Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 07-07-2011, n. 26661 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.K. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 18.06.2010, della Corte d’Appello di Genova di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 25.11.2009 dal Tribunale dello stesso capoluogo in ordine a più delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Con un primo motivo si denuncia vizio di motivazione in punto della ritenuta responsabilità di cessione a terzi di sostanze stupefacenti. Si rappresenta che la condanna si fonda essenzialmente su due fonti di prova: la chiamata di correità del coimputato V. F. da un lato e le intercettazioni telefoniche dall’altro.

Relativamente alla chiamata in correità, si sostiene, mancano i riscontri esterni, nè possono ritenersi tali le telefonate intercettate attese che le pochissime conversazioni tra il ricorrente ed il dichiarante non hanno mai avuto ad oggetto la cessione di stupefacenti, neppure sotto la forma cd. criptata. Quanto alle censure relative alla portata accusatoria delle intercettazioni si evidenzia che le poche telefonate che hanno come interlocutore il P. non sono intelligibili, e, comunque, non possono da sole ritenersi prova sufficiente del fatto delittuoso oggetto della conversazione laddove non è stato acquisito un minimo di riscontro esterno, e per la inverosimiglianza del loro contenuto. Inoltre non si ritiene che le stesse siano state valutate in un contesto "associativo" laddove sarebbe stato importante valutare la frequenza dei contatti telefonici tra gli adepti anche alla luce dei rapporti interpersonali tra gli interlocutori. Con un secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione con riferimento alla affermata insussistenza delle condizioni per la richiesta riduzione della pena, stante, comunque, una mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla pena comminata.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Si evidenzia che il primo motivo di ricorso eccepisce genericamente una violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, sia pure sotto il denunciato vizio di motivazione, indicando alcuni profili privi di qualsivoglia correlazione con la decisione impugnata e manchevoli della dimostrazione per cui alcune circostanze di fatto costituirebbero indice della asserita violazione della richiamata norma processuale.

Con il secondo profilo del primo motivo, poi, a sostegno della censura di manifesta illogicità e carenza di motivazione, si introducono circostanze di fatto palesemente estranee all’ambito del giudizio di legittimità. Si osserva ancora che comunque le censure appaiono manifestamente infondate, dato che la sentenza impugnata ha effettuato una attenta ed esaustiva disamina delle risultanze processuali, e, in primo luogo, in essa viene evidenziata l’attendibilità della chiamata in correità, osservandosi che le dichiarazioni rese dal V. sono state ritenute attendibili dai giudici del merito perchè circostanziate e coerenti, ribadite alla stessa maniera in varie sedi ed anche nel corso dell’incidente probatorio, e perchè, infine, riscontrate dall’attività di P.G. e dalle intercettazioni telefoniche e, soprattutto, dalle dichiarazioni di S.P., cognato del V., che ha confermato le accuse di quest’ultimo a carico del ricorrente. La Corte di merito, nel valutare sul punto la motivazione del Tribunale, alla luce delle censure formulate con il gravame di merito, ha applicato i principi giurisprudenziali affermati in materia da questa Corte secondo cui:

a) i riscontri debbono essere indipendenti dalla chiamata, e cioè devono provenire da fonti estranee alla chiamata stessa, in modo da evitare il cosiddetto fenomeno della "circolarità", da evitare, cioè, che sia la stessa chiamata a convalidare, in definitiva, se stessa; b) non occorre che il riscontro esterno abbia lo spessore di una prova autosufficiente, perchè, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tale elemento esterno e non sulla chiamata in correità; c) per riscontro si deve intendere qualsiasi elemento o dato probatorio, non predeterminato nella specie e qualità, e quindi avente qualsiasi natura, sicchè può consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica, e può consistere anche in un’altra chiamata in correità, a condizione che la stessa sia totalmente autonoma ed avulsa rispetto alla prima.

Dunque, la Corte di appello ha esaminato tutti gli elementi indiziari considerati dalla sentenza di primo grado, giungendo alla conclusione, non censurabile in sede di legittimità con i motivi esposti, in quanto si propone una diversa interpretazione delle risultanze probatorie, della piena attendibilità del dichiarante le cui dichiarazioni hanno avuto un sicuro e serio riscontro esterno.

Quanto al secondo motivo e terzo motivo, la cui trattazione può farsi contestualmente, parimenti sono manifestamente infondati, ricordando che, in tema di valutazione dei vari elementi per la quantificazione della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la cd. motivazione implicita (Cass. sez. 6^ 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass. sez. 6^ 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative, effettuate in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3^ 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).

Certamente, per il caso di specie, non può sostenersi che la pena come determinata dal Tribunale, e ritenuta, anzi, non congrua, quanto alla gravità dei fatti contestati (è rimasto provato che egli ha ricevuto e spacciato notevoli quantitativi di cocaina, 20-30 grammi alla volta, ogni settimana, secondo il rapporto intercorso con S., e una o due volte al mese secondo il rapporto intercorso con il V., ma anche per la loro durata nel tempo), dalla Corte del merito, sia frutto di arbitrio. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del P.K. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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