Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 07-07-2011, n. 26695 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 16 febbraio 2010 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 16 aprile 2009 emessa nei confronti di A.S., A.A. e S.C., imputati (unitamente a B. K. appellante e non ricorrente) del delitto di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo eroina, nonchè del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3 (mancata esibizione del passaporto e del permesso di soggiorno senza giustificato motivo all’Autorità di P.G. richiedente) rideterminava in giorni dieci di arresto ed Euro 10,00 di ammenda ciascuno la pena loro inflitta dal Tribunale per il reato contravvenzionale di cui al capo b), in accoglimento dell’appello proposto, sul punto, dal P.G. e confermava, per il resto, le condanne inflitte relativamente al reato di cui al capo a) avverso le quali tutti gli imputati avevano interposto gravame.

La Corte territoriale, nel confermare il giudizio di colpevolezza espresso dal primo giudice, riteneva pienamente attendibile la versione dei fatti riferita dai Carabinieri (secondo la quale i militari, dopo aver fatto irruzione in una abitazione sita nella Via (OMISSIS) di Castelvolturno, avevano rinvenuto in una delle camere site al suo interno, quattro extracomunitari identificati nei detti imputati, seduti sul letto sopra il quale si trovava un quantitativo di eroina, un bilancino di precisione e dei rotoli di nastro adesivo, sequestrando in quella circostanza anche del denaro).

Rigettava, perchè infondata, la versione difensiva offerta dagli imputati, uno dei quali – A.A. – si era assunto la responsabilità della detenzione a suo dire finalizzata esclusivamente al consumo personale anche perchè di cattiva qualità e con un bassissimo principio attivo, mentre gli altri avevano, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, affermato di essersi trovati nell’abitazione per caso e comunque ignari del fatto della esistenza dell’eroina, sostenendo che la mera presenza in stanza dovesse interpretarsi come connivenza non punibile.

Venivano disattese le doglianze subordinate rivolte ad ottenere la concessione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità e – limitatamente alla posizione dell’imputato S.C. – anche la concessione delle circostanze attenuanti generiche, invocate in considerazione della non riferibilità del certificato penale in atti all’imputato.

Ricorrono avverso la detta sentenza tutti gli imputati personalmente, deducendo specifici motivi a sostegno.

Il ricorrente A.A. deduce erronea applicazione della legge penale ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), ribadendo la tesi che si trattasse di detenzione finalizzata al solo consumo personale e che, a fronte degli elementi prospettati dall’imputato alla Corte di Appello, quel giudice aveva insufficientemente ed illogicamente motivato, disattendendo tale tesi e privilegiando quella poggiante sulla versione dei carabinieri, a dire del ricorrente, del tutto inattendibile.

Il ricorrente S.C. deduce, con un primo motivo, manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità ed erronea applicazione della legge penale, rilevando come, di fronte ai numerosi dati probatori sottoposti all’esame della Corte di Appello, la stessa aveva male interpretato ed applicato le regole sul concorso di persone nel reato, qualificando la mera presenza dell’imputato nella stanza come concorso attivo, senza nulla dire nè su una eventuale partecipazione a titolo di concorso morale (peraltro insussistente) nè sulla connivenza non punibile (comunque astrattamente ipotizzabile), nè sulle alternative ragioni che potessero giustificare la presenza ad altro titolo (rispetto a quello ritenuto dalla Corte territoriale) del detto imputato e degli altri presenti, tranne l’ A..

Con un secondo motivo deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione in punto di esclusione delle circostanze attenuanti generiche, sia perchè queste sarebbero state riconosciute per il reato sub b) ed escluse in modo del tutto irragionevole per il reato sub a), sia perchè i dati emergenti dal certificato penale preso a base dalla Corte per il diniego delle dette attenuanti erano visibilmente non riferibili all’imputato per ragioni di età.

Il ricorrente A.S. deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione in punto di affermazione della sua responsabilità, tenuto conto che i dati esaminati dalla Corte non consentivano di interpretare in modo univoco la sua presenza in stanza (peraltro dato in sè asintomatico) come indicativa della partecipazione ad una attività di detenzione illecita in corso, tenuto anche conto delle contraddittorietà emergenti dalle versioni offerte in tempi diversi da uno dei verbalizzanti.

I ricorsi sono infondati.

La questione che la Corte è chiamata a risolvere in relazione alle specifiche doglianze rivolte dai ricorrenti attiene – per quel che concerne la posizione del ricorrente A.A. – alla corretta qualificazione del fatto data dalla Corte territoriale:

secondo l’impostazione difensiva si tratterebbe di detenzione finalizzata all’esclusivo consumo personale, come tale non integrante il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

La tesi contraria recepita dalla Corte di Appello che, sul punto, si sarebbe ad avviso del ricorrente, acriticamente uniformata alla decisione del Tribunale, valorizzando soltanto le dichiarazioni dei verbalizzanti ritenute sommamente attendibili, poggia su una serie di elementi fattuali di tipo oggettivo (esistenza della droga sul letto ove tutti gli imputati si trovavano seduti al momento dell’irruzione dei Carabinieri; esistenza di un bilancino di precisione e di alcuni rotoli di nastro adesivo; contemporanea presenza di tutti gli imputati attorno alla droga e agli attrezzi di cui sopra) che sono stati valutati in modo completo e logico.

Il giudice territoriale ha argomentato poi, in modo altrettanto coerente, che in relazione al numero delle dosi ricavabili – indicate in 513 – ed alla presenza di oggetti univocamente destinati al confezionamento di dosi individuali, la condotta dell’ A. doveva interpretarsi come detenzione finalizzata ad una successiva commercializzazione della sostanza.

La tesi difensiva riproposta con l’odierno ricorso fa, ancora una volta, leva su circostanze già adeguatamente prese in esame dalla Corte (segnatamente le dichiarazioni del militare che ebbe per primo ad effettuare l’irruzione nella stanza ove si trovavano tutti gli imputati con le quali viene descritta la posizione in cui gli imputati si trovavano in quel momento e indicata la presenza di droga, bilancino di precisione e rotoli di carta sul letto ove gli imputati erano seduti), senza che vengano prospettati elementi di novità tali da far ritenere irragionevole il giudizio di attendibilità espresso dalla Corte territoriale.

Vengono infatti prospettate possibili soluzioni alternative sia con riguardo alla detenzione finalizzata al consumo personale sol perchè legata ad una bassissima concentrazione del principio attivo, sia con riguardo ad una possibile ricezione a titolo gratuito della droga legata alla sua modestissima quantità di principio attivo, sia con riguardo alla utilizzabilità del bilancino di precisione per il confezionamento di dosi per uso personale: ma si tratta di argomenti che la Corte di merito ha preso in esame, disattendendoli con una serie di considerazioni logiche basate non soltanto sulle dichiarazioni dei verbalizzanti (come, invece, asserito dal ricorrente) ma soprattutto di dati oggettivi.

In punto di qualificazione della condotta di detenzione e della sua eventuale ricomprensione nell’area della non punibilità laddove finalizzata ad un uso personale, la norma incriminatrice, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non introduce un criterio di presunzione assoluta di illiceità della detenzione desumibile dal mero dato quantitativo (riferito, anche, al principio attivo contenuto nella sostanza drogante), ma si limita ad indicare alcuni indici sintomatici della destinazione allo spaccio tra i quali quello quantitativo rappresenta un dato significativo ma non dirimente.

Resta in ogni caso rimesso all’organo dell’accusa dimostrare la illecita destinazione allo spaccio e non già al detentore fornire la prova della liceità di tale detenzione, dovendosi riconoscere comunque in capo all’imputato l’onere di prova contraria volta a dimostrare la sussistenza in concreto di una causa di esclusione della punibilità.

Quel che rileva ai fine della descrizione del fatto tipico penalmente rilevante, dopo le modifiche legislative apportate al precedente testo dalla L. n. 49 del 2006 è, non già il superamento sic et simpliciter della c.d. "soglia punibile", ma la detenzione per fini non esclusivamente personali: con la conseguenza che il dato quantitativo ponderale non rappresenta l’elemento costitutivo del reato, bensì un indice di valutazione al pari di altri elementi ricavabili dalla vicenda giudiziaria nel suo complesso.

E’ quindi da ripudiare la tesi del criterio di presunzione legale della colpevolezza desumibile dal superamento del dato quantitativo ponderale che finirebbe con il contrastare con il principio dell’accertamento della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

Invero l’ossequio ad un criterio presuntivo legale determinerebbe di fatto la reintroduzione del concetto ormai del tutto abbandonato della "dose personale media" poi eliminata dal referendum abrogativo del 1993.

D’altro canto il riferimento al solo dato quantitativo, che pure sembra emergere in seno al dibattito parlamentare sviluppatosi in coincidenza con l’emanazione della nuova disciplina specialistica, quale elemento dirimente per l’individuazione (o esclusione) della responsabilità penale si scontra comunque con il dato letterale ricavabile dall’espressione "in particolare se superiore ai limiti" contenuta nella lett. a) del capoverso dell’art. 73, comma 1 bis, figurante subito dopo la parola "quantità", in base al quale si profila quale definitivo criterio di scelta penale quello riferibile al dato quantitativo come mero indice sintomatico.

Quanto alla enucleazione di altri dati utili per la qualificazione penale della fattispecie, deve allora farsi richiamo ad altri elementi quali: a) la modalità di presentazione della sostanza; b) la presenza di oggetti c.d. "tipici" utilizzati per il peso e la preparazione di dosi; c) il tipo di confezionamento; d) il peso lordo complessivo; e) il numero delle dosi ricavabili; f) la eventuale suddivisione in dosi; g) il dato economico in rapporto alle condizioni economiche dell’agente; h) il rinvenimento di denaro (in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 6^, 25.1.2011 n. 4613; vds. anche Cass. Sez. 4^, 25.9.2008 n. 39262; Cass. Sez. 6^, 18.9.2008 n. 39017;

Cass. Sez. 4^, 16.4.2008 n. 31103; Cass. Sez. 6^, 2.4.2008 n. 27330;

Cass. Sez. 4^, 17.12.2007 n. 16373).

Si tratta, dunque, di eterogenei indici dai quali poter desumere piuttosto che una finalità di consumo immediato personale (come invece riferito dal ricorrente), una futura finalità di spaccio, in aggiunta, eventualmente, ad un consumo personale che comunque non toglie illiceità alla condotta.

In aggiunta a tali considerazioni, non può non evidenziarsi che le censure rivolte verso la sentenza impugnata afferenti alla omessa o carente o illogica motivazione contengono ad evidenza rilievi di tipo fattuale o comunque prospettazione di soluzioni alternative che implicano una rilettura della intera vicenda in chiave alternativa rispetto alla ricostruzione effettuata dalla Corte di Appello in modo esauriente ed esente da vizi logici, come tale non proponibile in sede di legittimità.

Con riguardo, invece, alla posizione degli altri ricorrenti, la questione che questa Corte è chiamata a risolvere è quella della c.d. "connivenza non punibile".

Trattasi di una tesi già sviluppata in sede di merito e che la Corte territoriale ha affrontato e risolto in termini negativi individuando piuttosto una condotta di tipo concorsuale attiva degli altri imputati rispetto all’ A. (che si era assunto ogni responsabilità escludendo quella degli altri) sulla base, per un verso, di quelle dichiarazioni del verbalizzante (il C.re P.) contestate dai ricorrenti come inattendibili, ma in merito alle quali il giudizio della Corte si è sviluppato in termini positivi senza alcun vizio logico; per altro verso, di alcuni elementi di tipo oggettivo giudicati dalla Corte insuperabili, quali la quantità di droga e la presenza di oggetti atti a confezionarla.

La contemporanea presenza degli imputati in luogo in cui si trovava la droga e la strumentazione atta al suo confezionamento è stata correttamente interpretata dalla Corte come indice di compartecipazione, avendo implicitamente il giudice di mero escluso che la presenza di quegli imputati per le circostanze di tempo, luogo e modalità dell’azione potesse circoscriversi ad una presenza c.d.

"passiva".

Più volte la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di sottolineare la differenza tra la c.d. "connivenza non punibile" e il concorso di persona nel reato, individuandola nel fatto che, mentre la prima esige che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento ed il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare, ancorchè limitata ad un contegno teso evitare che la droga possa essere rinvenuta e quindi a protrarne la illegittima detenzione (in termini Cass. Sez. 4^, 22.10.2010 n. 4948; Cass. Sez. 4^ 16.6.2004 n. 40167).

La prospettazione difensiva pretende di circoscrivere la condotta posta in essere dai due imputati alla sola presenza inerte all’interno della stanza ove si trovava il soggetto dichiaratosi esclusivo responsabile della detenzione dello stupefacente.

Ma, ancora una volta, si tratta della prospettazione di soluzioni alternative inibita in sede di legittimità se fatta rispetto a valutazioni del giudice di merito esenti da vizi logici manifesti.

E’ da escludere che il giudizio della Corte si sia limitato alla valorizzazione delle dichiarazioni del militare autore della irruzione, avendo invece il giudice territoriale esaminato in modo logico e congruo gli elementi di fatto posti alla sua attenzione, interpretandone il significato e la portata in termini assolutamente soddisfacenti sul piano valutativo.

Così, riprendendo le argomentazioni svolte dal ricorrente S. C., la Corte ha tenuto conto della circostanza relativa alla non coabitazione di costui con l’ A. ed ha valutato in modo logico e congruo la circostanza della presenza del S.C. all’interno di quella abitazione in un abbigliamento giudicato, a ragione, del tutto incompatibile con una ragione occasionale come quella indicata dal ricorrente.

Non è quindi vero che la Corte di appello si sia riferita soltanto al mero dato della presenza del S.C. sui luoghi, avendo preso in esame anche altre circostanze sulle quali il ricorrente non si è per nulla soffermato.

Ma è lo stesso ricorrente poi a sottolineare come le circostanze indicate dal verbalizzante e recepite dalla Corte potevano essere compatibili con ipotesi alternative, così incorrendo in quei limiti di valutazione propri del giudizio di legittimità, assolutamente ostativi ad un riesame della vicenda processuale.

Tanto basta ad escludere che la Corte si sia sottratta all’onere motivazionale in punto di esame delle regole interpretative sul concorso di persona nel reato.

Affermare, come pretende il ricorrente S.C., che la Corte non ha assolto all’obbligo di motivazione in ordine ad una reale e concreta partecipazione dell’imputato alla fase ideativa o preparatoria del delitto, non è giustificato dalla realtà dei fatti, posto il giudice di merito, facendosi carico degli elementi a disposizione, ha coniugato la presenza sui luoghi del S.C. con circostanze legate alla sua persona giudicate del tutto illogiche rispetto alla tesi difensiva e soprattutto con la presenza della droga e delle attrezzature atte a confezionarla.

Con tale argomentazione la Corte territoriale ha valutato in modo unitario la condotta senza procedere a distinzioni tra una partecipazione alla fase ideativa ovvero a quella preparatoria, ma semplicemente ritenendo che quella presenza altro non potesse essere che condivisione con gli altri della preparazione della droga per uso di terzi e dunque partecipazione attiva alla detenzione per finalità illecite.

Argomenti non dissimili valgono anche per disattendere la tesi difensiva dell’altro ricorrente A.S., che fa leva su alcune circostanze di fatto, anche queste esaminate dalla Corte, ma prospettate dalla difesa in termini tali da determinare in questa sede una (ri)valutazione di tipo fattuale non consentita.

Particolari quali la diversa posizione in cui gli imputati si trovavano sul letto (alcuni seduti, altri distesi), ovvero il luogo in cui il denaro sarebbe stato rinvenuto (sotto il letto anzichè sopra), ovvero, ancora, il mancato rinvenimento di dosi già confezionate (e quindi pronte per l’uso), denotano, ancora una volta, la tendenza del ricorrente a sollecitare una rivisitazione in punto di fatto di elementi già valutati dalla Corte di merito che ha consentito di escludere la tesi della connivenza a vantaggio della partecipazione attiva.

L’ultimo punto che deve essere esaminato concerne la specifica doglianza difensiva del ricorrente S.C. in ordine alla contraddittorietà ed illogicità di motivazione da parte della Corte di Appello sul punto relativo alle circostanze attenuanti generiche.

Tale censura è tuttavia destituita di fondamento, posto che la Corte, in modo coerente e logico, ha escluso la possibilità per il solo S.C. di fruire di dette circostanze, basandosi non solo sulle risultanze del certificato penale (i cui dati anagrafici sono stati ritenuti dalla Corte completi e oggettivamente riferibili all’imputato senza alcuna possibilità di equivoci), ma anche sul contegno processuale (giudicato spiccatamente negativo), senza neanche incorrere in quella contraddizione di cui il ricorrente fa cenno laddove parla di giudizio "premiabili" (così testualmente nel ricorso) espresso nei riguardi dell’imputato per il solo reato contravvenzionale, in quanto nessuna attenuante è stata concessa dal giudice di merito per nessuno dei reati in contestazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna singolarmente in ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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