Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 07-07-2011, n. 26616

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 18 agosto 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, confermava l’ordinanza 4 agosto 2010 con la quale il GIP della medesima sede giudiziaria aveva applicato nei confronti di F.R. la misura cautelare della custodia in carcere siccome indagato in relazione al reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, commesso nella provincia di Reggio Calabria,in altre parti del territorio nazionale ed estero sino alla data odierna e consistito nell’avere fatto parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndranghetta, con qualità di partecipe attivo del locale di Canolo, con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio.

Preliminarmente il tribunale dichiarava destituita di fondamento l’eccezione relativa alla perdita di efficacia dell’ordinanza di custodia cautelare per omesso espletamento dell’interrogatorio di garanzia da parte del GIP del Tribunale di Reggio Calabria cui erano stati trasmessi gli atti ex art. 27 c.p.p dal GIP del Tribunale di Locri, posto che all’interrogatorio aveva proceduto il primo GIP e il nuovo provvedimento non era fondato su indizi o esigenze cautelari diverse, in tutto o in parte, da quelle poste a fondamento della prima ordinanza.

Nel merito poi, riteneva la richiesta di riesame infondata e richiamava l’ordinanza impugnata unitamente al testo del decreto di fermo ex art. 384 c.p.p.. Premesse quindi delle articolate argomentazioni circa la struttura e la natura del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., osservava come dalle indagini e dal contenuto dei numerosi dialoghi intercettati risultasse l’esistenza di una associazione di stampo mafioso ampia ed articolata che vede un vertice denominato Provincia, con compiti, funzioni e cariche proprie il quale esercita nei confronti delle locali che operano sia nella provincia di Reggio Calabria che in altre regioni ed all’estero, attività di direzione e coordinamento ed è diviso, a sua volta, in tre sub strutture di coordinamento, i cd. Mandamenti,, competenti a decidere su specifiche aree: quella Ionica, quella Tirrenica e la città.

Riguardo alla posizione di F.R. essa è da inquadrare, nell’ambito del più vasto reato associativo, nella sua collocazione, assieme a D.R. e R.G. nel cd. locale di Canolo e gli elementi indiziari a suo carico si desumono: – Dalla conversazione ambientale del 14.8.2009, intercorsa tra C. G., B.C. e un terzo uomo non ancora identificato, nel corso della quale, il C. dice di doversi recare a Canolo a mangiare con un sacco di giovanotti dal fratello di ‘., individuato come F.R., che era in lite con il congiunto per una relazione che questo aveva con una donna e che il C.G. aveva cercato di dirimere.

– Dalla conversazione ambientale del 21.8.2009 nel corso della quale M.R., classe (OMISSIS), consegna a C.G. la partecipazione del matrimonio della figlia e gli chiede di provvedere lui a consegnarne una anche a ‘.F.. – Dalle conversazioni ambientali del 27.11.2009, del 3.12.2009, del 9.12.2009 e dell’11.12.2009, da quelle telefoniche del 7.12.2009 e del 9.12.2009, intervenute tra diversi personaggi, nonchè dalle attività di osservazione e video sorveglianza effettuate l’11.12.2009 dalle quali emerge che presso il ristorante Piccadilly si sarebbe tenuto all’ora di pranzo un incontro di ‘ndrangheta nel corso del quale sarebbe stata conferita la carica della "santa" a D.R., incontro al quale partecipò F. R., ripreso dal sistema di video sorveglianza presso il locale.

Gli elementi investigativi riversati in atti, i contenuti delle diverse captazioni specificamente riportati in ordinanza delineavano, secondo i giudici del riesame, una monolitica consistenza circa la qualificata probabilità di colpevolezza dell’imputato in relazione al delitto associativo.

In relazione alle esigenze cautelari, il tribunale, oltre a richiamare quanto esposto in proposito nell’ordinanza impugnata e nel decreto di fermo del PM, valutava lo specifico coefficiente di elevatissima pericolosità sociale promanante dalle condotte perpetrate, consistenti nella partecipazione ad una organizzazione criminale transnazionale, che si aggiunge alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 2.- Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione gli avvocati Mario Mazza e Gregorio Cacciola, difensori di F. R..

Il primo difensore deduce:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) in relazione agli artt. 27 e 294 c.p.p.: il tribunale della libertà ha risposto con motivazione illogica e in violazione di legge alla eccezione difensiva, con la quale si assumeva la perdita di efficacia della misura custodiale, in riferimento alla necessità che il GIP di Reggio Calabria procedesse all’interrogatorio di garanzia, in quanto il nuovo provvedimento cautelare, contrariamente a quanto asserito dal giudice della libertà, si fondava su indizi in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell’ordinanza del giudice incompetente. Il F. era stato interrogato il 15 luglio 2010 nel corso dell’udienza di convalida del fermo e si era potuto difendere esclusivamente rispetto agli addebiti contenuti nel decreto del PM, solo dopo l’emissione dell’ordinanza ex art. 27 c.p.p. era stato in grado di conoscere il copioso materiale investigativo posto a sostegno dell’ordinanza impugnata. b) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), in relazione all’art. 189 c.p.p. – erronea interpretazione di legge sull’ammissibilità e utilizzabilità delle video riprese non autorizzate eseguite all’esterno locali di pertinenza del ristorante Picadilly, di Canolo, illogicità e omessa motivazione con vizio risultante dal testo del provvedimento laddove il Tribunale ha ritenuto tali video riprese come prove in assenza di preventiva autorizzazione o ammissione da parte dell’autorità giudiziaria. c) Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) in relazione all’art. 273 e 274 c.p.p. in quanto il tribunale del riesame ha basato il proprio convincimento su elementi contraddittori, contrastanti sotto il profilo logico e privi di valenza probatoria senza fornire motivazione logica a supporto della fondatezza del provvedimento. Le condotte contestate nel capo di imputazione non sono suffragate in alcun modo da elementi indiziali posto che l’attività, copiosa, di indagine non ha fornito alcuna indicazione concreta circa la appartenenza dell’indagato alla associazione criminale di riferimento. I giudici hanno infatti desunto la presunta partecipazione associativa del F. dalla sua altrettanto presunta partecipazione alla riunione di ‘ndrangheta dell’11.12.2009 presso il ristorante Piccadilly di Canolo nel corso della quale sarebbe stata conferita una carica di mafia a D.R..

In realtà dalle stesse emergenze dell’indagine è dubbio che l’investitura del D. si sia svolta in quella data e, in ogni caso, anche se fosse veritiero che l’indagato fosse la persona ripresa per pochi secondi in orario pomeridiano fuori dal ristorante, da tale elemento fattuale non potrebbe, comunque, inferirsi logicamente, in mancanza di altri dati, che egli avesse partecipato nelle ore precedenti al, supposto, summit di ‘ndranghetta. Con riguardo alle condizioni previste dall’art. 274 c.p.p., manca una autonoma valutazione dell’elemento soggettivo in quanto non è stata posta in essere una valutazione individualizzante nè la duplice valutazione degli elementi di cautela tratti dalle modalità e circostanze del fatto, sia sul piano della gravita della fattispecie e poi in relazione alla personalità dell’indagato, anche in ordine alla scelta della misura cautelare i criteri di cui all’art. 275 non sono stati osservati. Il secondo difensore eccepisce:

d) Violazione ed erronea applicazione della legge con riferimento all’art. 273 c.p.p., comma 1, e art. 416 bis c.p.. e) Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

Assume, il ricorrente, che la condotta ipotizzata, peraltro non provata, consistente nella asserita, mera, partecipazione alla riunione di ‘ndrangheta, non è idonea a configurare gli elementi, oggettivi e soggettivi, delineati dalla giurisprudenza quali necessari perchè sussista il reato di partecipazione all’associazione di cui all’art. 416 bis.

Quanto alla violazione dell’art. 273 c.p.p. ed ai correlati vizi di motivazione, rileva il difensore che la valutazione prognostica di responsabilità a carico del F. è fondata: 1)- sulla conversazione ambientale del 14.8.2009 dalla quale si può solo, eventualmente, evincere che C.G. conosce l’indagato e che i due il giorno avrebbero dovuto pranzare assieme, senza che vi fosse, nella conversazione non ve ne è traccia, alcuna questione o affare di ‘ndrangheta programmata; 2) – sulle numerose conversazioni tra svariati soggetti dalle quali il tribunale desume che l’11.12.2009 presso il ristorante Piccadilly in Canolo, si sarebbe svolta una riunione di ‘ndrangheta per attribuire una carica a D.R.; 3) – sulla circostanza che il giorno 11.12.2009 alle ore 15,23 il servizio di video sorveglianza, iniziato alle ore 11,00, avrebbe registrato la presenza di F.R. nei pressi del ristorante Piccadilly; dati tutti di valore assolutamente neutro, privi di specifica valenza indiziaria ed inconferenti rispetto alla posizione dell’indagato ed alla sua affermata condotta di partecipazione all’associazione.

3.- Il Procuratore Generale dott. Vito Monetti ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

4.- Il ricorso appare fondato nei limiti di cui alle successive argomentazioni. 5.- In primo luogo rileva il Collegio l’infondatezza dei motivi sub a) e sub b) dedotti dal primo difensore.

Riguardo alla invocata perdita di efficacia della custodia cautelare conseguente alla mancata ripetizione dell’interrogatorio di garanzia da parte del GIP di Reggio Calabria, premesso che lo svolgimento di interrogatorio in sede di udienza di convalida del fermo esclude che debba farsi successivamente luogo all’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p., anche se il giudice, competente per l’adozione della misura, sia incompetente per la convalida, deve essere applicato, nel caso di specie, il principio di diritto secondo il quale "le misure cautelari disposte, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., da un giudice, dichiaratosi contestualmente o successivamente incompetente, non perdono efficacia per il mancato espletamento di un nuovo interrogatorio di garanzia da parte del giudice competente il quale abbia emesso nel termine stabilito una propria ordinanza, sempre che non siano stati contestati all’indagato o all’imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell’ordinanza emessa dal giudice incompetente" (S.U. Sent. 26.9.2001 n.39618, Rv. 219975).

Con riferimento alle assunte inammissibilità e inutilizzabilità delle videoriprese eseguite all’esterno locali di pertinenza del ristorante Picadilly di Canolo, esse in quanto effettuate dalla polizia giudiziaria in luogo pubblico, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 c.p.p. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, non solo sono legittime e possono essere utilizzate, sia in dibattimento e in tal caso previa delibazione circa la loro ammissibilità, ma anche essere valutate, in sede cautelare, alla stregua di ogni altro elemento desumibile dagli atti della p.g. (S.U. sent. 28.3.2006, n. 26795, Rv. 234267, Prisco; Sez. 5, sent.

17.7.2008, n. 6281, Rv. 241946; Sez. 1, sent. 18.12.2008, n. 4422, Rv. 2427931).

6.- Si appalesano, invece, fondati gli altri motivi di ricorso nella misura in cui l’accusa di partecipazione alla associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, così come focalizzata nell’imputazione provvisoria e quale dovrebbe essere riscontrata – sia pure ad un livello ipotetico ai fini del giudizio prognostico circa la presumibile colpevolezza dell’indagato tipico della fase cautelare – non risulta essere ancorata ad elementi sufficientemente certi, univoci e concordanti. Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (S.U. sentenza 12.7.2005 n. 33748, Mannino) deve essere definito partecipe "colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo "è" ma "fa parte" della (meglio ancora: "prende parte" alla) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perchè l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima. Di talchè, sul piano della dimensione probatoria della partecipazione rilevano tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio.

Deve dunque trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, variegati e però significativi "facta concludentia") dai quali sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo nonchè della duratura, e sempre utilizzabile, "messa a disposizione" della persona per ogni attività del sodalizio criminoso, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione".

Orbene gli elementi fondanti della decisione gravata, se pur meritevoli di un approfondimento investigativo, quanto alla posizione di F.R. appaiono, alla stregua dei principi enucleati dalla giurisprudenza, di per sè labili e non concludenti in riferimento alla specifica condotta di partecipazione a lui attribuita. L’affermazione relativa alla esistenza della Locale di Canolo e all’inserimento organico in essa dell’indagato si basa, infatti, prevalentemente sull’esito di intercettazioni, per lo più ambientali, nel corso delle quali F.R. mai appare in prima persona e solo una vota è menzionato in relazione a una vicenda, strettamente personale e familiare, che non ha specifica attinenza con affari, leciti o illeciti, riconducibili alle attività dei colloquianti che incidentalmente di lui discorrono. In nessuno degli altri numerosi colloqui captati, richiamati ed in parte riprodotti in ordinanza, il suo nome è menzionato o risulta che egli sia stato contattato, o fosse disponibile ad esserlo, da parte dei numerosi personaggi che di volta in volta discutevano di riunioni, affiliazioni e conferimenti di cariche nell’ambito delle articolazioni dell’associazione di ‘ndrangheta. Nessuna attività di investigazione, diversa da quella di video registrazione effettuata l’11 dicembre 2009, risulta essere riferibile al F. il quale, nella particolare circostanza, per l’orario in cui viene ripreso e per il luogo, si tratta dell’esterno del ristorante del paese ove egli vive, ben poteva essere colà transitato per le più svariate ragioni.

A fronte di una siffatta situazione, sul piano del diritto sostanziale, la valutazione degli elementi indiziari, ai fini della prognosi circa l’ipotizzarle colpevolezza dell’indagato, doveva essere sicuramente più incisiva e scrupolosa e non attestarsi su una sorta di apodittica, e perciò illogica, affermazione relativa alla granitica solidità dell’impianto accusatorio senza procedere al vaglio richiesto circa la gravità – intesa quale capacità di resistenza alle obbiezioni -, la precisione – cioè la non suscettibilità di diversa interpretazione e, quindi, la non equivocità- e la concordanza – intesa quale mancanza di contrato tra loro e con altri dati certi acquisiti- dei singoli dati indiziari acquisiti.

In mancanza di dati sicuramente sintomatici, quali l’affiliazione, la frequentazione non occasionale con i sodali, la effettiva disponibilità rispetto alle esigenze degli altri associati, la commissione o progettazione di reati fine, dai quali poter inferire la sussistenza della condotta partecipativa, non può che essere censurato come un non ammesso automatismo probatorio, quello in base al quale dall’esistenza di occasionali rapporti tra un soggetto sicuramente coinvolto in ambito associativo mafioso ed un altro, si possa dedurre che il secondo, pur in mancanza di altri oggettivi riscontri, non indicati nel provvedimento gravato, sia anche esso partecipe della medesima consorteria criminale.

Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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