Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-11-2011, n. 24901 Mercedi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 7.11.2006/1.3.2007 la Corte di appello di Roma confermava la decisione resa da Tribunale di Roma il 30.11.2001, che aveva accolto il ricorso proposto da P.R. nei confronti del Ministero della Giustizia per far condannare quest’ultimo alla restituzione della somme trattenute dall’amministrazione penitenziaria sulla mercede dovuta per il lavoro carcerario.

Osservava in sintesi la torte territoriale, quanto all’eccezione di prescrizione dei crediti azionati, che la stessa doveva escludersi alla luce del principio, sancito nell’art. 2935 c.c., per cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, momento nel caso coincidente con la pronuncia di incostituzionalità della L. n. 354 del 1975, art. 23 nella parte in cui stabiliva una decurtazione dei tre decimi della mercede corrisposta per il lavoro dei detenuti; nonchè, ed ulteriormente, per effetto della sospensione del decorso dei termini, trattandosi di lavoro privo di stabilità reale.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero della Giustizia con due motivi. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, P.R..

Motivi della decisione

Con il primo motivo il Ministero ricorrente, prospettando violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, si duole che la Corte territoriale abbia esteso il thema decidendum, prendendo in esame una questione, quella della decorrenza della prescrizione, che non aveva formato oggetto di esame in prima istanza.

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’amministrazione ricorrente lamenta violazione degli artt. 2934 e 2948 c.c., nonchè della L. n. 354 del 1995, art. 20 ed, al riguardo, osserva che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso che la prescrizione del diritto potesse decorrere durante lo stato detentivo, sebbene il lavoro svolto durante l’esecuzione della pena sia sorretto da garanzia di stabilità, tanto per il carattere obbligatorio dello stesso, quanto per la sua organizzazione ed i suoi metodi, che devono riflettere quelli del lavoro nella società libera.

Il primo motivo è infondato.

Con riferimento all’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero ricorrente,in primo grado, la corte territoriale ha testualmente dato atto "che il primo giudice l’ha ritenuta destituita di fondamento richiamando il principio sancito dall’art. 2935 c.c. a norma del quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Al riguardo ha richiamato l’intervento della Corte Costituzionale del 1992, la n. 49, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 354 del 1975, art. 23 nella parte in cui stabiliva una decurtazione della mercede corrisposta per il lavoro dei detenuti…Tale statuizione che individua la possibilità dell’esercizio del diritto e quindi la decorrenza della prescrizione del diritto al recupero delle trattenute eseguite dall’amministrazione dal momento della dichiarazione di illegittimità costituzionale della predetta norma, non è oggetto di specifica censura da parte del Ministero". Ha soggiunto la Corte romana che "l’appellante si è infatti limitato a prospettare l’erroneità della ritenuta sospensione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenuta dal primo giudice sulla base dell’assimilazione della prestazione di lavoro carcerario al lavoro subordinato privo della stabilità reale" ed ha, quindi, osservato come entrambe le ragioni della decisione siano "idonee a sorreggerla". A fronte di tale accertamento, era onere del ricorrente documentare, in coerenza con il canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, il contenuto della sentenza di primo grado, nonchè dell’atto di appello (che, peraltro, nemmeno risultano indicati, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con riferimento alla loro esatta collocazione nei fascicoli di causa) che sono stati richiamati nella decisione impugnata, e che si assume abbiano formato oggetto di indagine ultra petita da parte dei giudici di merito, provvedendo alla relativa trascrizione.

Ed, al riguardo, deve ribadirsi che, se in presenza di un error in procedendo, come quando si alleghi un vizio riconducibile nell’ambito dell’art. 112 c.p.c., e, quindi, al principio per cui il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e al canone tantum devolutum quantum appellatum, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere- dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui chiede il riesame, e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutti i riferimenti e le precisazioni necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v. ad es. Cass. n. 20405/2006; Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 1170/2004).

Nel caso, l’amministrazione ricorrente ha omesso di indicare in ricorso gli atti su cui l’impugnazione si fonda ed ha, altresì, omesso di specificare, attraverso apposita trascrizione, le difese svolte nei precedenti gradi del giudizio, oltre che il contenuto della decisione oggetto di contestazione; ragion per cui la censura deve ritenersi inammissibile.

Il ricorso, assorbito l’ulteriore motivo, va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 2500,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *