Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-04-2011) 07-07-2011, n. 26658 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 7/7/2010 parzialmente riformava quella del G.U.P. presso il Tribunale di Alba del 9/12/2009, che, per quanto qui rileva, aveva condannato G. P. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 30.000,00 quale responsabile del reato di cui all’art. 73 legge stupefacenti e di numerosi furti aggravati in esercizi pubblici, riconoscendo il vincolo della continuazione. La Corte sostituiva la interdizione temporanea dai pubblici uffici alla interdizione perpetua e eliminando la interdizione legale.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Chiede dichiararsene la nullità per carenza ed illogicità di motivazione per quanto attiene la ritenuta responsabilità per i reati di cui ai capi D) ed M) della rubrica, non sostenuta – secondo il ricorrente – da sufficienti dati indiziari e da corretta motivazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Lamenta il ricorrente che unico dato indiziario a suo carico relativamente ai furti di cui ai capi D) ed M) sarebbe il risultato dei contatti telefonici tra gli imputati, che assurge a dignità di prova sulla base della considerazione che le modalità dei furti addebitati agli imputati sono le stesse di altri episodi che sono stati provati (forzatura di finestre e impossessamento del denaro delle macchinette); si tratta di motivazione banale in quanto la totalità dei furti in esercizi commerciali comporta le stesse modalità operative.

3. Rileva il Collegio che la sentenza impugnata, nel rispondere ad analoga censura svolta dal G. con l’appello, ha, del tutto logicamente e congruamente ricavato sufficienti elementi indiziari a suo carico non solo per le analoghe, riscontrate, modalità operative dei fatti in considerazione con altri furti commessi in altri esercizi commerciali, ma anche per il fatto che erano stati positivamente accertati, anche con controllo satellitare, contatti tra il telefono dell’attuale ricorrente e quello dei complici nella notte in cui erano avvenuti i furti e in località assai prossime a quelle dei locali oggetto di furto, tanto da ritenere, per il capo M), che il G. avesse effettuato un sopraluogo, di cui dava conto telefonicamente a C. dicendogli di stargli dietro perchè lui sapeva dove andare.

4. E’ noto che secondo il combinato disposto dell’art. 591, comma 1, lett. c) e art. 581, comma 1, lett. c), l’impugnazione deve infatti contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta.

La previsione ha ragion d’essere nella necessità di porre il giudice della impugnazione in grado di individuare i capi e i punti del provvedimento che si intendono censurare e presuppone che le censure stesse siano formulate con riferimento specifico alla situazione oggetto di giudizio e non già con formulazioni che, per la loro genericità, si attagliano a qualsiasi situazione.

La sanzione trova applicazione anche quando il ricorrente nel formulare le proprie doglianze nei confronti della decisione impugnata trascura di prendere nella dovuta considerazione le valutazioni operate dal giudice di merito e sottopone alla Corte censure che prescindono da quanto tale giudice ha già argomentato.

Nel caso in esame il ricorrente censura la sentenza impugnata sulla base della mera prospettazione del vizio sopra riportato, senza riguardo a quanto motivatamente la sentenza impugnata ha già osservato in merito alle censure del ricorrente già prospettate con l’appello e dunque incorre nel vizio in questione.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente onere dell’imputato di sostenere le spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in considerazione dei motivi dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 186 del 2000 in Euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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