T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 11-07-2011, n. 198 Costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il ricorrente è proprietario di immobili nel centro storico di Cisterna, frazione di Gualdo Cattaneo, facenti parte di un borgo risalente al XIII secolo.

Il borgo, pressoché abbandonato a partire dagli anni "70, è stato oggetto negli ultimi quindici anni di interventi di restauro e consolidamento; restano da completare la viabilità ed i connessi servizi pubblici.

Da tempo, l’accesso al borgo è assicurato da una strada che, costeggiando la particella 111, attraversa le particelle 113 e 114 e giunge davanti alla particella 109 (del foglio 17 del N.C.E.U.).

2. La proprietà del ricorrente comprende, per quanto qui interessa, un terreno, individuato alla particella 113. Gli altri immobili direttamente coinvolti nella controversia, appartengono, rispettivamente:

– a parenti del ricorrente (un fabbricato, individuato alla particella 112, ed un terreno, individuato alla 111);

– ad una società, che gestisce attività ricettiva di case ed appartamenti per vacanze (oltre ai fabbricati individuati alle particelle 115 e 116, un terreno individuato alla 114).

3. Negli ultimi anni, detta società ha sollecitato il Comune a ripristinare il tracciato preesistente della strada, sostenendo che il suo spostamento, la realizzazione di muri e l’alterazione del piano di campagna, siano stati realizzati dai suddetti vicini, senza titolo, nel periodo 19952001, in occasione della ristrutturazione degli edifici di loro proprietà.

Il Comune, anche dovendo dar seguito al programmato rifacimento della pavimentazione della viabilità, ha effettuato le opportune verifiche, che confermano come il tracciato attuale della strada non coincida con il tracciato risultante dalle mappe catastali.

Con d.G.C. n. 161 in data 30 novembre 2007, è stato approvato il progetto definitivo per la realizzazione della pavimentazione e dei sottoservizi del centro storico di Cisterna; il progetto (al fine di consentire un accordo tra i frontisti, evitando demolizioni) contempla due ipotesi: un tracciato stradale sostanzialmente rispettoso dello stato attuale dei luoghi, ed un tracciato corrispondente a quello risultante dal catasto.

Tuttavia, i frontisti non hanno trovato un accordo.

Cosicché, il Comune ha attivato il procedimento di ripristino della strada demaniale ed è giunto all’adozione dell’ordinanza n. 57 in data 25 giugno 2010, con cui, richiamando gli articoli 31 del d.P.R. 380/2001, 15, comma 1, lettera a), del d.lgs. 285/1992, 54 comma 2, del d.lgs. 267/2000, ha rilevato che il tracciato originario (catastale):

a) in parte, nell’area compresa tra la particelle 111 e 113, risulta occupato da un muro di recinzione e di sostegno;

b) in parte, nell’area compresa tra le particelle 112 e 113, risulta occupata da un giardino privato;

c) in parte, nella particella 112, risulta occupata da una porzione di fabbricato realizzata in ampliamento di quello esistente sulla particella 110.

Conseguentemente, con detto provvedimento è stata affermata l’occupazione del sedime stradale da parte di opere eseguite senza titolo edilizio ed è stato disposto (per quanto riguarda le opere di cui alle lettere a) e c) il ripristino dello stato dei luoghi.

4. Il ricorrente impugna detto provvedimento, deducendo le censure appresso indicate.

Assume, va sottolineato fin d’ora, che la trasformazione del tracciato della strada rispetto a quello descritto nelle mappe catastali, sia imputabile a precedenti proprietari, e sia avvenuta, presumibilmente, in epoca antecedente agli anni "60.

5. Resistono, controdeducendo puntualmente, il Comune di Gualdo Cattaneo e la suddetta società, controinteressata.

6. Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.

6.1. Il ricorrente lamenta che il ripristino, con riferimento all’occupazione del sedime stradale, sia stato ordinato anche a lui (insieme agli altri proprietari, summenzionati), anche se nessuna delle opere presenti sulla sua proprietà (si ripete: particella 113 del foglio 17) consiste in un’occupazione di suolo pubblico, né tanto meno il nuovo percorso stradale ha determinato un ampliamento di tale proprietà (ma, semmai, il restringimento: purtuttavia, il ricorrente ritiene opportuno che venga mantenuto lo stato dei luoghi così come consolidato negli anni).

Ciò, sottolinea il ricorrente, determina anche l’illegittimità dell’applicazione delle sanzioni previste dagli articoli 15 e 211 del d.lgs. 285/1992 (qualora, al riguardo, dovesse ritenersi la giurisdizione del giudice amministrativo).

Il Collegio, con riferimento al rilievo topografico sovrapposto alla mappa catastale, versato in atti dallo stesso ricorrente (cfr. doc. 9 della produzione documentale), rileva che il muro di sostegno realizzato sulla particella 113, costituisce un segmento di un’opera unitariamente progettata e realizzata, che prosegue senza soluzione di continuità verso la particella 111, attraversando la sede originaria della strada, fino a raggiungere la particella 110; e che anche una porzione del giardino realizzato sulla particella 113 (al di là del muro) si sovrappone a detta sede viaria.

Occorre inoltre tener conto che – come sottolinea la controinteressata, non confutata sul punto dal ricorrente – le particelle 110 e 113 (accatastata quale corte della 110 sub 8) risultavano fino al 2010 come proprietà indivisa dei destinatari del provvedimento impugnato (i quali divisero la proprietà, dopo aver ottenuto in comune i titoli edilizi – concessione n. 105/1993 e variante n. 51/1996 – per ristrutturare l’edificio di cui alla particella 110).

Pertanto, appare corretta l’individuazione (anche) del ricorrente quale destinatario del provvedimento impugnato.

Quanto al profilo di censura concernente l’applicazione delle disposizioni sanzionatorie del Codice della Strada, e prima ancora la stessa giurisdizione del giudice amministrativo riguardo ad esse, va sottolineato che il ripristino trova autonomo fondamento nella violazione delle disposizioni edilizie. Ciò esime il Collegio dall’affrontare la questione di giurisdizione, e prima ancora dallo stabilire se il Comune abbia inteso (anche) comminare la sanzione ripristinatoria prevista dall’articolo 15, comma 4, del Codice.

6.2. Il Collegio ritiene a questo punto utile precisare che il ricorrente non ha fornito alcuna dimostrazione del fatto che gli abusi risalgano ad un epoca remota.

Anche il rilievo aerofotogrammetrico dell’I.G.M. di Firenze in data 13 giugno 2007, versato in atti dal ricorrente in data 4 marzo 2011 (e quindi quando i termini previsti dall’articolo 73, cod. proc. amm., erano ampiamente scaduti) non sembra evidenziare né la presenza dell’edificazione abusiva sulla particella 112, né quella del muro di contenimento, oggetto del ripristino.

Per contro, vanno considerati elementi quali: l’epoca di realizzazione dei lavori di ristrutturazione assentiti, quella del frazionamento della comproprietà del ricorrente, la documentazione fotografica circa lo stato di abbandono del borgo fino ad epoca relativamente recente; tutti elementi che conducono a ritenere più che plausibile la ricostruzione operata dalle parti resistenti.

Va anche precisato che, ancorché il provvedimento impugnato richiami cumulativamente, come parametro di legittimità violato, disposizioni di diverse discipline di settore (quella edilizia, quella del Codice della Strada – ma anche quelle sulle competenze del Sindaco quale Ufficiale di Governo), l’applicazione di ciascuna di esse può condurre autonomamente al ripristino del sedime della strada pubblica.

Ciò detto, occorre considerare che il ricorrente, sotto il profilo edilizio, riguardo alla realizzazione del muro sulla particella 113, prospetta il difetto di motivazione in quanto il provvedimento impugnato non chiarisce esplicitamente se l’opera richiedesse il permesso di costruire, o semplicemente la d.i.a.

L’applicazione dell’articolo 31 del d.P.R. 380/2001, peraltro, lascia intendere che il Comune ritenga necessario il permesso di costruire. In questa ipotesi, sussiste violazione della disposizione predetta, posto che la realizzazione del muro di recinzione è assentibile mediante una d.i.a.; sussiste inoltre violazione dell’articolo 37 del medesimo t.u. dell’edilizia, posto che la sanzione amministrativa irrogabile per detta ipotesi è soltanto quella pecuniaria.

Il Collegio rileva che per l’ordinanza di demolizione di opere prive di titolo edilizio, l’onere motivazionale deve ritenersi assolto con l’indicazione della natura abusiva delle opere; e che, nel caso in esame, il richiamo all’articolo 31 non lascia dubbi sul fatto che il Comune ritenga necessario il permesso di costruire, mentre la descrizione della situazione attuale con riferimento all’esistenza del "muro di recinzione e di sostegno" e del "giardino privato", quali elementi di interruzione del sedime stradale, chiarisce quali siano le opere abusive oggetto di ripristino.

Quanto al titolo edilizio necessario, occorre sottolineare che (secondo quanto desumibile dagli atti acquisiti al giudizio) si tratta di un muro che (nel suo percorso complessivo, dovendosi intendere come opera unitariamente realizzata) si sviluppa per un’altezza variabile da 25 cm a 1,75 m, e svolge funzione non solamente di recinzione ma anche di sostegno di un terrapieno creato per la realizzazione del giardino; pertanto, deve ritenersi costituisca, con la stessa realizzazione del giardino, opera di trasformazione del territorio rientrante nella categoria della "nuova costruzione", che, ai sensi degli articoli 10 del d.P.R. 380/2001 e 13 della l.r. 1/2004 (detta disposizione, in particolare, al comma 1, lettera f), subordina al permesso di costruire "recinzioni, muri di cinta e cancellate antistanti le sedi viarie e le aree pubbliche o di uso pubblico"), ma anche della normativa previgente, necessita del permesso di costruire (la cui mancanza, ai sensi degli articoli 31 del d.P.R. 380/2001 e 6 della l.r. 21/2004, è sanzionabile con la demolizione).

Né, come sopra esposto, è stato in alcun modo dimostrato che la realizzazione delle opere abusive risalga ad un momento antecedente il 1967, e quindi possa sottrarsi all’obbligo del titolo edilizio.

6.3. Il ricorrente sostiene anche vi sia un difetto di motivazione e di istruttoria, oltre che l’eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità.

Ciò, a suo dire, in quanto il Comune ha ordinato il ripristino di una situazione non più esistente da decenni, basandosi soltanto sulle mappe catastali – notoriamente prive di qualunque rilievo probatorio – e comunque omettendo di considerare il consolidamento della situazione di fatto e l’interesse dei privati al mantenimento di essa. Dato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’eventuale abuso, e dallo stesso formale accertamento della sua esistenza, occorreva una motivazione rafforzata in ordine all’interesse pubblico al ripristino, che tenesse conto della posizione di affidamento dei privati controinteressati.

Invece, il Comune, che aveva compiuto i necessari accertamenti già nel 2005, si è preoccupato in questi anni di far "accettare" la situazione di fatto alla società summenzionata, e non essendoci riuscito si è visto "costretto a procedere alla richiesta di ripristino della strada demaniale di cui alla mappa catastale" (così, il provvedimento impugnato), anziché valutare la rispondenza all’interesse pubblico del mantenimento della più funzionale viabilità esistente.

Il Collegio ricorda che la giurisprudenza di questo Tribunale è ferma nel ritenere che, di fronte al poteredovere di reprimere gli abusi edilizi, l’affidamento del privato è tutelabile (sia pure nel limitato senso di esigere una motivazione rafforzata del provvedimento sanzionatorio) soltanto qualora sia stato provato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, e nel contempo l’esistenza dell’abuso sia stata ritenuta implicitamente regolare dall’Amministrazione (in occasione dell’esame di precedenti pratiche edilizie, o di attività di vigilanza sul territorio – cfr. TAR Umbria, 18 marzo 2008, nn. 102103; 18 agosto 2009, n. 492; 21 gennaio 2010, n. 23). Presupposti che, nel caso in esame, per quanto esposto, non sembrano sussistere.

Per il resto, il Collegio è consapevole della valenza probatoria non assoluta delle mappe catastali; tuttavia ciò che viene in esse rappresentato costituisce un riferimento importante, e comunque sufficiente, qualora non vi siano elementi ufficiali di carattere oggettivo a smentirlo.

In ogni caso, quanto alla considerazione degli interessi dei privati al mantenimento (alla legittimazione) della situazione di fatto, non è superfluo ricordare che i beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell’articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di autotutela possessoria. In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l’inerzia dell’amministrazione nella cura della stessa e/o nell’intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all’uso pubblico (c.d. sdemanializzazione tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell’uso stradale pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 7 settembre 2006, n. 5209; V, 6 ottobre 2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 8 luglio 2009, n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20 giugno 2009, n. 445; TAR Emilia Romagna, Parma, 25 maggio 2005, n. 291).

Circa l’asserita maggior funzionalità del mantenimento della sede stradale attuale, si tratta di un punto di vista particolare, non supportato da alcuna valutazione tecnica del Comune (e che si pone contro l’assetto urbanistico storico, al quale, almeno fino a prova contraria, per comune esperienza può riconoscersi una certa razionalità). Tanto, senza considerare che la legittimazione del tracciato attuale comporterebbe l’espropriazione di parte della particella 114, con conseguente obbligo di corrispondere un indennizzo alla società controinteressata. Lo stesso ricorrente sottolinea come il comportamento del Comune, dopo aver invano tentato di favorire un componimento amichevole della controversia tra i privati, sia stato orientato dall’esigenza di ripristinare la legalità, eliminando le trasformazioni abusivamente realizzate; questa ultima circostanza spiega perché siano trascorsi anni dal riscontro ufficiale dell’abuso all’adozione del provvedimento impugnato, ma tale "prudenza" nel comportamento del Comune, dichiaratamente finalizzata a verificare la possibilità di soddisfare (anche) l’interesse del ricorrente, non può certo determinare la nascita di un affidamento tale da impedire l’esercizio del potere di autotutela.

7. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle parti resistenti della somma di 2.000,00 (duemila/00) euro, oltre agli accessori di legge, per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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