T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 12-07-2011, n. 6201Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 8 novembre 2010 e depositato il successivo 24 novembre 2010 la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) ha impugnato l’Elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi dell’art. 1, terzo comma, L. 31 dicembre 2009 n. 196, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 2010.

2. Avverso il predetto Elenco, nella parte in cui la include nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato dello Stato, la ricorrente è insorta deducendo:

a) Violazione e falsa applicazione art. 1, comma 5, L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 3, L. n. 196 del 2009, art. 15 D.L.vo n. 242 del 1999 – Violazione del principio di legalità – Illegittima compressione del diritto di iniziativa economica ( art. 41 Cost.) – Violazione artt. 6 -12 D.L. n. 78 del 2010.

La ricorrente non è un organismo di diritto pubblico e, quindi, una Pubblica amministrazione, con conseguente illegittimità della sua inclusione nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato dello Stato.

L’inclusione nel predetto elenco non è coerente neanche con le disposizioni comunitarie (il cd. SEC 95) che disciplinano i criteri di classificazione delle Amministrazioni pubbliche.

E’ stata completamente trascurata la posizione specifica della ricorrente la quale, oltre ad assicurare all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato cospicui ricavi, contribuisce per oltre il 90% ad alimentare il finanziamento che il CONI riceve attualmente dalla suddetta Azienda (attualmente, 450 milioni di lire). Con la conseguenza che alla ricorrente, anche se sotto forma di erogazioni da parte del CONI, ritorna solo una minima parte della ricchezza complessiva autonomamente prodotta dalle società calcistiche, alle quali essa storna l’intera contribuzione sia sotto forma di trasferimenti diretti per l’attività sportiva, sia sotto forma di spese per l’attività svolta a beneficio delle società stesse, sostenendosi, per il restante, con le entrate derivanti da attività a valenza prettamente privatistica.

b) Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e difetto di istruttoria.

Non è chiaro il criterio usato dall’ISTAT per decidere se includere o non una Federazione nell’Elenco.

Non lo è certamente il riferimento alla prevalenza o meno dei contributi pubblici rispetto ai ricavi derivanti direttamente dall’attività privatistica di ciascuna Federazione. Tra le trentuno Federazioni inserite nell’Elenco figurano, infatti, Federazioni nel cui bilancio prevalgono contributi pubblici del CONI ed altre (come la ricorrente) che conseguono la maggior parte dei loro introiti dalle iniziative di carattere imprenditoriale (sponsorizzazioni, diritti televisivi, ecc.). Peraltro alcune Federazioni, che si trovano nella stessa situazione della ricorrente, sono escluse dall’elenco. E ciò è palesemente contraddittorio e, quindi, illegittimo.

c) Eccesso di potere, sotto altro profilo, per illogicità manifesta, irrazionalità, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e difetto di istruttoria.

L’inclusione della ricorrente nell’elenco comporta l’applicazione di una serie di previsioni legislative valevoli per le Pubbliche amministrazioni, volte al contenimento della spesa pubblica, che la pongono nel’impossibilità di perseguire i propri obiettivi istituzionali, come ad es. le missioni all’estero.

Aggiungasi che il CONI, essendo anch’esso incluso nell’Elenco, sarà costretto a ridurre i contributi da elargire alle Federazioni. E ciò comporta una palese disparità di trattamento del settore dello sport italiano rispetto ai settori affini a carattere culturale e ricreativo.

3. Si sono costituiti in giudizio l’Istituto Nazionale di Statistica e il Ministero dell’economia e delle finanze, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

5. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) non si è costituito in giudizio.

6. La Federazione Italiana Pallavolo non si è costituita in giudizio.

7. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

8. Con ordinanza n. 1020 del 24 marzo 2011 è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva.

9. All’udienza del 6 luglio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1. Come si è detto in narrativa, la ricorrente Federazione Italiana Giuoco Calcio impugna l’Elenco ISTAT pubblicato nella Gazz. Uff. 24 luglio 2010 n. 171, recante l’indicazione delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate ai sensi dell’art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009 n. 196. Ne chiede l’annullamento nella parte in cui illegittimamente la inserisce fra le suddette Amministrazioni nonostante la sua qualità di persona giuridica privata, che provvede in misura assolutamente prevalente con proprie entrate alla copertura dei costi afferenti l’attività svolta, fruendo di un contributo da parte del CONI largamente inferiore al 50% della spesa complessiva sostenuta.

2. Al fine di ricondurre la materia del contendere nei suoi esatti termini alcune preliminari precisazioni s’impongono.

Alla compilazione del contestato elenco l’ISTAT ha provveduto assumendo come norme classificatorie e definitorie quelle proprie del sistema statistico comunitario; in esso ha quindi ricomprese le "unità istituzionali" che ha riscontrato essere in possesso dei requisiti richiesti, per tale qualificazione, dal Regolamento UE n. 2223/96SEC95. Il modus procedendi dell’Istituto è stato convalidato a livello legislativo dall’art. 1, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica 31 dicembre 2009 n. 196, che definisce il proprio "ambito di riferimento" con richiamo agli "enti e agli altri soggetti" individuati dall’ISTAT come Amministrazioni pubbliche "sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari". Il successivo comma 3 affida a detto Istituto anche il compito di provvedere annualmente all’aggiornamento del suo elenco. Nell’art. 6 del successivo D.L. 31 maggio 2010 n. 78, recante "misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", è ripetuto il richiamo – come destinatari dei provvedimenti intesi a ridurre il costo complessivo della Pubblica amministrazione e la sua incidenza sul bilancio dello Stato – ai soggetti individuati dall’ISTAT ai sensi del cit. art. 1, comma 3, L. n. 196 del 2009.

Le classificazioni dell’Istituto hanno quindi copertura legislativa in quanto assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento.

3. Nella redazione e nell’aggiornamento del suo elenco l’ISTAT ha espressamente dichiarato di voler utilizzare le classificazioni e la metodologia del SEC95, e a questo riguardo un’ulteriore precisazione s’impone.

La preoccupazione della CE, esplicitata con richiamo alle possibilità che le offre l’art. 6 del Regolamento (CE) n. 223 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, è di mettere in grado la Commissione (Eurostat) di disporre di un "sistema statistico europeo" e, quindi, di produrre "statistiche europee secondo principi statistici e norme prestabiliti", che le consentano di controllare la spesa pubblica negli Stati membri e, quindi, di conoscere l’effettiva realtà economica di ciascun paese. Ha ritenuto che questo obiettivo è realizzabile ove gli Stati membri, in sede di trasmissione dei dati ad essa necessari per la verifica dei conti nazionali e dei rapporti di ciascuno di essi con le altre economie, utilizzino un vocabolario o linguaggio comune, che preveda identiche metodologie, classificazioni e nomenclature, ma solo nei rapporti diretti fra Comunità e Stati membri.

A ciò ha provveduto con il cit. SEC95, le cui classificazioni esauriscono la loro funzione nei suddetti rapporti, lasciando quindi completamente liberi i singoli Stati di conservare, nei rapporti interni, le proprie metodologie, nomenclature e classificazioni. Lo riconosce espressamente il Regolamento UE n. 2223 del 1996, che all’art. 1, comma 3, afferma che nessuno Stato membro è obbligato "ad elaborare, per le proprie esigenze, i conti in base al SEC95".

L’opzione per la disciplina statistica comunitaria, nelle sue diverse articolazioni (criteri, definizione e terminologia), anche per i rapporti interni è quindi rimessa alla libera scelta del singolo Stato che peraltro, ove formalizzata con le procedure previste dal proprio ordinamento giuridico, lo vincola sia nel modus procedendi che negli effetti.

4. La scelta del legislatore nazionale è stata nel senso di recepire integralmente il sistema statistico europeo nell’individuazione dei soggetti la cui attività comporta per la Pubblica amministrazione un costo che si riflette pesantemente sul bilancio complessivo dello Stato e sui quali è quindi necessario intervenire con misure restrittive diversamente quantificate, e ciò a prescindere dalla loro natura giuridica (persona giuridica pubblica o privata) e dalle modalità previste per la nomina degli organi rappresentativi e di governo.

Il criterio di identificazione (id est la nomenclatura utilizzata) comune a tutti i settori di attività, e quindi anche a quello della Pubblica amministrazione, è quello comunitario di "unità istituzionale", inteso come centro elementare di decisione economica caratterizzato da uniformità di comportamento e da autonomia decisionale nell’esercizio della propria funzione principale.

La necessità di fare riferimento, agli effetti classificatori, agli "attuali indirizzi comunitari" è stata espressamente dichiarata anche dal Consiglio di Stato, sez. VI, con l’ordinanza 16 luglio 2008 n. 3695.

Nel settore della Pubblica amministrazione il SEC95 (prg. 2.69) riconosce la qualifica di "unità istituzionale": a) agli "organismi pubblici", che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; b) alle "istituzioni senza scopo di lucro" dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che "siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche", sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Donde la necessità di un continuo intervento pubblico, realizzato mediante contributi non necessariamente statali, per assicurare il pareggio di bilancio.

Il raffronto è quindi fra costi complessivi ed entrate proprie, costituenti il corrispettivo economico del servizio reso a soggetti terzi.

E’ anche incontestato che la ricorrente Federazione nella sua attività non persegue scopi di lucro.

5. Ciò premesso, può passarsi all’esame delle censure proposte dalla ricorrente.

Ritiene peraltro il Collegio, anche per ragioni di economia processuale, di esaminare per ultimo il primo motivo di doglianza, che investe il nucleo centrale della materia del contendere, e di dare la precedenza ai motivi successivi atteso che essi, non richiedendo il riscontro delle singole affermazioni rese dalle parti in causa con i dati numerici contenuti nella documentazione in atti, risultano di più agevole definizione.

6. Il secondo motivo di doglianza deve essere disatteso essendo irrilevanti, al fine del decidere sulla legittimità dell’elenco ISTAT relativo all’anno 2010, le classificazioni dallo stesso Istituto compiute per gli anni precedenti. Ed invero, una volta incontestato che ogni elenco ha una valenza annuale e che l’Istituto ha il potere dovere di sottoporlo a revisione periodica in presenza di fatti sopravvenuti o anche per effetto di un ripensamento in ordine alle determinazioni in precedenza assunte, la materia del contendere trova il suo limite naturale nelle classificazioni operate per l’anno di riferimento, le sole impugnate che sono anche le sole per le quali sussiste un interesse concreto ed attuale a provocare un intervento annullatorio del giudice della legittimità.

Inoltre, una volta definita la materia del contendere, risulta ininfluente, sotto il profilo della denunciata disparità di trattamento, che altre Federazioni sportive in posizione asseritamente identica a quella della ricorrente non siano state ricomprese nell’elenco. Ed invero la censura sarebbe da respingere ove la ricorrente chiedesse di fruire del medesimo trattamento alle stesse illegittimamente riservato. Se invece la censura dovesse essere interpretata, come è ragionevole ritenere, nel senso che la denunciata esclusione è assolutamente legittima e si rivendicasse lo stesso trattamento, il problema si risolve – come correttamente impostato nelle succitate memorie – nella verifica in capo alla ricorrente dei medesimi presupposti che hanno indotto l’ISTAT ad escludere dall’elenco le succitate Federazioni sportive.

7. Il terzo motivo di doglianza si sostanzia nell’elenco dei danni che sotto diversi profili (il divieto di missioni all’estero, la riduzione della spesa per la formazione dei dirigenti e dei tecnici, per il conferimento di incarichi professionali e per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti sportivi) la ricorrente subisce per effetto della sua inclusione nell’impugnato elenco. Senonchè, anche a questo riguardo è agevole opporre che il contestato elenco è stato formulato dall’ISTAT a soli fini statistici e sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale di utilizzare anche a fini interni la nomenclatura comunitaria, non avendo esso alcun potere in materia di governo della spesa pubblica.

I danni di cui la ricorrente si duole sono imputabili ad una scelta del legislatore nazionale che, con l’art. 6 D.L. n. 78 del 2010, convertito con la L. n. 122 del 2010, ha ritenuto – sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale (non essendovi obbligato a livello comunitario) – di utilizzare la nomenclatura ISTAT e, quindi, comunitaria, per individuare i settori della Pubblica amministrazione sui quali, a suo avviso, era necessario ed urgente intervenire con misure restrittive della relativa spesa e delle sue ricadute sul bilancio complessivo dello Stato.

Segue da ciò che gli effetti delle suddette scelte legislative sono impropriamente imputati all’ISTAT e al suo provvedimento.

8. Ciò premesso, può passarsi all’esame del primo motivo di doglianza, sulla base dell’interpretazione che di esso hanno dato sia la ricorrente, nelle sue puntuali memorie, sia le Amministrazioni intimate nei loro ampi ed articolati scritti difensivi. Elemento comune nel loro argomentare è che la ricorrente è un’istituzione che non persegue scopi di lucro. Comune è anche il problema di fondo che sottopongono all’esame del Collegio, e cioè se, con riferimento alla ricorrente, sussistono i presupposti richiesti dal SEC95 per il suo inserimento nell’elenco ISTAT, vale a dire la sua soggezione al controllo di un’Amministrazione pubblica e l’insufficienza delle sue entrate a coprire in misura superiore al 50% la spesa complessiva sopportata per lo svolgimento della sua attività istituzionale, con conseguente necessità di un continuo e sostanzioso contributo pubblico per ottenere il pareggio di bilancio.

Peraltro con il motivo in esame vengono in effetti dedotte dalla ricorrente una pluralità di censure, che vanno esaminate e definite separatamente.

9. Non è condivisibile la prima censura con la quale si contesta all’ISTAT di aver provveduto all’inserimento nell’elenco della ricorrente senza aver prioritariamente distinto, nell’ambito della complessiva attività da essa svolta, quella pubblicistica da quella privatistica. E’ infatti agevole opporre che si tratta di distinzione irrilevante agli effetti classificatori atteso che il SEC95 richiede come condizione per qualificare "unità istituzionali pubbliche" i soggetti operanti senza scopi di lucro nel settore dell’Amministrazione pubblica che essi siano soggetti al controllo di una Pubblica amministrazione e che dal raffronto fra spesa complessiva sostenuta per la loro attività istituzionale e le entrate proprie, costituenti corrispettivo per i servizi resi, queste ultime coprano la prima in misura superiore al 50%. Di qui l’ininfluenza, secondo le regole comunitarie recepite dall’ISTAT, della qualificazione giuridica, pubblica o privata, che gli ordinamenti nazionali assegnano a detti soggetti e all’attività da essi svolta.

10. E’ invece fondata la censura con la quale si contesta che la ricorrente, nel suo operare, possa essere considerata soggetta a "controllo pubblico" e si sostiene quindi la mancanza, nei suoi riguardi, dell’elemento nel quale "il Manuale del SEC95 sul disavanzo e sul debito pubblico" individua (punto 1.2 dei "criteri di classificazione delle unità nel settore delle Amministrazioni pubbliche") "un criterio fondamentale ai fini della classificazione",

Si è già detto che la nozione comunitaria di "controllo" non s’identifica con quella recepita nel nostro ordinamento, e cioè innanzi tutto controllo sugli atti (in particolare sul bilancio di previsione e sul conto) da parte di un soggetto pubblico sopraordinato, ma si sostanzia nel potere giuridicamente riconosciuto ad un’Amministrazione pubblica di "determinare la politica generale e i programmi" della singola unità istituzionale, cioè di stabilire in via autonoma gli obiettivi che essa è chiamata a raggiungere e le modalità che deve seguire per realizzarli, con atti che in effetti sono di amministrazione attiva, e quindi non verificabili nella loro concreta esistenza con riferimento agli atti di controllo nel significato specifico e nella funzione ad essi assegnati dall’ordinamento nazionale.

D’altro canto, come già si è accennato, l’uso improprio – alla luce di detto ordinamento – del termine "controllo" trova giustificazione nella necessità per il legislatore comunitario di fare ricorso ad una terminologia che, in larga approssimazione, ricomprenda situazioni che i legislatori nazionali identificano con termini specifici e diversi. E’ il caso, ricorrente negli atti di paternità comunitaria, della "domanda di giustizia", locuzione che, con riferimento al nostro ordinamento, deve intendersi indifferentemente riferita all’azione giudiziaria, al ricorso giurisdizionale, all’intervento in giudizio, all’opposizione di terzo, al ricorso amministrativo (ordinario e straordinario), ecc., ciascuno soggetto ad una disciplina diversa.

E’ ancora il caso del cd. "operatore economico", anch’esso figura di paternità comunitaria, che nella materia dei contratti pubblici ricomprende l’imprenditore (persona fisica e giuridica), il fornitore e il prestatore di servizi, il raggruppamento temporaneo d’imprese, i consorzi, gli enti pubblici, ecc., in quanto tutti concorrenti ed aspiranti all’aggiudicazione di un appalto con la Pubblica amministrazione. Anche a detta locuzione l’art. 1 della direttiva 2004/18/CE assegna un valore solo esemplificativo ("….è utilizzato unicamente per semplificare il testo"), con la conseguenza che ciò che conta non è la terminologia utilizzata dal legislatore comunitario, ma il contenuto e la funzione che ad essa lo stesso assegna e che nel caso in esame sono chiarissimi.

In sostanza, ciò che il SEC95 richiede, perché possa ritenersi che un’Amministrazione pubblica esercita il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di "influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe".

Non sembra che tale condizione ricorra nel caso in esame. Ed invero, contrariamente a quanto afferma l’ISTAT nella sua memoria (pag. 27), il potere di vigilanza sulle Federazioni sportive, che l’art. 15 d.lgs. n. 242 del 1999 assegna al CONI, non corrisponde affatto alla nozione che del controllo dà il SEC95, ma si esaurisce nella verifica che le Federazioni sportive nazionali svolgano la loro attività "in armonia" con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI. Quindi ad essi è riconosciuto, al limite, un controllo "esterno", che nulla ha a che vedere con il potere di determinare "la politica generale e i programmi" della singola Federazione sportiva.

Di qui l’irrilevanza, al fine del decidere, della lunga elencazione dei poteri che lo Statuto del CONI gli riconosce nei riguardi delle singole Federazioni sportive (il loro riconoscimento; il loro eventuale commissariamento; l’approvazione del bilancio di previsione e di quello consuntivo; l’an e il quantum del contributo da corrispondere a ciascuna di esse, eventualmente prestabilendo anche uno specifico vincolo di destinazione; la presenza di tutti i presidenti delle Federazioni sportive nel Consiglio nazionale del CONI che semmai, condizionandone le determinazioni, conferma la possibilità per le stesse di far valere anche al massimo livello la loro autonomia nel fissare la politica generale e i programmi da realizzare).

11. Tutt’altro discorso merita la verifica del secondo elemento rilevante agli effetti classificatori ed oggetto nelle sue risultanze di specifica, ulteriore censura da parte della ricorrente, e cioè l’autonomia finanziaria delle singole Federazioni, che si manifesta con la capacità di ciascuna di esse di coprire il costo complessivo sostenuto nel singolo esercizio con le proprie entrate in misura superiore al 50%. Al fine di verificare la fondatezza della censura è quindi sufficiente il raffronto fra due dati numerici, che spetta alla ricorrente fornire perché nella sua disponibilità e all’ISTAT attestare o contestare sulla base degli elementi contabili in suo possesso. E’ evidente che da detto raffronto emerge implicitamente la misura del contributo che la finanza pubblica è costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio alla singola Federazione, ma si tratta di elemento influente al fine del decidere sulla sua autonomia finanziaria agli effetti classificatori, atteso che il metro di valutazione, imposto da SEC95 e fatto proprio da ISTAT, è quello di cui innanzi si è detto.

Segue da ciò che è del tutto condivisibile l’affermazione della ricorrente (pag. 9 dell’atto introduttivo del giudizio) secondo cui nella materia de qua non rileva né la misura del contributo pubblico di cui beneficia il soggetto né la percentuale dello stesso sui suoi ricavi complessivi, giacchè il criterio di calcolo imposto dal legislatore comunitario e per libera scelta recepito dall’ISTAT si fonda esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie.

12. Una volta definito il thema decidendum nei suoi esatti termini deve osservarsi che nessun contributo significativo e ad esso pertinente è offerto dall’ISTAT sia nella memoria di costituzione in giudizio che nella scheda tecnica predisposta dai suoi uffici, nonostante le precise indicazioni fornite dal Collegio in sede cautelare.

Mentre nelle memorie depositate nei giudizi proposti da altre Federazioni l’ISTAT si è preoccupata (pagg. 30 e 31) di quantificare la percentuale in cui ciascuna di esse provvede con le proprie entrate alla copertura della spesa complessiva sostenuta (sia pure con dati non utilizzabili perché globalmente riferiti ad un triennio, anziché all’anno di riferimento, e anche privi di un minimo supporto documentale), nella memoria deposita nel giudizio proposto dalla Federazione italiana giuoco calcio l’ISTAT si è limitata ad affermare che "i contributi erogati dal CONI alla Federazione, in base ai documenti contabili disponibili….risultano coprire una quota prevalente rispetto alle componenti relative alle quote associative e ai ricavi da vendite, calcolati secondo criteri del SEC95".

Si tratta di affermazione contestabile sotto una pluralità di motivi.

Il criterio imposto dal SEC95 prevede il raffronto fra spesa complessiva ed entrate proprie. Di conseguenza erra l’ISTAT quando effettua il raffronto fra contributi CONI ed entrate F.I.G.C.

In ogni caso il ricorso all’elemento "contributo proveniente da Pubblica amministrazione", ove criterio legittimo, sarebbe penalizzante per la tesi sostenuta dall’ISTAT, essendo fatto notorio che è la Federazione che, mediante le società di calcio ad essa affiliate, finanzia in larga misura il CONI e gli dà la possibilità di contribuire alla sopravvivenza delle Federazioni minori. Il c.d. contributo che il CONI eroga alla F.I.G.C. è solo una parte minima di quello che da essa riceve.

A questo riguardo la ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio (pagg.12 e 13), ha fornito dati precisi, ai quali l’ISTAT nel suo scritto non ha affatto replicato e che devono quindi ritenersi incontestabili, tenuto anche conto delle precise indicazioni che in sede cautelare gli era stato chiesto di fornire ed alle quali non ha affatto ottemperato, optando per una linea difensiva che gli evitava di fornire dati numerici e quantitativi.

Nessun dato significativo è desumibile anche dalla scheda tecnica predisposta dagli uffici dell’ISTAT, ricca di notazioni di carattere giuridico ma priva di qualsiasi indicazione di carattere tecnico. Per questa parte il tutto si riduce ad una "nota di approfondimento sulle entrate della Federazione", nella quale è riportato (nota 1) l’importo complessivo del contributo corrisposto dal CONI alla ricorrente per l’anno 2009 e il suo riparto per singole voci, cioè un dato irrilevante per le ragioni innanzi esposte.

Nella nota 2 sono invece elencate le attività dalle quali la Federazione può ricavare entrate (vendita di biglietti d’ingresso per le gare e per attività di merchandising; forme di sponsorizzazioni presenti sulle attrezzature sportive di gara e negli impianti sportivi; sponsorizzazioni ufficiali presenti sul sito web della Federazione; diritti audiovisivi sportivi degli eventi di campionato, coppe e tornei professionistici a squadre; risorse derivanti dalle squadre nazionali di calcio). Manca invece qualsiasi indicazione sui proventi che, dall’esercizio di tale attività, la Federazione ricorrente ha ricavato, con la conseguenza che la tesi dell’ISTAT si esaurisce in una mera affermazione priva di un minimo supporto probatorio, idoneo a contrastare le argomentazioni della ricorrente.

Aggiungasi che sulla base dei dati in atti non è agevole comprendere come il calcio possa essere considerato attività che pesa pesantemente sul bilancio complessivo dello Stato, sì da giustificare interventi di contenimento della relativa spesa.

Il ricorso deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento nei limiti dell’interesse, e quindi in parte qua, dell’impugnato elenco ISTAT, ma la complessità della materia del contendere e l’impegno profuso dalle parti in causa nella difesa delle rispettive ragioni giustificano ampiamente l’integrale compensazione fra le stesse delle spese e degli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla nei limiti dell’interesse l’impugnato elenco ISTAT.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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