Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
B.A., BI.Pi., D.P.S., F. G., FA.Lu., L.R., M.D., R.E.N., U.C. unitamente ad altre persone, qui non ricorrenti, sono stati tratti a giudizio avanti il Tribunale di Catania per rispondere del reato di associazione per delinquere (finalizzata alla commissione di reati di truffa, falso e simulazione di reati) e ciascuno di varie ipotesi di truffa aggravata così come descritte nei capi di imputazione riportati nell’epigrafe della decisione del Tribunale di Catania.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che, con decisione 6.4.2005, il Tribunale di Catania, affermando la penale responsabilità per taluni dei reati di truffa e falso, ha assolto ("per non avere commesso il fatto"), gli imputati B., F., FA., L., M., R. e U. dal delitto di cui all’art. 416 c.p. di cui al capo P1) così formulato "perchè si associavano fra di loro al fine di commettere più delitti di truffa consumati attraverso la predisposizione di schemi truffaldini consolidati e via via raffinati nel tempo; delitti realizzati mediante la perpetrazione dei connessi reati di simulazione di reato e di falsità di varia natura. Fatto aggravato, per tutti, dall’essere la associazione costituita da più di dieci persone. Con l’ulteriore aggravante per M., N., S. dell’avere promosso ed organizzato l’associazione.
In (OMISSIS)…. B. dal (OMISSIS)… D. P. dall'(OMISSIS), F. dal (OMISSIS) in permanenza attuale… Fa. dall'(OMISSIS) in permanenza attuale, L. dal (OMISSIS)…
M. dal (OMISSIS) … R. dal (OMISSIS)… U. dall'(OMISSIS) in permanenza attuale", assolvendo altresì L.R. dai reati di concorso in truffa e simulazione di reati (capi al e al bis) e dichiarando (ex art. 531 c.p.p.) il non doversi procedere (fra gli altri) nei confronti di B., BI., L., M., R. e U. per essere i reati loro rispettivamente ascritti, estinti per sopravvenuta prescrizione.
A seguito di gravame, proposto anche dall’Ufficio del Pubblico Ministero, la Corte d’Appello di Catania ha dichiarato B., C., D.P.; F., FA., L., M., R., U. colpevoli del delitto di cui all’art. 416 c.p. (capo P1), e tenendo conto degli effetti della ritenuta continuazione con gli illeciti per i quali era già intervenuta precedente pronuncia di condanna, li ha condannati alle conseguenti pene come da dispositivo, oltre che al pagamento delle spese processuali a favore delle parti civili costituite: SAI FONDIARIA spa, NUOVA TIRRENA spa, BAYERISCHE Assicurazioni spa, UNIPOL assicurazioni spa.
Tutti gli imputati, tramite i rispettivi difensori, con atti separati ricorrono avverso la decisione della Corte Catanese richiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i sottonotati motivi che verranno partita mente presi in considerazione B.A..
1.) L’imputata, ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 416 c.p. (capo P1), con due diversi argomenti, lamenta il vizio di erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), nonchè di "apparente motivazione" e di manifesta illogicità della stessa. Con il primo la ricorrente denuncia la discordanza sul piano cronologico fra i fatti specifici, assunti come dimostrativi della partecipazione al reato associativo, commessi nel periodo (OMISSIS), e l’epoca (successiva) durante la quale si sarebbe sviluppata l’associazione che, in tesi di difesa, sulla scorta della descrizione contenuta nell’imputazione e della argomentazione assolutoria adottata dal Tribunale, sarebbe da ricondursi all’iniziativa degli imputati S., N. e MA.. Con un secondo argomento, collegato al precedente, la difesa sostiene che la sola commissione di uno o più delitti (c.d.
"fine" secondo gli scopi propri dell’associazione criminosa), di per sè non è ancora sufficientemente dimostrativa che, chi li abbia commessi, sia anche consapevole concorrente della medesima associazione criminale.
1.1.) La censura, benchè erroneamente inquadrata nell’indicazione della fattispecie viziante all’interno dell’art. 606 c.p.p., comma 1, deve essere esaminata, perchè i vizi denunciati in sede di ricorso, vanno considerati secondo la loro reale prospettazione che, nel caso di specie, è riconducibile al citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nei profili della carenza e della manifesta illogicità della motivazione. Sostiene la difesa, che la Corte territoriale, diversamente valutando dal Tribunale, gli aspetti fattuali della vicenda, non avrebbe spiegato il ruolo dell’imputata nell’ambito di un’associazione per delinquere che, stando alla diversa ricostruzione dei fatti formulati dalla stessa Corte d’Appello, avrebbe avuto la sua genesi nel 1993 per svilupparsi in epoca successiva con l’ingresso, anche con il ruolo di promotori – organizzatori, di altre persone; sostiene ancora la difesa che la Corte territoriale in tal modo non avrebbe indicato i dati fattuali in base ai quali possa affermarsi la esistenza di detta associazione per delinquere, fin dal 1993, nonchè le ragioni per le quali sarebbe da escludersi, perchè considerata infondata, la ipotesi del Tribunale della sussistenza della diversa fattispecie del concorso di persone in un reato continuato. La doglianza della ricorrente è fondata e va accolta.
La Corte Catanese ha dichiarato "irrilevante" la tesi con la quale il Tribunale ha assolto la B. (quale responsabile di concorso in delitti di truffa commessi negli anni (OMISSIS)), sull’assunto che la stessa sarebbe stata altrimenti compartecipe di una associazione i cui organizzatori sarebbero subentrati in epoca successiva alla commissione dei c.d. "reati fine" alla stessa riferibili, ponendo a tal proposito in evidenza: a) la esistenza di collegamenti degli imputati con la CO.IN.AL.BA. s.a.s. fornitrice nel periodo 1993-1996 di apparecchiature medicali (inesistenti) a M.D. e FI.Sa.; b) la serialità degli episodi delittuosi di truffa (sei casi) dimostrativi degli interessi del M. e del FI. prima dell’arrivo di S. e MA.; c) i versamenti e le spartizione di denaro fra i compartecipi dei reati mezzo. Sulla base dei suddetti elementi la Corte d’Appello ha quindi affermato che nel periodo 1993-1996 sarebbe stata così operante un’associazione per delinquere composta da A., B., M. e F., avente ad oggetto la commissione di delitti di truffa in danno di società di leasing e di compagnie di assicurazioni, antecedente all’arrivo del S., del MA. e del N. e la cui esistenza sarebbe provata attraverso la serialità del modus operandi.
La motivazione della sentenza della Corte d’Appello è generica nella indicazione degli elementi di prova a sostegno delle affermazioni fatte ed è carente sui seguenti punti essenziali ai fini del decidere:
1) epoca della costituzione della associazione per delinquere connotata dai suoi tre elementi costitutivi: vincolo associativo, indeterminatezza del programma criminoso, struttura organizzativa (v.
Cass. Sez 1, 14.7.1998 in CedCass. Rv 211403);
2) ruolo concretamente rivestito dalla B. all’interno della organizzazione criminale e il contributo causale dalla stessa fornito alla suddetta organizzazione;
3) evoluzione della associazione criminale nelle sue componenti soggettive al fine di verificare anche la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 c.p., comma 5. 4) ragioni specifiche per le quali è da escludersi che i reati di truffa riferibili alla B. non sia da ascriversi ad una ipotesi di concorso di persone nella esecuzione di un reato continuato (artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 640 c.p.) piuttosto che a quella di violazione dell’art. 416 c.p.. La analisi rigorosa dei suddetti elementi, con la specifica indicazione delle prove a sostegno, è indispensabile al fine di accertare se ciascuno di coloro che hanno concorso nella commissione dei singoli reati di truffa (e fra essi la B.), abbia fatto parte della suddetta associazione per delinquere, essendone componente e sodale a tutti gli effetti, oppure sia stato concorrente esterno alla detta associazione in occasione della commissione delle singole truffe, o, infine sia stato semplice concorrente in singole delitti di truffa senza avere la consapevolezza di agire in consonanza di interessi e scopi perseguiti da una associazione criminale.
Pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza va annullata con rinvio al giudice dell’Appello, come da dispositivo.
BI.Pi.:
2.) Il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti di questo imputato per essere i reati lui ascritti, estinti per intervenuta prescrizione.
Avverso la suddetta decisione l’imputato ha proposto appello richiedendo l’assoluzione nel merito, deducendo l’inutilizzabilità delle intercettazioni considerate dal giudice di primo grado come prova a carico del prevenuto.
La Corte territoriale ha rigettato il gravame, ravvisando in atti ulteriori prove (puntualmente elencate a pag. 27 della sentenza) della penale responsabilità del ricorrente, confortate anche dai contenuto della intercettazione telefonica.
Ricorrendo in sede di legittimità, la difesa dell’imputato, con un primo motivo denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sotto due diversi profili: a) violazione dell’art. 267 c.p.p., comma 1 bis in relazione all’art. 203 c.p.p.:
b) la violazione dell’obbligo di motivazione del decreto con il quale, è stata disposta l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione all’ufficio della Procura della Repubblica competente.
Con un secondo motivo, la difesa denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione dell’art. 192 c.p.p., perchè la Corte territoriale avrebbe affermato la responsabilità dell’imputato sulla base di un "frammento" di colloquio telefonico intercettato con il coimputato S., con conseguente insufficienza in sè del dato indiziario per sostenere la responsabilità dell’imputato.
Con un terzo motivo la difesa denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione dell’art. 640 c.p., perchè nella sentenza impugnata sarebbe stata omessa ogni motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato con particolare riferimento allo aspetto dell’"ingiusto profitto" con danno per la FINEMIRO LEASING spa che è stata risarcita, come provato dalle fatture 10.12.1998 e 28.2.1999. 2.2.) Il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo motivo è generico in ordine ad entrambi i profili delineati. Se da una lato è obbiettivamente rilevabile che la Corte territoriale non ha pronunciato in merito "inutilizzabilità delle intercettazioni" ex art. 271 c.p.p. e art. 267 c.p.p., comma 1 bis, dall’altro si deve osservare che la censura è formulata in termini generici perchè non viene fornita indicazione dei seguenti punti:
1) da quale atto processuale sia desumibile che l’"intercettazione" (della quale non sono neppure indicati gli estremi) sia stata disposta in violazione del combinato disposto dell’art. 267 c.p.p., comma 1 bis e art. 203 c.p.p.;
2) da quale atto processuale sia desumibile che l’intercettazione sia stata disposta unicamente sulla base di notizie apprese da "informatori" non "interrogati" o "assunti a sommarie informazioni";
3) da quale atto processuale sia desumibile che per l’intercettazione dovesse essere applicata la disciplina prevista dalla L. n. 63 del 2001, anche alla luce della citata Legge, art. 26, che nulla ha disposto in ordine al regime transitorio delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 10 relativi alla materia delle intercettazioni.
Il motivo è inoltre generico, perchè non spiega comunque, come l’eventuale dichiarazione di inutilizzabilità dell’intercettazione debba portare all’assoluzione nel merito dell’imputato, avendo la Corte catanese affermato che la penale responsabilità del prevenuto sarebbe ritraibile da plurimi elementi di prova (di natura documentale) e non esclusivamente dalla sola intercettazione telefonica.
Ad analoga conclusione si deve pervenire anche in relazione alla denunciata violazione dell’art. 268 c.p.p., per avere, il Pubblico Ministero, in tesi della difesa, autorizzato in modo sostanzialmente immotivato l’esecuzione delle intercettazioni con impianti diversi da quelli installati negli uffici della Procura della Repubblica.
La censura è generica: a fronte della valutazione di piena legittimità formale degli atti autorizzativi dell’intercettazione espressa dalla Corte territoriale, la difesa non ha indicato in modo specifico e puntuale le ragioni per le quali quella decisione sia errata; inoltre al di là del fondamento del motivo dedotto la difesa non fornisce alcun argomento per ritenere la rilevanza probatoria esclusiva della intercettazione telefonica contestata, avendo la Corte d’Appello diversamente ritenuto per la esistenza di ulteriori elementi di prova documentale. Pertanto, alla mancanza della indicazione delle specifiche ragioni poste a base del motivo di gravame, manca anche qualsivoglia dimostrazione dell’interesse giuridico alla sua trattazione, conducente, anche sotto questo diverso profilo all’affermazione di inammissibilità. Manifestamente infondato appare anche il terzo motivo.
La Corte catanese ha riscontrato l’esistenza di prove (di natura documentale), specificatamente indicate, di per sè preclusive per assolvere nel merito l’imputato, che lamenta, sul punto, vizio di motivazione. A tal proposito, va rilevato che, al di là della insindacabilità nel merito delle valutazioni fatte dal giudice dell’Appello, non possono comunque essere rilevati in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata allorchè sia intervenuta, per motivi di rito, una causa di estinzione dei reato; infatti l’accoglimento del motivo di gravame, con conseguente rinvio degli atti al giudice del merito, per un nuovo giudizio, sarebbe comunque incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 c.p.p..
Di qui consegue la inammissibilità della censura.
Con riferimento, infine, alla doglianza inerente alla mancanza della prova di un danno patito dalla parte offesa, perchè risarcita, la Corte territoriale ha affermato: "…nè la natura complessa del contratto di leasing, nè le successive modalità di pagamento a rate alla società erogatrice il finanziamento…..non elide l’ingiusto profitto con eguale donno della p.o. avvenuto all’atto del finanziamento, cui era sottesa una vendita di un oggetto inesistente…".
La decisione, nella sostanza non specificatamente confutata dal ricorrente, è corretta sul piano giuridico e va condivisa: nel caso concreto, la FINEMIRO Leasing spa è stata indotta, attraverso artifici, a sottoscrivere un contratto relativo ad un bene "inesistente" (del quale non ha quindi acquisito la proprietà); il reato di truffa si è consumato ai danni della società di leasing nel momento della stipulazione del negozio di locazione finanziaria per un bene "inesistente" il cui prezzo è stato comunque pagato al fornitore. Il fatto che (il fittizio) "utilizzatore" del bene abbia successivamente pagato le rate dovute per il contratto di locazione finanziaria in danno, non elide comunque l’antigiuridicità del fatto commesso, incidendo, al più, in ordine alla gravità del fatto di truffa che è già consumato.
Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del ricorso.
D.P.S.:
3) La difesa ricorre per Cassazione denunciando il vizio di carenza di motivazione in ordine alla condanna per il reato di cui all’art. 416 c.p., sostenendo che: a) il coimputato R.E. N. (figlio della ricorrente), ammettendo i fatti ha rivendicato la sua esclusiva responsabilità nella costituzione e nell’amministrazione della BIOAGING spa, nella quale essa imputata è stata amministratice in modo apparente e formale; b) la motivazione sarebbe carente perchè assertiva e non confutativa della diversa motivazione con la quale il Tribunale ha assolto la imputata.
3.1.) Il ricorso è fondato e va accolto.
Dalla lettura della decisione impugnata non si evincono elementi e circostanze di fatto riguardanti la D.P.S., in modo specifico, comprovanti il consapevole contributo causale dell’imputata e tali da smentire le dichiarazioni del R. di tenore contrario.
La Corte catanese, esaminando congiuntamente la posizione processuale di D.P.S., L.R. e R.E., ha ritenuto provata, con argomentazioni generiche la partecipazione del R., della D.P. e della L. nella violazione dell’art. 416 c.p. desumendo la prova: a) dal fatto che uno dei soggetti fittiziamente forniti era il N.; b) dal coinvolgimento degli imputati in undici episodi illeciti; c) dalla collaborazione lavorativa della L. rispettivamente con la sorella del MA. e con il S.; d) dalle condizioni economiche non floride del R.. Rimane del tutto immotivato l’aspetto del contributo causale eventualmente fornito dalla D.P.S. nella complessa vicenda, e la indicazione delle prove dimostrative della infondatezza delle dichiarazioni del R..
La motivazione pertanto è carente, con la conseguenza che il ricorso deve essere accolto, e la sentenza, in relazione a questa posizione processuale deve essere annullata con rinvio, come da dispositivo.
F.G.:
4.) L’imputato, condannato in primo grado per i reati di cui ai capi A), P), U), A bis), ha proposto appello chiedendo: a) la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione della parte civile BAYERISCHE Assicurazioni; b) il rigetto dell’appello proposto dall’Ufficio del Pubblico Ministero volto alla condanna dell’imputato anche in riferimento al delitto di associazione per delinquere di cui ai capo P1); c) l’assorbimento del delitto di simulazione di reato in quello di truffa; d) la riduzione della pena nel minimo edittale.
La Corte territoriale ha rigettato tutti i motivi di gravame.
Ricorre pertanto per Cassazione l’imputato deducendo:
Con i primi due motivi, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), la difesa deduce la violazione dell’art. 185 c.p. e art. 74 c.p.p. e il vizio di motivazione, in riferimento alla posizione processuale della parte civile BAYERISCHE Assicurazioni spa, perchè priva di legittimazione attiva, attesa la mancanza di un danno concreto derivante in modo diretto ed immediato dalla violazione dell’art. 416 c.p..
Con un terzo motivo, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la difesa denuncia vizio di erronea applicazione degli artt. 416 e 110 c.p., sostenendo che il proprio coinvolgimento nella vicenda è limitata alla commissione di soli tre episodi di truffa (in concorso con S., N. e MA.) senza che sia indicata la specifica prova della sua partecipazione al diverso reato di cui all’art. 416 c.p. Sostiene a tal proposito la difesa, che sul piano fattuale può sussistere una associazione per delinquere nell’interesse della quale taluno dei compartecipi può commettere "reati fine" con il concorso di estranei all’associazione e come tali non partecipanti alla associazione stessa, concludendo che gli elementi di prova indicati dalla Corte territoriale nella propria decisione, sono attinenti al compimento delle singole truffe senza che gli stessi abbiano, nel contempo anche un’idonea efficacia dimostrativa del diverso delitto di cui all’art. 416 c.p..
Con un quarto motivo il ricorrente denuncia l’illogicità e la carenza di motivazione sotto il profilo della mancata confutazione del contenuto assolutorio della decisione di primo grado, non avendo la Corte territoriale: a) preso in considerazione il contenuto delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da S. e da MA.; b) indicato in base a quali motivi il ricorrente debba essere ritenuto partecipe dell’associazione anche in epoca successiva alle date di consumazione delle singole truffe dallo stesso commesse.
Con un quinto motivo, il ricorrente denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione dell’art. 157 c.p., perchè la Corte territoriale non ha dichiarato la prescrizione dei reati.
Con un sesto motivo la difesa lamenta il vizio di carenza di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’indulto.
4.1.) Vanno preliminarmente affrontati, congiuntamente il terzo e il quarto motivo di ricorso assorbenti rispetto ai primi due, siccome fondati.
Il Tribunale, assolvendo l’imputato dal reato di cui all’art. 416 c.p., descrivendo il nucleo centrale dell’associazione criminale, ha ritenuto che nel caso concreto la condotta dell’imputato F. fosse da ricondursi ad un’ipotesi di concorso di persone nella commissione di un reato continuato. La Corte territoriale, a sua volta, non ha assolto in modo concreto all’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio confutando gli argomenti della decisione di primo grado, dando conto delle ragioni della sua relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (v. Cass. SU 33748/2005; Cass.sez 4, 28583/2005; Cass. Sez. 2, 746/2005; Cass. Sez. 6, 6221/2005; Cass. Sez. 5, 42033/2008).
In particolare la Corte territoriale non ha risposto su due specifici punti, fra loro connessi: a) quale sia l’elemento differenziale per il quale si debba ritenere che nel caso di specie ricorre la fattispecie di cui all’art. 416 c.p., e non già quella del concorso di persone in reato continuato; b) quali siano gli elementi di fatto in base ai quali possa affermarsi la partecipazione del F. all’associazione per delinquere anche per il periodo successivo a quello della commissione delle singole truffe dallo stesso commesse.
Sarebbe stato infatti onere della Corte d’Appello analizzare in modo puntuale le ragioni della propria valutazione dei fatti, argomentando come i fatti ascritti all’imputato non possano essere riconducibili alle possibili alternative configurazioni giuridiche di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 640 c.p. (concorso di persone nel reato continuato) o artt. 110 e 416 c.p. (concorso esterno nella associazione per delinquere), fornendo al contempo indicazioni comprovanti la perdurante partecipazione del F. e il relativo ruolo, alla commissione del reato associativo.
Il motivo deve quindi essere accolto (con assorbimento delle censure inerenti alla legittimazione processuale della parte civile) con rinvio alla Corte d’Appello per un nuovo esame sul punto, come da dispositivo.
Il quinto motivo di ricorso va accolto con le seguenti precisazioni.
La questione della denunciata prescrizione del reato associativo, sostenuta dalla difesa, presuppone la soluzione del terzo e del quarto motivo di ricorso, dovendosi stabilire da un lato se il F. sia stato concorrente nel delitto di cui all’art. 416 c.p. e, dall’altro, il momento in cui sia cessata la permanenza della suddetta violazione. Per quanto attiene alla già denunciata prescrizione degli ulteriori illeciti, va segnalato che la Corte territoriale, ha affrontando la relativa questione affermandone la infondatezza , con la seguente motivazione (censurata dalla difesa):
"….avuto riguardo al tempo del commesso reato ed alle plurime sospensioni del termine prescrizionale avvenuto durante il dibattimento di primo grado, per rinvii su istanza dei difensori (e comunque senza l’opposizione degli altri difensori che di volta in volta non erano richiedendo il rinvio..". La motivazione sul punto deve ritenersi carente, essendo onere della Corte d’Appello indicare in modo specifico e puntuale i singoli periodi di sospensione, con individuazione della loro durata e della loro causa, al fine di permettere un concreto controllo da parte del giudice della legittimità cui è demandato l’esclusivo compito di verificare, a seguito di puntuale censura, la legittimità della decisione assunta.
Pertanto anche in relazione a questo profilo la decisione deve essere annullata con rinvio.
Il sesto motivo (questione attinente alla applicazione dell’indulto), allo stato va rigettata siccome assorbita nei precedenti motivi accolti.
FA.LU.:
5.) L’imputato è stato condannato in primo grado per i reati di cui alle lett. S) B2) C2) E2) F2) G2) H2) alla pena di anni uno, mesi tre e giorni 15 di reclusione e Euro 300,00 di multa, ed è stato assolto dal reato di cui all’art. 416 c.p. di cui al capo P1) per non avere commesso il fatto.
Avverso la suddetta decisione la difesa ha proposto appello richiedendo l’assoluzione dai reato di cui al capo F), mancando la prova della condotta di artifici e raggiri posta in essere dall’imputato che aveva ricevuto dal S. un ecografo, non pagato per difficoltà economiche; la difesa richiedeva altresì la riduzione della pena irrogata, perchè eccessiva rispetto ai fatti per i quali era intervenuta condanna.
Proponeva altresì impugnazione l’ufficio del Pubblico ministero con riferimento alla assoluzione per il delitto di partecipazione alla associazione per delinquere.
La Corte territoriale dichiarava l’infondatezza dell’appello del FA., accogliendo quello del Pubblico Ministero.
Propone ricorso la difesa lamentando il vizio di carenza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali non è stata pronunciata assoluzione e non è stata ridotta la pena.
5.1.) Il ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale con motivazione adeguata (vv. pp. 20 e 21, 33 e 34 della sentenza impugnata) ha indicato le ragioni e le prove poste a fondamento della affermazione della penale responsabilità dell’imputato, nonchè, attraverso il richiamo alla gravità del fatto desunta dalle modalità della azione, i criteri per i quali ha ritenuto equa la pena inflitta dal Tribunale. La difesa, nel proprio ricorso, al di là di un generico richiamo al dettato degli artt. 132 e 133 c.p. non ha indicato in modo specifico le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del proprio gravame e, al di là della formulazione di una mera doglianza in fatto conducente ad una diversa e soggettiva valutazione della gravità del reato ascritto, non ha precisato le ragioni di diritto per le quali sarebbe erronea la decisione. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dal FA. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame. Alla pronuncia consegue altresì la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Banca Agrileasing spa, che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
L.R.;
6). Il Tribunale di Catania ha assolto l’imputata per i capi A1 e A1 bis e P1 per non avere commesso il fatto, dichiarando ex art. 531 c.p.p., il non doversi procedere in ordine agli ulteriori reati per intervenuta prescrizione.
Contro la sentenza, l’ufficio del Pubblico Ministero ha proposto con riferimento alla assoluzione dal reato di cui all’art. 416 c.p.; la Corte catanese ha accolto l’impugnazione condannando quindi l’imputata alla pena di mesi sei di reclusione per la violazione dell’art. 416 c.p..
Ricorre per Cassazione la difesa lamentando, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio di difetto di motivazione, formulando censure analoghe a quelle già dedotte per la imputata D.P. S. (v. 3.) sostenendo che: a) il coimputato R.E. N. (marito della ricorrente), ammettendo i fatti ha rivendicato la sua esclusiva responsabilità nella costituzione e nell’amministrazione della BIOAGING spa; b) la motivazione sarebbe carente perchè assertiva e non confutativa della diversa motivazione con la quale il Tribunale ha assolto la imputata.
6.1.) Il ricorso è fondato e va accolto per le medesime ragioni già indicate in relazione alla posizione della coimputata D.P..
Infatti, anche in questo caso, dalla lettura della decisione impugnata non si evincono elementi e circostanze di fatto riguardanti l’imputata, in modo specifico, comprovanti il consapevole contributo causale fornito dalla stessa e tali da smentire le dichiarazioni del R. di tenore contrario.
La Corte catanese, esaminando congiuntamente la posizione processuale di D.P.S., L.R. e R.E., ha affermato, in modo generico che la partecipazione del R., della D.P. e della L. nella violazione dell’art. 416 c.p. sarebbe provata: a) dal fatto che uno dei soggetti fittiziamente forniti era il N.; b) dal coinvolgimento degli imputati in undici episodi illeciti; c) dalla collaborazione lavorativa della L. rispettivamente con la sorella del MA. e con il S.; d) dalle condizioni economiche non floride del R..
Alla luce della motivazione della assoluzione fornita dal Tribunale, la Corte territoriale, come per la già esaminata posizione del F., non ha assolto in modo concreto all’obbligo di esplicitare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio, confutando gli argomenti della decisione di primo grado, dando conto delle ragioni della loro relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (v. Cass. SU 33748/2005; Cass.sez 4, 28583/2005; Cass. Sez. 2, 746/2005; Cass. Sez. 6, 6221/2005; Cass. Sez. 5 42033/2008).
In particolare appare assolutamente generica la motivazione della responsabilità della L. siccome riferita all’esistenza di un rapporto di lavoro con la sorella del MA. e con il S., non essendo stata posta in evidenza nè la natura nè la causa dei suddetti rapporti di lavoro nè perchè essi siano dimostrativi della consapevolezza della L. della propria partecipazione nella violazione dell’art. 416 c.p.. Parimenti non ha in sè significato esaustivo il riferimento al coinvolgimento in undici episodi, allorchè non venga descritto in ciascuno di essi il ruolo svolto dalla imputata. Infatti se dalla commissione dei c.d. reati fine della associazione per delinquere è possibile desumere il dato fattuale della partecipazione dell’autore degli stessi nel diverso reato associativo, è peraltro necessario che venga individuato in modo concreto la natura e la modalità dell’apporto causale fornito dal singolo, sì da poter desumere in modo certo la prova piena della consapevole partecipazione all’associazione per delinquere con piena adesione al programma criminoso.
Pertanto anche per questa posizione processuale il ricorso va accolto e la sentenza va annullata, come da dispositivo, con rinvio per nuovo esame sul punto.
7) M.D.:
Il Tribunale ha assolto l’imputato dal delitto di associazione per delinquere (capo P1) per non avere commesso il fatto, mentre ha dichiarato ex art. 531 c.p.p., il non doversi procedere per essere gli ulteriori reati estinti per prescrizione. Su impugnazione dell’Ufficio del Pubblico Ministero, la Corte territoriale, diversamente valutando la posizione dell’imputato, lo ha condannato per il delitto di cui all’art. 416 c.p. alla pena di mesi sei di reclusione. Avverso tale ultima decisione, la difesa dell’imputato ricorre in questa sede deducendo: 1) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il vizio di erronea applicazione dell’art. 157 c.p., perchè, tenuto conto dell’epoca della cessazione della permanenza del delitto di cui all’art. 416 c.p., il reato doveva essere considerato ormai prescritto ai sensi della L. n. 251 del 2005; 2) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) denuncia il vizio di motivazione, perchè la associazione per delinquere ruotante intorno a S., MA. e N. è successiva all’epoca nella quale risultano essere state consumate le truffe ascritte all’imputato.
7.1.) Il secondo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del primo nei limiti di cui infra.
In riferimento all’affermazione della penale responsabilità del prevenuto in ordine alla commissione del delitto di cui all’art. 416 c.p., la motivazione della decisione della Corte Catanese è carente.
Vanno qui richiamate le medesime considerazioni già svolte nella disamina della analoga posizione della B. sub 1.2.) e che, mutatis mutandis devono, per brevità, essere ritenute qui ritenute riportate.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso, siccome attinente ad un vaglio di merito della posizione dell’imputato, se non altro per escludere che ricorra un’ipotesi proscioglimento nel merito ex art. 530 c.p.p., comma 2, comporta l’assorbimento del primo motivo che potrà essere preso in esame dalla Corte territoriale, una volta esclusa la prevalenza di un’ eventuale proscioglimento nel merito per insussistenza di prove sufficienti, dovendosi per altro precisare che la normativa applicabile, nel caso di specie, in tema di prescrizione, è comunque quella antecedente all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, posto che la sentenza di primo grado è stata pronunciata in data 6.4.2005.
R.E.:
8) L’imputato, assolto dal Tribunale dal delitto di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., a seguito di impugnazione dell’Ufficio del Pubblico Ministero è stato condannato dalla Corte d’Appello per il detto reato. La difesa dell’imputato ricorre pertanto in sede di legittimità, deducendo tre motivi di ricorso.
Con un primo motivo la difesa denuncia, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), vizio di motivazione esponendo le identiche ragioni già dedotte nei ricorsi delle imputate L. e D.P., rilevando in particolare che la Corte d’Appello non ha indicato le ragioni per le quali i fatti di truffa ascritti e per il quale il prevenuto è stato ritenuto responsabile non siano riconducigli ad una più semplice ipotesi di concorso di persone in truffa continuata.
Con un secondo motivo la difesa denuncia l’erronea applicazione dell’art. 157 c.p., non essendo stata dichiarata la estinzione del reato per intervenuta prescrizione mediante il richiamo a sospensioni che ad avviso della difesa non risultano essere state disposte dal Tribunale, per la relativa insussistenza dei loro presupposti.
Con un terzo motivo la difesa rileva che in primo grado, il Tribunale, condannando l’imputato per il reato di truffa, aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; a sua volta la Corte d’appello, pronunciando la condanna per il delitto di associazione per delinquere, ha dichiarato l’estinzione della pena per applicazione del condono. Sostiene quindi la difesa che si sarebbe creata una situazione di contraddittorietà non essendo stato chiarito se la sanzione debba essere ritenuta estinta per condono o soltanto sospesa condizionatamente.
8.1.) Vanno accolti i primi due motivi di ricorso, dovendosi ritenere assorbito il terzo. Come già rilevato per altre posizioni processuali (v. L., D.P., F.) anche nel caso dell’imputato R., la Corte territoriale non ha assolto in modo concreto all’obbligo di descrivere le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio confutando gli argomenti della decisione di primo grado, dando conto delle ragioni della loro relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (v. Cass. SU 33748/2005; Cass.sez 4, 28583/2005; Cass. Sez. 2, 746/2005; Cass. Sez. 6, 6221/2005; Cass. Sez. 5, 42033/2008). In particolare la Corte d’Appello non ha messo in concreta evidenza l’elemento differenziale per il quale si debba ritenere che nel caso del R. ricorra la violazione dell’art. 416 c.p., alternativa alla ricostruzione della fattispecie operata dal Tribunale. In particolare era preciso compito della Corte d’Appello indicare in modo puntuale le ragioni della propria valutazione dei fatti, argomentando come quelli ascritti all’imputato non fossero riconducibili alle possibili alternative configurazioni giuridiche di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 640 c.p. (concorso di persone nel reato continuato) o artt. 110 e 416 c.p. (concorso esterno nella associazione per delinquere).
In relazione all’invocata richiesta di riconoscimento dell’estinzione del reato per prescrizione, esclusa dalla Corte d’Appello attraverso il richiamo alle plurime sospensioni verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, il motivo di doglianza va accolto negli stessi termini e per le medesime ragioni per i quali è stato accolto il quinto motivo di gravame dello imputato F. (sub 4.1.), le cui motivazioni devono qui ritenersi richiamate.
La sentenza va pertanto annullata con rinvio in riferimento alla pronuncia di condanna per il delitto di cui all’art. 416 c.p., dovendosi ritenere assorbiti, nell’accoglimento del primo motivo, anche il secondo e il terzo, per il quale va richiamata la decisione Cass. S.U. 36837/2010, con la conseguenza che sarà onere del giudice dell’appello indicare se per la eventuale irroganda pena debba ritenersi disposta la sola sospensione condizionale, dovendo quest’ultima, se del caso, essere ritenuta prevalente rispetto all’indulto.
U.C.:
9.) Il Tribunale di Catania ha assolto l’imputato dal delitto di cui all’art. 416 c.p., per non avere commesso il fatto, mentre, in relazione ai restanti delitti di truffa, ha dichiarato ex art. 531 c.p.p., il non doversi procedere per essere i reati estinti per sopravvenuta presscrizione. A seguito di gravame proposto dall’ufficio del Pubblico Ministero, la Corte d’Appello ha condannato l’imputato alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 416 c.p..
Avverso la suddetta decisione ricorre la difesa dell’imputato, richiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e deducendo il vizio di carenza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale, perchè la Corte d’Appello da un lato non avrebbe preso in considerazione la natura dei rapporti interpersonali intercorrenti tra l’imputato e il MA., essendo quest’ultimo il commercialista del primo che a sua volta era il medico curante della famiglia del secondo, dall’altro non avrebbe indicato le ragioni per le quali l’imputato, che sarebbe responsabile di due fatti specifici, sarebbe compartecipe dell’associazione per delinquere formata e costituita da altre persone. Da ultimo la difesa lamenta come nessuna motivazione sia stata fornita in ordine alla entità della pena irrogata e se nel contempo siano state o meno riconosciute le attenuanti generiche.
9.1.) Il ricorso è fondato e va accolto per le medesime ragioni già indicate per gli imputati M., F., B., R., L..
Gli elementi di fatto indicati dalla Corte d’Appello alle pp. 24-26 della sentenza impugnata, se esplicativi del concorso dell’imputato nei singoli delitti di truffa (capi D, H, 0, E1, L1, M1) alcuni dei quali peraltro commessi in concorso con tale BU. che neppure risulta essere fra i soggetti coinvolti nella associazione per delinquere di cui al capo P1 della rubrica della imputazione, pur tuttavia non danno conto delle ragioni per le quali le dette circostanze siano denotative di una partecipazione ad una associazione per delinquere e non già della ritenuta e differente ipotesi profilata dal Tribunale di concorso di persone in truffa continuata.
Infatti anche in questo caso la Corte d’appello non ha assolto In modo concreto all’obbligo di indicare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio, confutando gli argomenti della decisione di primo grado, dando conto delle ragioni della loro relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (v. Cass. SU 33748/2005; Cass.sez 4, 28583/2005; Cass. Sez. 2, 746/2005; Cass. Sez. 6, 6221/2005; Cass. Sez. 5, 42033/2008).
Pertanto, in accoglimento del gravame, si impone lo annullamento della impugnata sentenza sul punto, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania, limitatamente a B.A., D.P. S., F.G., L.R., M.D., R. E., U.C. in relazione alla ritenuta responsabilità ex art. 416 c.p..
Dichiara inammissibili i ricorsi di BI.Pi. e FA. L. che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Condanna altresì FA.Lu. alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile BANCA Agrileasing spa che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese generali I.V.A. e C.P.A..
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