crimine, fatto questo che non risultava provato.

D’altra parte, tutti i riscontri utilizzati dal tribunale a sostegno della tesi accusatoria, dovevano ritenersi inconsistenti o inconferenti atteso che:

– era falso quanto dichiarato dalla C.;

– la morte del N. era una risposta all’uccisione del Cr. da parte di una ndrina avversaria;

– una informativa della DIA di Catanzaro attribuiva l’omicidio al fatto che il N. non aveva spartito il denaro ricavato da un’estorsione e dai lavori di costruzione del porto di Badolato;

– il colloquio tra G. ed O. dimostrava nient’altro che "antiche antipatie reciproche mai celate, non certo eziologia omicidiaria";

– dalla lettura non parcellizzata dei colloqui fra M. V. e Mu. appariva "chiaro come le opinioni espresse dal G. non costituivano il preludio ad una azione, anzi al contrario, egli ribadiva di non volere sostenere alcunchè o fare alcunchè in merito";

– inconferente doveva ritenersi l’episodio del matrimonio;

– non poteva essere ritenuto indiziante un colloquio avvenuto dopo un anno tra terzi ( M. e P.) in cui venivano rivelati fatti raccontati e vissuti da altri e per i quali sarebbero state necessarie esterne individualizzanti corroborazioni.

Peraltro il ritenuto "chiaro riferimento all’omicidio" da parte del tribunale doveva ritenersi apodittico e privo di alcun riscontro atteso che:

1) non era certo che i due parlassero dell’omicidio N.;

2) non era certo che il Ce. di cui parlavano si identificasse con il ricorrente;

3) non era certo che l’uomo muscoloso di cui parlavano (e che aveva commesso l’omicidio) si identificasse nel B.;

4) la trascrizione del ctp Co.Va. aveva dimostrato che il colloquio aveva un significato diverso da quella offerta dai C.C. e la divergenza aveva interessato alcuni punti salienti essendo emerso che:

a) la persona collegata a tale R. non poteva essere B.;

b) " Ce." non poteva identificarsi con il G.;

c) il fatto raccontato al M.V. da suo fratello M.N., non era stato vissuto da quest’ultimo in prima persona ma a lui riferito da tale " Ra.".

Il ricorrente, infine, conclude sostenendo che la spiegazione data dal tribunale alle sue obiezioni doveva ritenersi illogica e contraddittoria.

Inoltre non potevano ritenersi dimostrativi del presunto mandato omicidiario i presunti summit cui avrebbero partecipato il G. ed il B., in quanto si trattava di contatti avvenuti nell’anno 2009 e cioè un anno dopo l’omicidio.

Motivi della decisione

3. La censura, nei termini in cui è stata dedotta, è infondata per le ragioni di seguito indicate.

Il ricorrente sostiene che il Tribunale, nel motivare l’ordinanza confermativa dell’ordinanza di custodia cautelare, sarebbe incorso in patenti illogicità e contraddizioni in tutto l’iter motivazionale sia nella ricostruzione del movente (cfr. pag. 2-6 ricorso), sia nella valutazione degli indizi (cfr. 6 ss ricorso), sia perchè non avrebbe preso in esame le osservazioni difensive.

Sennonchè, deve obiettarsi che le suddette censure, raffrontate con la motivazione, devono ritenersi nulla più che un modo surrettizio di introdurre in questa sede di legittimità una nuova ed alternativa versione dai fatti rispetto a quella data dal tribunale, la cui motivazione, resa alla stregua di precisi riscontri fattuali, non si presta alle generiche censure mosse dal ricorrente.

In merito, si può, infatti, osservare quanto segue.

In ordine al movente, il Tribunale ricostruisce, in modo accurato e puntuale, il contesto criminale nell’ambito del quale la vittima (capo indiscusso della ndragheta lombarda nonchè facente parte anche della cosca calabrese di riferimento di Guardavalle) ed il ricorrente (capo della cosca di Guardavalle) agivano e le ragioni per le quali, ad un certo momento – ossia quando il N., contro la volontà e gli interessi delle cosche calabresi di riferimento, decise di affrancarsi dalle medesime per avere, in Lombardia, un ruolo primario ed autonomo – ne fu deciso l’omicidio.

La suddetta motivazione, resa alla stregua di precisi riscontri fattuali (cfr pag. 3 – 13), è logica, congrua ed adeguata sicchè le censure ad essa mosse, appaiono, a ben vedere, infondate.

Il ricorrente, infatti, sostiene che:

– egli non aveva alcun interesse ad essere coinvolto nell’omicidio perchè non era neppure indagato di far parte della c.d. Provincia nè era stato indicato alcun elemento indiziario che dimostrasse, in maniera grave, il collegamento di esso ricorrente con il ritenuto vertice che avrebbe "licenziato" il N.;

– diversi potevano essere i moventi omicidiari, fra cui quello della ritorsione per l’omicidio di Cr., ovvero come vendetta per non avere spartito il denaro locupletato dalle estorsioni.

Sennonchè deve replicarsi che la suddetta censura tende non solo a minimizzare il contesto criminale ma è anche fuorviante nella parte in cui concentra la sua attenzione sul fatto che il G. non sarebbe indagato.

In realtà, la suddetta circostanza è stata espressamente ammessa dallo stesso tribunale, il quale, dopo avere premesso che il ricorrente non risponde del reato di associazione a delinquere operante in Lombardia (cfr. pag. 3), non dubita, però, che il medesimo sia capo della "potente" cosca di Guardavalle (Cz) della quale faceva parte anche il N., non peraltro perchè risulta imputato del reato di cui all’art. 416 bis c.p. nell’ambito del procedimento penale n 6689/01 istruito dalla DDA di Catanzaro (cfr. pag. 9 ss ordinanza).

Non è vero, quindi, che il G. sia estraneo alla ndragheta, essendo, al contrario, secondo i riscontri indicati dal tribunale, uno dei capi delle cosche calabresi alle quali facevano capo le cosche milanesi e che mal sopportavano il piano del N. di creare una struttura criminale autonoma in Lombardia del tutto affrancata da quella calabrese.

Quanto ai rapporti conflittuali fra il G. ed il N., il Tribunale li illustra in modo ampio e convincente (cfr. pag. 10 ss), così come disattende i pretesi moventi alternativi (cfr. pag. 12 quanto all’omicidio Cr.), sicchè le censure del ricorrente appaiono inammissibili in sede di legittimità, sia perchè frazionano il complessivo quadro indiziario, sia perchè propongono ricostruzioni alternative (peraltro confutate dal Tribunale).

Quanto agli indizi specifici, il Tribunale dedica alla loro valutazione molte pagine dell’ordinanza impugnata e, dopo avere disatteso la tesi difensiva tendente a fornire una diversa prospettazione e lettura dei fatti (cfr pag. 11-17-18-19), alla fine, fornisce un quadro accusatorio del tutto coerente, logico ed adeguato agli evidenziati riscontri fattuali.

In questa sede, il ricorrente, torna a reiterare le proprie doglianze, limitandosi, però, a ben vedere, da una parte, a frazionare il complesso indiziario, dall’altra, a cercare di disarticolare i singoli indizi, non tanto sul piano logico e/o della contraddittorietà, quanto nel fornire, surrettiziamente, ancora una volta, una versione alternativa o minimalista: cfr. ad es. ricorso a pag. 11 in cui si cerca di sminuire un colloquio intercettato che evidenziava il malanimo del G. nei confronti del N.;

pag. 11 – 12 quanto alle conversazioni n 758 e 759 del 3/5/2008; pag.

13 quanto all’episodio del mancato invito del N. alle nozze della figlia di un boss della ndragheta; pag. 15-16 quanto alla valutazione di alcune intercettazioni; pag. 18 quanto all’esecutore materiale, laddove il Tribunale, con un profluvio di indizi, lo ha identificato nel B.; pag. 19 ss quanto al preteso travisamento del contenuto di alcune intercettazioni laddove il tribunale – pag.

19 motivazione – ha espressamente disatteso la tesi difensiva.

In conclusione, deve ritenersi che le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

In altri termini, le censure devono ritenersi infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento": infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune; Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze:

ex plurimis SSUU 24/1999.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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