T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 12-07-2011, n. 1882 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, presentato alla notifica il 17.07.2009 e depositato il successivo 07.09.2009, l’esponente società ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, deducendone la illegittimità sotto più profili.

In particolare, riferisce, in sintesi, la ricorrente – azienda operante nella produzione e commercializzazione di aromi (da ora anche solo la società) – di avere acquistato nel 2003 il comparto confinante, per attivare un complesso programma di riqualificazione del ciclo produttivo, facendo affidamento su un indice edificatorio stabilito dal vigente P.R.G. di 0,6 mq/mq di slp.

Sennonché, il P.G.T. adottato nel 2008 dal Comune di Carate Brianza avrebbe portato l’indice in questione da 0,6 a 0,3 mq/mq di slp, dimezzando gli indici edificatori dell’area.

A nulla sarebbe valsa l’osservazione presentata dalla società per prospettare l’irrazionalità urbanistica della scelta comunale atteso che, con d.C.C. n.29/2009, il P.G.T. sarebbe stato approvato respingendo la predetta osservazione.

Da ciò l’odierno gravame, affidato a tre motivi, con cui si deduce quanto di seguito, in sintesi, riportato:

1) Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge regionale Lombardia n.12/2005; la violazione dell’art. 97 Cost. e del d.lgs. n. 152/2006; la violazione della d.C.R. n. VIII/351 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e sviamento; nonché, l’incompetenza.

Ciò, poiché, a dispetto di quanto imposto dalla richiamata normativa che vorrebbe una netta distinzione tra autorità proponente il piano urbanistico e autorità competente per il parere ambientale, nel caso in esame il ruolo di autorità competente per la V.A.S. sarebbe stato assegnato ad un soggetto privo di reale autonomia rispetto al procedimento pianificatorio, trattandosi del responsabile del settore urbanistica del Comune di Carate Brianza, che avrebbe svolto anche le funzioni di responsabile del procedimento per l’approvazione del P.G.T.

Per tale via, prosegue sempre il medesimo patrocinio, da un lato, dovrebbe essere constatata la illegittimità della deliberazione G.R. Lombardia n. VIII/6420, che avrebbe ammesso che l’autorità competente per il parere ambientale fosse individuata all’interno dello stesso ente deputato a svolge le funzioni di autorità procedente (l’illegittimità di tale delibera trarrebbe poi seco quella dei successivi pareri adottati dall’autorità competente per la VAS e, quindi, in via ulteriormente derivata, quella del P.G.T.).

Da altro lato, dovrebbe comunque constatarsi l’illegittimità della designazione dell’autorità competente per la V.A.S., poiché adottata dal funzionario direttamente coinvolto nel procedimento di pianificazione, senza nessuna garanzia di autonomia e neutralità.

2) Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge regionale n. 12/2005, dell’art. 20 del d.lgs. n. 267/2000, della direttiva 2001/42/CE, del d.lgs. n. 152/2006 e del P.T.C.P., nonché, l’eccesso di potere per contraddittorietà e carenza di motivazione.

Ciò, poiché il P.G.T. avrebbe previsto un rilevante consumo di suolo, di gran lunga superiore a quello ammesso dal P.T.C.P., con conseguente contrasto del P.G.T. col piano provinciale e con la d.G.P. del 23.02.2009, che avrebbe rilevato le suddette incongruità.

Sarebbe stata, quindi, violata la prescrizione di cui all’art. 84 del P.T.C.P., nonché, la stessa normativa sulla V.A.S., che imporrebbe di ponderare le possibili ripercussioni sull’ambiente del piano in itinere.

3) Col terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce, genericamente, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, perché il P.G.T. avrebbe dimezzato gli indici edificatori delle aree di sua proprietà frustrando l’affidamento del privato in assenza di adeguata motivazione.

Si sono costituiti la Regione Lombardia e il Comune di Carate Brianza, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando, altresì, delle eccezioni preliminari.

Con motivi aggiunti notificati il 24.01.2011 e depositati il successivo 14.02.2011 è stata estesa l’impugnazione agli atti in epigrafe specificati, sempre al fine di corroborare la tesi della dedotta illegittimità della V.A.S., di cui al primo motivo del ricorso introduttivo (in sostanza, verrebbero riproposte avverso gli atti conosciuti a seguito della produzione documentale della resistente amministrazione comunale, adottati per sostituire l’arch. Parma con l’arch. V. come autorità competente per la V.A.S., le stesse censure svolte col primo motivo del ricorso introduttivo, sottolineando – in particolare – come sarebbe stata del tutto disattesa la regola, confermata anche dal Consiglio di Stato, per cui l’autorità competente per la V.A.S. dovrebbe essere individuata ex ante e non ex post in relazione al singolo procedimento di pianificazione e dovrebbe essere dotata di un adeguato grado di autonomia).

Al contempo, la difesa ricorrente ha chiesto, per l’eventualità che il Collegio non ritenesse di poter configurare una posizione legittimante al ricorso in capo all’esponente, di investire la Corte di Giustizia U.E. della questione pregiudiziale, in verità non specificamente formulata, apparentemente attinente la compatibilità col diritto comunitario di una normativa nazionale che non tuteli adeguatamente il diritto di proprietà al cospetto degli atti di pianificazione urbanistica soggetti a VAS.

Sempre nei suddetti motivi aggiunti, poi, la ricorrente, prendendo atto della sopravvenuta decisione del Consiglio di Stato n. 133/2010, favorevole alla tesi della non necessaria separazione dell’autorità competente per la V.A.S. dall’autorità procedente, ha evidenziato un problema di compatibilità della normativa nazionale, così interpretata, con la direttiva comunitaria 2001/42/CE, la quale sembrerebbe esigere che il parere in tema di V.A.S. sia espresso da un’autorità dotata di un certo grado di autonomia che, per contro, non si presterebbe ad essere garantito nei confronti di un organo incardinato nell’amministrazione procedente. A conforto di tale assunto, l’esponente difesa cita le recenti modifiche apportate all’art. 15 del d.lgs. n. 152/2006 dal d.lgs. n. 128/2010, proprio nel segno di una maggiore effettività del parere in questione. Da ciò, in via cautelativa, l’ulteriore impugnazione rivolta alla d.G.R. 10.11.2010 n. 9/761 (che ammetterebbe la non separazione fra le due autorità de quibus) per contrasto con l’art. 7, co. 6° del d.lgs. n. 152/2006.

Lo stesso patrocinio, quindi, conclude chiedendo, all’occorrenza, di sottoporre alla Corte di Giustizia il quesito pregiudiziale così formulato:

– se sia compatibile col diritto comunitario una normativa nazionale, comprensiva delle disposizioni regionali, la quale ammetta che il parere previsto dall’art. 6 della direttiva 2001/42/CE possa essere assegnato ad un organo o ufficio della stessa amministrazione competente all’elaborazione del piano, anche qualora sia privo di reale autonomia rispetto all’amministrazione stessa e non presenti specifica competenza ambientale.

In prossimità della data fissata per l’udienza hanno prodotte memorie di replica sia la difesa regionale che quella ricorrente.

Alla Pubblica udienza del 21 aprile 2011 la causa, su concorde richiesta delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1) In primo luogo, deve essere esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata da parte dell’amministrazione comunale, sul presupposto che, dalla scadenza del periodo di pubblicazione della delibera di approvazione del P.G.T. sull’Albo Pretorio alla notifica del ricorso sarebbero decorsi più di 60 giorni.

L’eccezione va disattesa.

Come già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, IV^, 31.05.2011 n. 3297; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 1988, n. 3; T.A.R. Lombardia, Milano, II^, 27.01.2010 n.187), qualora un atto amministrativo a carattere generale sia sottoposto a plurime forme di pubblicità, la decorrenza del termine di impugnazione deve essere ancorata alla scadenza dell’ultima forma di pubblicità prevista dalla legge o in base alla legge (art. 41, co. 2° c.p.a.).

Ebbene, con particolare riguardo alla Regione Lombardia, la L.R. 1132005 n. 12 (Legge per il governo del territorio) all’art. 13 (Approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio), ha previsto che (comma 11°):

" Gli atti di PGT acquistano efficacia con la pubblicazione dell’avviso della loro approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione, da effettuarsi a cura del comune…".

Ne consegue che, quando – come nel caso che qui occupa – la deliberazione di approvazione del P.G.T. sia stata dapprima pubblicata sull’Albo Pretorio e solo in seguito assoggettata alla pubblicazione sul B.U.R., la presunzione legale di conoscenza non avrà luogo sino a che non si sia perfezionata l’intera fase della pubblicità legale.

2) In secondo luogo, deve essere scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di legittimazione o, comunque, di interesse a proporlo, articolata sia da parte della difesa regionale che da quella comunale.

La prima, in sostanza, ravviserebbe un palese difetto di interesse dell’esponente ad impugnare la d.G.R. n. 6420/2007, recante "Determinazione della procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi – VAS", non essendo stato affatto dimostrato l’interesse della società ad ottenere l’annullamento di tale deliberazione.

Quanto alla difesa comunale, la stessa avrebbe esteso la dedotta carenza di interesse in relazione a tutte le censure dedotte con i primi due motivi di ricorso, in quanto relativi, rispettivamente, a presunte illegittimità della V.A.S., nonché, al contrasto del P.G.T. con il P.T.C.P.

In sostanza, stando al patrocinio comunale, i vizi dedotti con i predetti motivi non avrebbero alcun collegamento diretto e immediato con l’interesse concreto fatto valere da parte ricorrente, consistente nell’aspirazione ad un più elevato indice di edificabilità della propria area.

Sarebbe sufficiente notare, al riguardo, come le critiche al contenuto della V.A.S. relative al mancato contenimento del consumo di suolo non urbanizzato, o nulla avrebbero a che vedere con l’area urbanizzata della ricorrente, la cui destinazione ad uso produttivo ex previgente P.R.G. sarebbe rimasta immutata, o addirittura sarebbero antitetiche rispetto alla maggiore edificabilità e, quindi, al maggior consumo di suolo, cui la ricorrente mira con l’impugnazione del P.G.T.

In altri termini, la società non avrebbe affatto dimostrato che l’annullamento del P.G.T. per illegittimità della V.A.S. (stando al primo motivo) o per contrasto col P.T.C.P. (stando al secondo motivo), si tradurrebbe in una diversa e maggiore dotazione edificatoria delle proprie aree.

L’eccezione merita accoglimento.

Come rammentato anche di recente dalla giurisprudenza amministrativa, l’interesse all’impugnazione da parte dei destinatari delle scelte urbanistiche, proprio per evitare di addivenire ad una legitimatio generalis, richiede che le "determinazioni lesive" fondanti siffatto interesse siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S. (così Consiglio di Stato, IV^, 12.01.2011 n. 133).

Ebbene, proprio tale consequenzialità risulterebbe carente nel caso in esame, e ciò, sia con riguardo alle censure rivolte avverso la V.A.S., che con riguardo a quelle volte a stigmatizzare presunti contrasti del P.G.T. col P.T.C.P.

A ben vedere, infatti, la difesa esponente lamenta la riduzione dell’indice edificatorio delle aree di rispettiva proprietà che – pur mantenendo la destinazione produttiva in atto – non potrebbero più conseguire, a causa della riduzione dell’indice di edificabilità da 0,6 a 0,3 mq/mq di slp ad opera del P.G.T. impugnato, ulteriori incrementi edificatori concedibili, invece, in forza del previgente P.R.G. Sennonché, stando alla tesi ricorrente, tale decremento di potenzialità edificatoria sarebbe evidentemente riconducibile alla scelta pianificatoria, avallata in sede di V.A.S., di realizzare la delocalizzazione delle attività produttive attraverso la trasformazione della aree agricole collocate all’esterno del tessuto urbano consolidato in aree a destinazione produttiva (o, comunque, edificabili).

Ebbene, ritiene il Collegio che proprio tale nesso, tra la riduzione dell’indice di edificabilità delle aree produttive dell’esponente e la trasformazione della destinazione urbanistica delle aree agricole, non sia affatto così evidente come adombra di credere il patrocinio ricorrente.

Non risulta, in altri termini, adeguatamente supportata la premessa da cui muove la tesi attorea, secondo cui il maggior consumo di suolo – da associare al cambio di destinazione, da agricole a produttive, di circa 500.000 mq di aree agricole – troverebbe come effetto immediato e diretto la diminuita potenzialità edificatoria dell’area a destinazione produttiva dell’istante, sicché una riedizione del potere pianificatorio su tale aspetto (ovvero, sul mutamento di destinazione delle aree agricole) potrebbe incidere in maniera diretta e determinante sulle specifiche scelte pianificatorie relative ai suoli della società.

È poi utile rammentare, al riguardo, il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui sono inammissibili le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, sul presupposto che le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità eccezionale di proporre impugnativa solo quando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente (cfr. Cons. Stato IV^, 24 dicembre 2007 n.6619; Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3755; sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4980).

Ebbene, nel caso in esame non sussiste affatto la prova di tale diretta incidenza della nuova destinazione urbanistica delle aree agricole sull’indice edificatorio dell’area a destinazione produttiva dell’istante.

Per cogliere al meglio tale aspetto, è sufficiente richiamare, anche qui, l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha sottolineato l’importanza dei limiti che si frappongono alla configurabilità dell’interesse c.d. strumentale all’impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che: "tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire" (cfr. Consiglio di Stato, IV^, 12.01.2011 n. 133; Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, nr. 4546).

In altri termini, sempre a mente del Supremo Consesso: "l’utilità rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell’attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale" (cfr. decisione n. 133/2011 cit.).

Né, sempre secondo la cit. decisione, tale utilità potrebbe essere ravvisata nella "reviviscenza" del previgente e più favorevole P.R.G., che si avrebbe per effetto dell’annullamento giurisdizionale del P.G.T., posto che tale utilità, "oltre a essere anch’essa non indicativa dell’esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile, quand’anche effettivamente sussistente sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l’effetto immediato dell’annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell’Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio" (cfr. dec. n. 133/2011 cit., nonché: Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2004, nr. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2001, nr. 2415).

Orbene, con specifico riguardo al caso che qui occupa, le censure specificamente rivolte alla destinazione impressa al suolo della ricorrente sono racchiuse nel terzo motivo di ricorso, con il quale si fa genericamente leva sul vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione del P.G.T., in quanto volto a disporre il dimezzamento degli indici edificatori dell’area di proprietà dell’istante.

Sennonché, tale motivo si rivela chiaramente infondato, atteso l’orientamento consolidato della giurisprudenza in ordine alla insindacabilità delle scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici, che denotano apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiati da errori di fatto o da abnormi illogicità.

È oltremodo pacifico, in tal senso, che anche la destinazione data alle singole aree non necessiti di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnicodiscrezionale seguiti nell’impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni. In sostanza, le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono soltanto quelle: a) del superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) della lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione e accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree; c) delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, nr. 7492; id., 4 maggio 2010, nr. 2545; id., 28 settembre 2009, nr. 5834; id., 21 giugno 2007, nr. 3400).

Nessuna di tali evenienze è prospettabile in relazione al caso che qui occupa, posto che la ricorrente, che pure ha partecipato all’iter formativo del P.G.T. con la rituale proposizione di osservazioni, non ha documentato l’esistenza dei suddetti macroscopici profili di erroneità o illogicità delle scelte urbanistiche operate dall’Amministrazione, né risulta versare in una delle situazioni nelle quali è identificabile un’aspettativa giuridicamente qualificata a una specifica destinazione urbanistica.

Privo di pregio si rivela, pertanto, il riferimento contenuto a pg. 20 del ricorso alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4326/2007, relativa ad un caso di "sradicamento di attività economica consolidata", posto che qui non si tratta affatto di un caso di "sradicamento", essendo mantenuta la destinazione produttiva in essere dell’area della società.

Riassumendo le considerazioni sin qui svolte, il ricorso introduttivo si appalesa inammissibile in relazione alle censure prospettate con i primi due motivi di ricorso, non essendo stata fornita la prova di uno specifico interesse della ricorrente in ordine ai profili denunciati nei predetti motivi, con riguardo al concreto pregiudizio dalla stessa subito a causa delle pretese violazioni procedimentali e, quindi, al vantaggio che la stessa avrebbe potuto conseguire dalla rinnovazione degli atti in questione, in rapporto ad aspetti dai quali essa stessa non ha provato di essere toccata.

Tale inammissibilità assorbe l’eccezione di improcedibilità, pure svolta dalla difesa comunale in relazione al primo motivo di ricorso, facendo leva sulle successive determinazioni adottate dall’autorità comunale in relazione alla nomina del soggetto incaricato per la V.A.S., oggetto d’impugnazione mediante i motivi aggiunti in epigrafe specificati.

Residua il terzo motivo di ricorso che, come poc’anzi evidenziato, risulta del tutto infondato.

Quanto ai motivi aggiunti depositati il 14.02.2011, va subito chiarito quanto già poc’anzi accennato, a proposito della riproposizione, con essi, delle stesse censure proposte col primo motivo del ricorso introduttivo, in relazione ad atti successivamente conosciuti dalla società sempre in tema di V.A.S.

Consegue da ciò che la statuizione di inammissibilità per difetto di interesse, già raggiunta in ordine al primo motivo del ricorso introduttivo (incentrato, appunto, sulle citate problematiche della V.A.S.) debba ineluttabilmente estendersi ai motivi aggiunti, vertenti sulla medesima questione.

Analoga sorte deve essere tributata alle richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, posto che, la definizione in rito del ricorso con specifico riguardo alle doglianze afferenti la V.A.S., preclude l’investitura della Corte di Lussemburgo su una questione inerente il merito delle medesime censure sulla cit. valutazione ambientale.

Per il resto, la questione prospettata in ordine alla effettività di tutela del diritto di proprietà nel diritto nazionale appare, prima ancora che non rilevante in relazione al caso che qui occupa, inammissibile per eccesso di genericità.

In conclusione, quindi, il ricorso introduttivo risulta in parte inammissibile e per il resto infondato, mentre i motivi aggiunti risultano totalmente inammissibili.

Sulle spese il Collegio, in considerazione della definizione in rito del giudizio e della complessità della normativa di riferimento, ritiene sussistano giusti motivi per disporne la compensazione fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così statuisce:

– dichiara in parte inammissibile e per il resto infondato il ricorso introduttivo;

– dichiara inammissibili i motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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