Cass. pen., sez. VI 17-04-2008 (02-04-2008), n. 16176 Attività illecite – Ricorso per cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
Con sentenza in data 14 marzo 2 005, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano, all’esito di giudizio abbreviato, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, e applicata la diminuente del rito, condannava M.J. alla pena di anni dieci di reclusione ed Euro 36.000 di multa in quanto responsabile del reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2, per avere, in concorso con B.A., detenuto a fini di spaccio 73 involucri di eroina, per un complessivo peso netto di kg. 35, occultati all’interno di un doppio fondo ricavato in un’autovettura Passat con targa macedone, le cui chiavi erano detenute dal B. (in (OMISSIS)).
A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena ad anni otto ed Euro 32.000 di multa.
Rilevava, tra l’altro, la Corte di appello che la responsabilità penale dell’imputato era dimostrata dal servizio di osservazione effettuato davanti all’albergo "(OMISSIS)" di via (OMISSIS) da militari della Guardia di Finanza, che aveva permesso di accertare l’incontro tra il M. e un soggetto poi identificato in B.A., e il successivo reperimento in via (OMISSIS) di un’autovettura recante un doppio-fondo contenente il quantitativo di stupefacente di cui alla imputazione. Nel corso del contatto tra i due, il B. veniva udito dire al M. " (OMISSIS)" e consegnargli un biglietto, che, all’esito della perquisizione personale si riscontrava recare il nome di un esercizio commerciale sito in via del (OMISSIS).
Da documenti trovati in possesso del B. si ricavava inoltre che il medesimo aveva traghettato l’autovettura da (OMISSIS) e da qui l’aveva condotta a Milano percorrendo l’autostrada. inoltre, nei giorni precedenti tale incontro, erano state intercettate numerose telefonate intercorse tra il M. e altri soggetti, con le quali si esprimeva la necessità che egli si recasse a Milano per prendere contatti con il B..
Il complesso di tali elementi induceva nella Corte di appello il convincimento che non potesse darsi credito al racconto del M., secondo cui egli, su invito di un conoscente, tale Be., si era recato da (OMISSIS) a (OMISSIS) per incontrarsi con il B. solo per consegnargli Euro 200,00 e per aiutarlo a rintracciare un’autovettura, essendo all’oscuro della presenza in essa della droga.
Ricorre per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, avv. Gaetano Pecorella, che deduce:
1. Inosservanza della L. n. 203 del 1991, art. 13, e dell’art. 191 c.p.p., commi 1 e 2, e relativo vizio di motivazione, in relazione al fatto che, nell’ambito della speciale procedura di cui alla citata L. n. 203 del 1991, art. 13, le intercettazioni sono state disposte autonomamente d’urgenza dal pubblico ministero, facoltà non prevista da detta norma, che riserva il potere di autorizzare le intercettazioni solo al giudice, conferendolo al Pubblico Ministero solo con riferimento alle eventuali proroghe.
2. Inosservanza dell’art. 268 c.p.p., comma 1, art. 270 c.p.p., comma 2 e art. 191 c.p.p., commi 1 e 2 e relativo vizio di motivazione, in relazione alle eccezioni concernenti la mancanza delle registrazioni delle intercettazione effettuate in altro procedimento, la mancata acquisizione dei relativi verbali e delle trascrizioni e la inutilizzabilità a fini probatori dei c.d. brogliacci di ascolto.
E’ stato affermato dalle Sezioni unite che il mancato deposito dei verbali e delle trascrizioni nel diverso procedimento determina la inutilizzabilità dei risultati di esse (sent. 17 novembre 2004, Esposito).
Nel caso in esame non solo tale deposito non è stato effettuato ma manca alcuna indicazione della stessa loro esistenza nel procedimento ad quem, e a tale mancanza non potevano sopperire i c.d. brogliacci di ascolto, che intanto potevano essere utilizzati come prova in quanto i relativi verbali fossero comunque stati acquisiti. in ogni caso i c.d. "brogliacci" erano parziali, essendo stati acquisiti solo quelli alle telefonate "ritenute utili"; e inoltre mancavano del tutto le relative trascrizioni.
3. Inosservanza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, art. 56 c.p., art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., comma 1 e relativo vizio di motivazione.
L’imputazione a carico del M. concerneva l’illecita detenzione, in concorso con il B., di 72 involucri pari a circa 3 5 kg. di eroina, occultati in un’autovettura; mentre egli è stato condannato per la ritenuta esistenza di un accordo tra i due e altri soggetti non identificati volto alla ricezione dal B. di 38 kg. lordi di eroina, fatto dunque del tutto diverso da quello contestato relativamente al quale l’imputato non ha avuto possibilità di difendersi.
Inoltre, tale supposto accordo sarebbe stato concluso in un momento in cui sia la droga sia il M. si trovavano materialmente in Italia; sicchè, non avendo l’imputato preso parte alla condotta di importazione, la sua attività non ha superato la soglia del tentativo in quanto egli non ha potuto aiutare il destinatario della droga a recuperare materialmente la sostanza a causa dell’intervento delle forze di polizia; nè il M. aveva una qualche disponibilità della sostanza stupefacente, essendo questa nascosta in un’autovettura parcheggiata in diversa zona della città al medesimo sconosciuta.
4. Vizio della motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale.
In primo luogo, incongruamente la Corte di appello osserva che i rilievi circa la mancata completa trascrizione delle intercettazioni avrebbero potuto essere superati da una richiesta difensiva volta a un accertamento peritale o dalla produzione di una consulenza di parte, dal momento che la stessa Corte afferma che non è possibile subordinare la richiesta di giudizio abbreviato all’esecuzione della trascrizione.
Inoltre, la sentenza impugnata si contraddice anche nel punto in cui, a proposito del B., rileva poco probabile che un corriere rimanga senza provvista di denaro e debba ricorrere all’aiuto di una persona estranea al gruppo che ha organizzato il trasporto dello stupefacente, e nello stesso tempo riconosce che il B. era rimasto in possesso di soli Euro 80,00.
Ancora, l’osservazione per cui era incredibile che l’imputato fosse stato contattato da un terzo estraneo all’affare concernente la droga al fine di portare al B. del denaro si scontra con il fatto che la persona che aveva contattato il M. era tale Be., un vicino di casa del B..
Non era poi affatto assurdo che il B., al fine di reperire la sua autovettura, si fosse rivolto al M., dato che quest’ultimo era stato già due volte in Italia e aveva imparato l’italiano.
5. inosservanza dell’art. 62 bis c.p., art. 69 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, e relativo vizio di motivazione.
Dato che il criterio della gravità del fatto era stato utilizzato per stabilire la pena-base e la sussistenza della ingente quantità di sostanza stupefacente, ad esso non poteva essere fatto riferimento anche al fine di stabilire una mera equivalenza tra l’aggravante e le attenuanti generiche.
Inoltre, proprio la riconosciuta appartenenza del M. a una rispettabile famiglia albanese doveva condurre a un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante.
Con motivi nuovi, il medesimo difensore, con riferimento alla determinazione della pena, fa riferimento alla L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha ridotto il minimo edittale da otto anni a sei anni di reclusione, che impone una riduzione della pena, fissata dalla Corte di appello partendo dalla pena-base di anni dodici.
DIRITTO
Osserva la Corte che tutti i motivi, ad eccezione di quello ex novo dedotto con riferimento alla incidenza dello jus superveniens recato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49 in sede di conversione del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, appaiono infondati.
In primo luogo, non vi è alcun plausibile dato ermeneutico dal quale trarre la invero paradossale conclusione prospettata dal ricorrente per cui proprio in tema di indagini per reati di criminalità organizzata, e cioè per i più inquietanti fenomeni criminosi, il legislatore abbia posto un ostacolo al generale potere del pubblico ministero di attivare le operazioni di intercettazione qualora ricorrano casi di urgenza, previsione che risponde del resto a esigenze pratiche facilmente comprensibili.
Non può dunque che confermarsi l’esattezza della sentenza della Sez. 1, 12 novembre 1997, Cuomo, a torto criticata nel ricorso, con argomenti fondati su dati letterali privi di consistenza logica.
In secondo luogo, il ricorrente non si può lamentare della mancata allegazione agli atti del procedimento a suo carico dei verbali e delle trascrizioni relative alla intercettazioni.
Egli ha optato per il giudizio abbreviato, e quindi ha accettato (anche) come fonti di prova i c.d. "brogliacci" di ascolto, ritenendo di non instare per una richiesta di giudizio abbreviato condizionata all’acquisizione dei relativi verbali e delle trascrizioni.
Ergo, non deducendo in ricorso alcun motivo di sospetto sulla corrispondenza al vero dei "brogliacci", egli ne sopporta le conseguenze in termini di utilizzabilità probatoria.
E’ il caso di precisare che la regola per cui in un "altro procedimento" debbano essere fatti confluire i verbali e le trascrizioni delle intercettazioni (Sez. un., 17 novembre 2004, Esposito), ex art. 270 c.p.p., non si può applicare nel giudizio abbreviato. I "brogliacci" di ascolto sono documenti legittimamente acquisiti nell’attività investigativa, al pari di ogni altro atto di indagine, e l’opzione per il rito abbreviato vale proprio a conferire valore di prova (autorizzandolo a livello costituzionale l’art. 111 Cost., comma 5) ad atti che, in uno scenario dibattimentale, non potrebbero come tali essere valutati (v., tra le altre, Cass., sez. 6, 13 febbraio 2008, Bianchino).
Non si vede come possa predicarsi una immutazione del fatto ritenuto in sentenza rispetto alla imputazione. Il M. è stato tratto a giudizio per rispondere, in concorso con altri, della detenzione dell’ingente quantitativo di droga occultato nell’autovettura reperita in (OMISSIS), via del (OMISSIS). Ed è questo che è stato per l’appunto accertato, dato che la sentenza ineccepibilmente attribuisce all’imputato un ruolo di presa in consegna della eroina importata in Italia dal B., sulla base di un accordo criminoso che presupponeva appunto un concorso morale nello svolgimento di tutta l’operazione. Ne deriva che il M., al pari del B. e degli altri complici, "deteneva" in senso penalistico la droga, dato che ne aveva la disponibilità, in accordo con i correi, rivestendo solo materialmente un ruolo di ricettore della stessa.
Le critiche mosse alla valutazione delle prove a carico del M. appaiono introdurre una diversa interpretazione del significato e della portata degli elementi probatori non esaminabile in sede di legittimità, a fronte di una motivazione diffusa, puntuale e pienamente condivisibile sotto il profilo logico-giuridico offerta dalla sentenza impugnata, nella quale si è posto in risalto che il contatto in strada tra l’imputato e il B., l’indicazione da questo datagli in un inglese facilmente comprensibile (OMISSIS)) e la consegna di un biglietto in cui era scritto un indirizzo di via del (OMISSIS) (luogo ove venne rinvenuta parcheggiata l’autovettura portata in Italia dal B. con il doppio fondo in cui era occultato il rilevante quantitativo di eroina) altro non potevano implicare che un coinvolgimento del M. nella presa in consegna della droga; circostanze, queste, che di per sè escludevano la plausibilità della tesi difensiva secondo cui l’imputato, non si sa a quale titolo e sulla base di quale interesse personale, si sarebbe limitato a portare al B. la somma di Euro 200,00, essendo questo rimasto privo di soldi.
Manifestamente infondato appare poi il motivo sulla comparazione, espressa in termini di equivalenza, tra le circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante, atteso che la Corte di appello legittimamente ha fatto riferimento al riguardo al notevole peso dell’aggravante speciale della ingente quantità della sostanza stupefacente; dato, questo, che rendeva irrilevante l’appartenenza del M. "a una rispettabile famiglia albanese", peraltro meramente enunciata dalla difesa.
Va peraltro tenuto conto dello jus superveniens rappresentato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49 in sede di conversione del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, che ha portato la pena detentiva relativa alla fattispecie in esame a sei anni, in luogo degli otto anni precedentemente previsti.
E’ vero che i giudici di merito non hanno applicato la pena della reclusione nel minimo, ma nella dosimetria della pena il giudice ha il compito di stabilire una sanzione che, pur ritenuta congrua, in termini assoluti, al caso concreto, normalmente tiene conto, nell’ambito dei limiti edittali, anche di quello minimo.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata su tale punto, dovendo altra sezione della Corte di appello di Milano stabilire quale sia la pena detentiva congrua nel caso di specie avuto riguardo anche al parametro della pena minima fissato dalla nuova norma; fermo restando che non può essere fissato in via astratta alcun vincolo al giudice del rinvio acchè, all’esito di tale nuova valutazione, la pena debba essere effettivamente ridotta (v., in analogo senso, Cass., sez. 4, 17 ottobre 2006, Durante).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena detentiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.

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