T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 13-07-2011, n. 1047 Servizi comunali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

ANFFAS Onlus di Bergamo è un’associazione che persegue fini di solidarietà sociale nel settore della tutela dei diritti civili delle persone svantaggiate, in situazione di disabilità intellettiva e relazionale. La persona fisica ricorrente è padre convivente (unitamente alla madre e a due sorelle) di S.A., soggetto diversamente abile – titolare di pensione di invalidità e di indennità di accompagnamento – che fruisce del servizio di assistenza domiciliare (SAD) e frequenta il Centro diurno per disabili (CDD).

Precisano i ricorrenti che LEDHA (Lega per i diritti delle persone con disabilità), con nota del 17/10/2006 (doc. 5), ha sollecitato le amministrazioni locali ad applicare correttamente la disciplina ISEE ed in particolare a rispettare il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito.

Riferiscono altresì che anche la famiglia ha sottoposto al Comune di Martinengo un’istanza di analogo contenuto, mentre l’Ente locale ha mantenuto un atteggiamento prudente in mancanza del previsto D.P.C.M. attuativo dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, e dunque non ha modificato il regolamento che prevedeva il vaglio del reddito riferito all’intero nucleo familiare.

Con nota del 10/3/2008 il servizio veniva sospeso per mancato pagamento della quota di compartecipazione dovuta. Il ricorrente Sig. Francolino trasmetteva all’amministrazione copia della sentenza della Sezione n. 350 del 2/4/2008, e chiedeva la revisione del regolamento comunale in conformità alle statuizioni ivi racchiuse.

Con l’impugnata deliberazione giuntale il Comune ridefiniva le modalità di compartecipazione economica ai servizi sociali, stabilendo per il SAD di valutare il reddito personale dell’utente salvo che la situazione economica della famiglia superasse una determinata soglia (si sarebbe nel caso applicato lo sconto del 50% sulla tariffa oraria); per gli altri servizi non residenziali a favore delle persone diversamente abili gli uffici avrebbero valutato l’ISEE familiare nonchè la presenza di redditi non rientranti nella dichiarazione unica. Una disciplina ad hoc era infine prevista per la frequenza delle strutture residenziali.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione i ricorrenti impugnano i provvedimenti in epigrafe, esponendo i seguenti profili di censura:

a) Violazione degli artt. 1, 3, 6, 8 e 16 della L. 328/2000, delle circolari regionali 29/7/2005 n. 34 e 25/10/2005 n. 48, eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto non è stata attivata la dovuta concertazione con le Associazioni del terzo settore né con le singole famiglie coinvolte;

b) Violazione degli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, degli artt. 3 e 12 della Convenzione internazionale sui diritti dei disabili, dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, recante il principio – immediatamente precettivo – che impone di valorizzare unicamente la situazione economica dell’assistito;

c) Violazione degli artt. 1, 2 e 3 del D. Lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.P.C.M. 221/99, eccesso di potere per contraddittorietà, poiché in relazione al SAD il regolamento non tiene conto del parametro della scala di equivalenza;

d) Violazione degli artt. 3, 38, 53 e 97 della Costituzione e dell’art. 2 del D. Lgs. 109/98, dell’art. 3 del D.P.C.M. 221/99, dell’art. 4 della L. 328/2000, nonché eccesso di potere per sviamento, in quanto per i servizi disabilità il Comune prevede di tener conto di tutti i redditi, comprese pensione di invalidità (250 Euro mensili circa) e indennità di accompagnamento (450 Euro mensili circa);

e) Violazione dell’art. 117 della Costituzione, degli artt. 433 e 438 del c.c., degli artt. 1, 2 e 3 del D. Lgs. 109/98, dell’art. 1bis del D.P.C.M. 221/99, eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento, in quanto per i servizi residenziali lo strumento dell’ISEE viene utilizzato dall’amministrazione per esplorare la posizione reddituale e patrimoniale dei parenti tenuti agli alimenti, moltiplicando indebitamente i nuclei familiari;

f) Violazione del principio di proporzionalità e difetto di istruttoria, poiché l’amministrazione avanza pretese anche nei confronti dei familiari in assenza di una valutazione di sopportabilità in concreto, con rette che possono incidere su risorse essenziali dei parenti.

In conclusione i ricorrenti sollevano la questione di legittimità costituzionale:

– degli artt. 2 e 3 del D. Lgs. 109/98, laddove interpretati nel senso di consentire agli enti erogatori di tener conto di redditi esenti ai fini della compartecipazione al costo dei servizi socioassistenziali, per contrasto con gli artt. 3, 38, 53 e 97 della Costituzione;

– dell’art. 8 della L.r. 3/2008 laddove interpretato nel senso di consentire alle Regioni di incidere sulla disciplina dell’obbligo alimentare, per contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. l) ed m) della Costituzione.

– dell’art. 8 della L.r. 3/2008 – laddove interpretato nel senso di consentire agli Enti erogatori di derogare all’applicazione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo utente – per contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 32, 38, 53 e 76 della Costituzione anche in relazione agli artt. 3 e 12 della convenzione di New York sui diritti dei disabili;

– degli artt. 1, 2, 3 del D. Lgs. 109/98 laddove interpretati nel senso di consentire agli Enti erogatori di determinare fasce di contribuzione non ancorate a situazioni di effettiva capacità contributiva.

Non si è costituita in giudizio l’amministrazione.

Con ordinanza n. 222 depositata il 20/12/2008 il Collegio ha disposto il compimento di attività istruttoria, chiedendo al Comune di Martinengo una relazione circostanziata sui profili di censura sviluppati nel ricorso.

Nella nota pervenuta il 23/12/2008 il Segretario generale riferisce che l’amministrazione si è in realtà conformata alla sentenza n. 350/2008, poiché il sistema contempla la valutazione in via prioritaria del reddito dell’assistito, con estensione a quello familiare soltanto nel caso di superamento di determinate soglie da parte di quest’ultimo (e concorso di spesa ridotto del 50%). Secondo il Comune una scala di contribuzione ancorata al reddito del solo assistito avrebbe introdotto criteri iniqui ed arbitrari ed avrebbe violato il principio per cui un soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare. Puntualizza che per i servizi disabilità (ex lettera C) le statuizioni regolamentari sono rimaste lettera morta perché la materia verrà regolata dall’Ufficio di Piano, mentre non era necessaria la concertazione per i servizi di esclusiva competenza comunale.

Con ordinanza n. 34 depositata il 9/1/2009 la Sezione ha motivatamente accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

Con motivi aggiunti depositati il 17/6/2010 i ricorrenti impugnano la nota del Responsabile del settore socioculturale in data 31/3/2010, l’Accordo tra ambiti territoriali della provincia di Bergamo e gli Enti gestori dei CDD, approvato dal Consiglio di rappresentanza dei Sindaci il 21/1/2010, nonché la deliberazione dell’Assemblea dei Sindaci del distretto del 25/2/2010, di approvazione del protocollo provinciale CDD.

Riferiscono in punto di fatto che la Coop. Itaca, gestore del CDD frequentato da S. A., ha predisposto un contratto individuale che pone 196,05 Euro mensili a carico della famiglia (doc. 4), accanto alla quota del Fondo sanitario di 50,20 Euro al giorno, alla somma di 19,12 Euro al giorno a carico dell’Ambito e ai 478,76 Euro al mese a carico del Comune.

La famiglia del ricorrente non sottoscriveva il contratto e tale decisione provocava la sospensione del servizio di trasporto dall’11/4/2010. A fronte dell’insistenza dei ricorrenti la Coop. Itaca opponeva un diniego e il Comune avvertiva di non essere in grado di organizzarlo e garantirlo (nota 31/3/2010 impugnata, doc. 25).

I motivi aggiunti dedotti sono i seguenti:

g) Violazione degli artt. 1 e 2 tab. 1 e 2 del D. Lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.P.C.M. 221/99, degli artt. 25 e 8 comma 3 della L. 328/2000, dell’art. 6 del D.P.C.M. 14/2/2001 e dell’art. 8 della L.r. 3/2008, eccesso di potere per sviamento in quanto la verifica delle condizioni economiche del soggetto che richiede la prestazione sociale deve essere effettuata con lo strumento ISEE, ed è illegittima la scelta di fissare una compartecipazione al servizio uguale per tutti;

h) Violazione delle disposizioni già enunciate al punto g), dato che gli oneri non sono addossati al richiedente ma indebitamente alla sua famiglia, in contrasto con la disciplina ISEE che non consente di riversare la retta sui parenti tenuti agli alimenti;

i) Violazione dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, in quanto occorre valutare la situazione economica del solo assistito e nella specie viene addossata alle famiglie la somma indistinta di 2.352,60 Euro annui;

j) Violazione della convenzione di New York e difetto di proporzionalità e istruttoria, dato che la retta unica realizza una discriminazione poiché persino con un reddito pari a 0 la famiglia è tenuta a pagare oltre 2.000 Euro annui;

k) Violazione degli artt. 3, 38, 53, 97 della Costituzione, degli artt. 3, 9 e 20 della Convenzione di New York, dell’art. 28 della L. 118/71, degli artt. 1, 7, 8, 12, 13, 26 della L. 104/92, eccesso di potere per ingiustizia manifesta poiché – fermo che i Comuni sono tenuti ad assicurare, nell’ambito delle disponibilità di bilancio, il servizio di trasporto per i soggetti handicappati – questo deve essere erogato gratuitamente;

l) Omessa attivazione della concertazione con le Associazioni del terzo settore e con le singole famiglie coinvolte.

I ricorrenti chiedono il risarcimento del danno esistenziale, collegato al diniego o comunque alla limitazione del servizio, con il padre che è stato costretto a farsene carico chiedendo permessi giornalieri sul lavoro. Ripropongono inoltre le questioni di costituzionalità sollevate nel gravame introduttivo.

Con ordinanza n. 439 depositata il 16/7/2010 questo Tribunale ha motivatamente respinto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 9/6/2011 il gravame principale ed i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione.

Motivi della decisione

I ricorrenti censurano le decisioni del Comune di Martinengo con le quali è stata determinata la compartecipazione dell’utente e della sua famiglia al costo per l’erogazione del SAD e per la frequenza del CDD, comprese quelle assunte in modo conforme alle statuizioni del tavolo di zona.

1. Con la doglianza di cui alla lettera b) dell’esposizione in fatto i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, degli artt. 3 e 12 della Convenzione internazionale sui diritti dei disabili, dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, recante il principio – immediatamente precettivo – che impone di valorizzare unicamente la situazione economica dell’assistito; sostengono in aggiunta:

o che questo Tribunale ha chiarito che la norma pone un principio preciso e vincolante per le autorità pubbliche, che non devono attendere il decreto attuativo di cui all’art. 3 comma 2ter;

o che la Convenzione di New York riconosce a sua volta i principi di dignità intrinseca, autonomia individuale ed indipendenza della persona disabile;

o che è iniquo colpire la ricchezza dell’intero nucleo familiare, laddove la convivenza anagrafica è imposta dalle circostanze e si deve escludere che con i propri redditi – normalmente insufficienti a garantire anche le normali necessità – la persona diversamente abile contribuisca ad incrementare le sostanze dei congiunti conviventi, mentre recenti studi comprovano al contrario che la sua presenza in famiglia costituisce un elemento di impoverimento;

o che l’assistenza della famiglia è importante e permette di evitare i costosi servizi residenziali;

o che per il SAD la deliberazione impugnata dichiara di tener conto del reddito del solo assistito mentre di seguito le fasce di contribuzione fanno riferimento al reddito familiare; per il CDD si fa riferimento unicamente all’ISEE familiare.

L’articolata censura è priva di pregio.

1.1 Va premesso che, per quanto riguarda i servizi disabilità (lett. C) non residenziali (comprendenti il CDD), l’amministrazione ha dichiarato che le relative disposizioni non hanno trovato applicazione perché la materia è divenuta di competenza del tavolo di zona. Detta asserzione non è stata confutata dai ricorrenti e dunque si può focalizzare l’indagine sul SAD.

1.2 La Sezione ha più volte ribadito (cfr. da ultimo sentenza 10/11/2010 n. 4576, e in precedenza – con diffusa motivazione – 1/7/2010 n. 2422 e ancor prima 14/1/2010 n. 18; 13/7/2009 n. 1470 e 2/4/2008 n. 350) che la disposizione che impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito non va intesa in senso assoluto ed incondizionato ma racchiude un indirizzo – ancorché chiaro e vincolante – rivolto alle amministrazioni locali, chiamate a ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei servizi e delle strutture frequentate: in assenza del D.P.C.M. pare evidente che la proposizione normativa – seppur immediatamente precettiva – deve essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio.

Di recente il Consiglio di Stato ha affrontato la materia controversa.

1.3 In una prima pronuncia (sez. V – 26/1/2011 n. 551 resa in appello contro la sopra citata sentenza della Sezione n. 1470/2009) ha sinteticamente statuito sul punto che "… è fuori discussione che occorre tenere presente la situazione reddituale complessiva del nucleo familiare, e non solo quella del soggetto svantaggiato, essendo evidente il concorso del reddito complessivo del nucleo in parola per la sussistenza del soggetto in parola, mentre la compartecipazione del Comune (per l’assistenza al concorso del reddito) e della Regione (per le necessità sanitarie) è vicenda che trova conforto nella ripartizione degli interventi e non può pensarsi che nella specie si verta esclusivamente in ambiti di assistenza sanitaria, la quale ha solo riferimento a questioni che attengono alla salute del soggetto e non anche e non soltanto alle sue condizioni economiche".

Più diffusa (e di segno opposto) è la sentenza della sez. V – 16/3/2011 n. 1607. Essa da un lato riafferma l’immediata applicabilità della norma pur in assenza del D.P.C.M. di attuazione e tuttavia aggiunge che il citato art. 3 comma 2ter ha introdotto un principio, immediatamente applicabile, costituito dall’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali. In quest’ottica:

I) l’eventuale decreto, pur potendo introdurre innovative misure per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, non potrebbe stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione economica del solo assistito;

II) detto principio costituisce uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, attendendo proprio ad una facilitazione all’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza;

III) esso si fonda sulla Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, pienamente operativa nel nostro ordinamento, che valorizza la dignità intrinseca, l’autonomia individuale e l’indipendenza della persona disabile: in particolare l’art. 3 impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli Enti pubblici.

1.4 Il Collegio, preso atto che il giudice d’appello non ha ancora assunto un indirizzo uniforme sulla delicata questione, ritiene di confermare il proprio precedente orientamento, ed in particolare di ribadire tre considerazioni sviluppate nella sentenza n. 2422/2010:

– il decreto il quale fissa i livelli essenziali delle prestazioni non detta – per il recupero del costo del servizio socioassistenziale a favore dei diversamente abili – regole diverse rispetto agli altri servizi. Infatti la tabella 1 C del D.P.C.M. 29/11/2001, che individua le attività di assistenza territoriale semiresidenziale e residenziale a favore di persone anziane e persone diversamente abili, stabilisce una percentuale variabile di costi (non ricompresi tra i servizi propriamente sanitari), ed indica espressamente che la stessa è posta "a carico dell’utente o del Comune" come per tutte le altre prestazioni, in tal modo rimettendo le determinazioni successive agli Enti territoriali competenti;

– la ragionevolezza dell’opzione interpretativa è confermata dalla mutevolezza delle situazioni collegate all’entità del reddito delle famiglie di provenienza degli assistiti. L’invocata uniformità delle regole di accesso, infatti, potrebbe in realtà urtare contro il principio di uguaglianza sostanziale, il quale esige un più robusto concorso alla spesa da parte dei titolari di redditi molto elevati. In definitiva, l’attribuzione a Regioni ed Enti locali di margini di autonomia in proposito non si sostanzia nell’introduzione di criteri disomogenei per ottenere le prestazioni, ma nella possibilità di realizzare un’autentica parità di trattamento adeguando l’onere di compartecipazione alla reale capacità contributiva dei nuclei di appartenenza degli utenti.

– la soluzione preferita dal Collegio risponde all’esigenza, sollevata in maniera sempre più pressante dalle amministrazioni locali, di reperire le risorse sufficienti ad erogare ai cittadini i servizi essenziali in una fase storica connotata da ristrettezze economiche e dalla progressiva e costante riduzione dei trasferimenti statali. La fondamentale necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità (cfr. L. 3/3/2009 n. 18 di ratifica della Convenzione di New York del 13/12/2006 sui "diritti delle persone con disabilità") è peraltro adeguatamente salvaguardata dall’obbligo degli Enti locali di determinare criteri di recupero che tengano conto della realtà di una famiglia che ha cresciuto un soggetto diversamente abile.

1.5 In buona sostanza si ritiene che il riconoscimento dei principi di autonomia, dignità ed piena uguaglianza enunciati dalla Convenzione di New York sia compatibile con misure di riequilibrio delle situazioni socioeconomiche di spessore, che a loro volta possano permettere l’accesso di tutte le fasce deboli ai servizi primari erogati dagli Enti locali. La valorizzazione del disabile come soggetto autenticamente autonomo viene assicurata da una serie fitta di regole (ad es. l’intangibilità di determinati redditi, l’impossibilità di coinvolgere i parenti tenuti agli alimenti) talune delle quali saranno prese in esame nel prosieguo del ricorso.

1.6 In concreto l’amministrazione (con riguardo al S.A.D.) risulta aver rispettato le indicazioni racchiuse nella precedente pronuncia di questo T.A.R. n. 350/2008: l’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98 afferma l’obbligo di sviluppare l’indagine sul reddito familiare valorizzando la posizione individuale del soggetto colpito da gravi limitazioni psicofisiche e dunque assumendo in via prioritaria i suoi redditi come autonomi e separati ai fini del calcolo della contribuzione al costo della prestazione resa. Ciò tuttavia non avviene senza limite alcuno, potendosi allargare la valutazione al nucleo di appartenenza ove la capacità contributiva complessiva superi una determinata soglia, determinata secondo canoni di correttezza, logicità e proporzionalità, ossia alla luce delle concrete condizioni di vita di una famiglia che accoglie al suo interno una persona svantaggiata.

2. Infondata è anche la censura di cui alla lett. c) dell’esposizione in fatto, in quanto non affiora alcun elemento che corrobori l’asserzione circa l’applicazione dell’ISE in luogo dell’ISEE, ed anzi gli stessi ricorrenti mettono in luce il fatto che – con l’applicazione del parametro della scala di equivalenza – la soglia di esenzione resta ancorata ad un unico valore soglia (6.100 Euro), in disparte la questione della sua congruità.

3. Con ulteriore doglianza i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 3, 38, 53 e 97 della Costituzione e dell’art. 2 del D. Lgs. 109/98, dell’art. 3 del D.P.C.M. 221/99, dell’art. 4 della L. 328/2000, nonché l’eccesso di potere per sviamento, in quanto per i servizi disabilità è previsto che si tenga conto di tutti i redditi, comprese pensione di invalidità (250 Euro mensili circa) e indennità di accompagnamento (450 Euro mensili circa): sostengono che i redditi esenti sono esclusi, avendo natura assistenziale e concorrendo nella realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Detta doglianza – la quale seppur sollevata per i servizi disabilità deve comunque essere esaminata per i possibili riflessi sugli altri servizi come il SAD – è fondata.

3.1 Come affermato da questo T.A.R. nella pronuncia n. 350/2008, il D. Lgs. 109/98 – esplicitamente richiamato dall’art. 25 della L. 328/2000 ai fini della verifica della condizione economica dei soggetti che chiedono l’erogazione di servizi sociali – dispone all’art. 2 comma 4 che "L’indicatore della situazione economica è definito dalla somma dei redditi, come indicato nella parte prima della tabella 1", al quale vanno aggiunti i valori del patrimonio immobiliare e mobiliare. Nella lettera a) della sua prima parte la tabella 1 valorizza da un lato "il reddito complessivo ai fini IRPEF quale risulta dall’ultima dichiarazione presentata o, in mancanza di obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, dall’ultimo certificato sostitutivo rilasciato dai datori di lavoro o da enti previdenziali…", e dall’altro (lettera b) il reddito delle attività finanziarie.

Poiché ai sensi dell’art. 34 comma 3 del D.P.R. 601/73 i sussidi corrisposti dallo Stato o da altri Enti pubblici a titolo assistenziale sono esenti da IRPEF, è evidente che tali provvidenze costituiscono entrate non computabili nella determinazione dell’I.S.E.E.

Sotto altro punto di vista, è poi ragionevole ritenere che gli Enti locali possano enucleare nuovi indici idonei a rivelare un "surplus" di ricchezza accumulata e disponibile, della quale tenere conto ai fini della determinazione della capacità contributiva: esulano certamente da tale ambito le entrate di cui si discute – di natura assistenziale ed indennitaria – le quali appaiono insuscettibili di incrementare significativamente il benessere economico dei beneficiari, per il loro valore complessivamente modesto in rapporto agli sforzi indispensabili per sopperire alle condizioni psicofisiche precarie del proprio congiunto, destinatario di cure e di interventi che contemplano spese talvolta superiori ai redditi medesimi (cfr. T.A.R. Umbria – 6/2/2002 n. 271).

3.2 Su tale conclusione non sembra incidere quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza della sez. V – 16/3/2011 n. 1607. In quest’ultima infatti si sostiene testualmente che l’indennità di accompagnamento non costituisce un indice di capacità economica del percettore, ma in quella fattispecie è stata valorizzata al solo fine di escludere il cumulo tra due benefici aventi un’analoga finalità assistenziale.

4. I ricorrenti si dolgono poi della violazione dell’art. 117 della Costituzione, degli artt. 433 e 438 del c.c., degli artt. 1, 2 e 3 del D. Lgs. 109/98, dell’art. 1bis del D.P.C.M. 221/99, dell’eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento, in quanto per i servizi residenziali lo strumento ISEE viene utilizzato dall’amministrazione per esaminare la posizione reddituale e patrimoniale dei parenti tenuti agli alimenti, moltiplicando indebitamente i nuclei familiari: sarebbe violato il principio di unicità del nucleo familiare ex artt. 2 comma 6 del D. Lgs. 109/98, in una materia che è di competenza esclusiva del legislatore statale.

4.1 Premesso che – ad esclusione dei soggetti contemplati all’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98 (persone con handicap permanente grave e soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali) – la pronuncia del Consiglio di Stato n. 1607/2011 risulta aver rivalutato la questione pervenendo a conclusioni del tutto nuove rispetto a quelle prospettate nel gravame (cfr. punto 3 della pronuncia che ammette il concorso dei soggetti civilmente obbligati), i ricorrenti sono privi di interesse alla definizione della censura, dato che la persona diversamente abile interessata si avvale dei servizi SAD e CDD, di natura non residenziale.

5. Con ulteriore doglianza i ricorrenti lamentano la violazione del principio di proporzionalità ed il difetto di istruttoria, poiché l’amministrazione avanza pretese anche nei confronti dei familiari in assenza di una valutazione di sopportabilità in concreto, con rette che possono incidere su risorse essenziali: affermano che l’amministrazione pretende di incamerare tutti i redditi (anche esenti), e che soltanto in assenza di parenti il soggetto debole può trattenere 50 Euro mensili e la 13a mensilità, in violazione del principio di indipendenza.

5.1 Il Collegio deve ugualmente dichiarare la carenza di interesse all’esame della doglianza, diretta contro una clausola del regolamento che disciplina la frequenza dei servizi residenziali. Se si volesse comunque indagare la prospettazione circa l’assenza di una valutazione di sopportabilità in concreto per gli altri servizi, la stessa risulterebbe vaga e generica per la mancanza di elementi o dati concreti a sostegno dell’asserzione.

6. Infondata è anche la censura afferente alla violazione degli artt. 1, 3, 6, 8 e 16 della L. 328/2000 e delle circolari regionali 29/7/2005 n. 34 e 25/10/2005 n. 48, nonché all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, per mancata attivazione della concertazione con le Associazioni del terzo settore e con le singole famiglie coinvolte.

6.1 Rimeditando quanto sostenuto in sede cautelare, il Collegio ritiene di aderire al proprio orientamento espresso nella pronuncia 14/1/2010 n. 18. E" infatti vero che il Tribunale ha osservato che il coinvolgimento del cd. terzo settore nella forma della "concertazione" – durante la fase di programmazione e di elaborazione dei principi guida – costituisce un preciso obbligo giuridico. Si tratta tuttavia di un dovere che matura in una fase differente, in sede di progettazione e realizzazione del sistema dei servizi sociali a rete (cfr. art. 8 comma 2 lett. a della L. 328/2000) in esito al quale viene adottato il Piano di zona in sede sovracomunale. L’obbligo di interpellare le associazioni di settore è relativo a quella fase preliminare che investe la progettazione zonale e non le scelte di ogni singolo Comune.

7. Alla luce dei rilievi ampiamente sviluppati nei punti precedenti, le questioni di legittimità costituzionale sollevate devono ritenersi manifestamente infondate (salvo quelle riguardanti l’obbligo alimentare, per le quali vi è carenza di interesse).

In conclusione il gravame introduttivo è parzialmente fondato e deve essere accolto, salva la carenza di interesse con riguardo alle censure di cui alle lett. e) ed f) dell’esposizione in fatto.

8. Passando all’esame dei motivi aggiunti, i ricorrenti lamentano anzitutto la violazione degli artt. 1 e 2 tab. 1 e 2 del D. Lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.P.C.M. 221/99, degli artt. 25 e 8 comma 3 della L. 328/2000, dell’art. 6 del D.P.C.M. 14/2/2001 e dell’art. 8 della L.r. 3/2008, l’eccesso di potere per sviamento, in quanto la verifica delle condizioni economiche del soggetto che richiede la prestazione sociale deve essere effettuata con lo strumento ISEE, ed è illegittima la scelta di fissare una compartecipazione al servizio uguale per tutti.

La doglianza è fondata.

8.1 L’art. 1 del D. Lgs. 109/98 – rubricato "Prestazioni sociali agevolate" statuisce al comma 1 che "Fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla Costituzione e dalle altre disposizioni vigenti, il presente decreto individua, in via sperimentale, criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche". L’art. 2 comma 1, nel disciplinare i "Criteri per la determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente" dispone a sua volta che "La valutazione della situazione economica del richiedente è determinata con riferimento alle informazioni relative al nucleo familiare di appartenenza…", come definito ai commi successivi.

In altra controversia la Sezione ha statuito (sentenza 13/7/2009 n. 1470) che "Appare al Collegio evidente che la valutazione della condizione economica si impone a tutti i soggetti che richiedono – alternativamente – prestazioni o servizi e dunque non affiorano ragioni logiche e sistematiche per escludere da tale ampia categoria coloro che usufruiscono di contributi economici: al contrario il sistema introdotto dal legislatore persegue lo scopo di introdurre una disciplina uniforme per il vaglio del reddito e del patrimonio di tutti i soggetti che beneficiano di interventi socioassistenziali in qualunque forma corrisposti, in denaro o attraverso la diretta prestazione di un servizio".

La partecipazione al costo dei servizi in maniera adeguata e proporzionata al reddito risponde al principio costituzionalmente codificato (art. 53) che collega il concorso alle spese pubbliche alla capacità contributiva di ciascuno, e si fonda sui canoni di equità e giustizia ai quali lo Stato e gli Enti territoriali sono tenuti ad ispirarsi.

8.2 L’accordo d’Ambito allegato dai ricorrenti (doc. 29) dà conto di un importo a titolo di compartecipazione (per il triennio 20102012) pari a 196,05 Euro mensili a carico della famiglia. Il criterio introdotto dal tavolo zonale urta contro i menzionati principi che ancorano il concorso agli oneri di funzionamento delle strutture (come il CDD) alla situazione reddituale e patrimoniale dei richiedenti e delle loro famiglie (sentenza sez. II – 10/11/2010 n. 4576). Il Collegio deve pertanto rivedere quanto sommariamente affermato in sede cautelare, poiché in verità il contratto proposto dal gestore (doc. 20) introduce un’alternativa tra il pagamento di 196,05 Euro mensili (con garanzia del trasporto) e gratuità del servizio, mentre l’accordo sovracomunale dà conto di un costo standard giornaliero di 104 Euro con il trasporto e di 92 Euro senza trasporto. Dunque il costo medio per il trasporto non coincide in realtà con la cifra richiesta alle famiglie che se ne avvalgono. In questo quadro poco chiaro emerge in ogni caso che la pretesa di 196,05 Euro mensili si applica in modo indifferenziato, e pertanto la scelta si rivela inaccettabile in quanto iniqua.

9. E" infondata la censura esposta al punto successivo (lett. h), poiché è vero che la disciplina speciale a favore dei soggetti portatori di handicap gravi non pare ammettere la possibilità di riversare la retta sui parenti tenuti agli alimenti (cfr. sentenze Sezione n. 1457/2009 e 18/2010), e tuttavia il diretto riferimento alla "famiglia" sembra rinviare al concetto di famiglia anagrafica. Per il resto tuttavia, in mancanza di dettagli esaustivi, è plausibile che le scelte siano state demandate alla potestà normativa regolamentare dei singoli Comuni, rispetto alla quale valgono le considerazioni di cui ai precedenti punti 1.2/1.6.

10. I ricorrenti deducono la violazione dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, in quanto occorre valutare la situazione economica del solo assistito, mentre nella fattispecie viene addossata alle famiglie la somma indistinta di 2.352,60 Euro annui; lamentano inoltre la violazione della convenzione di New York e il difetto di proporzionalità e istruttoria: la retta unica realizza una discriminazione, persino con reddito 0 si devono pagare oltre 2.000 Euro annui.

La doglianza è parzialmente fondata.

10.1 Premesso quanto già affermato sul possibile coinvolgimento del reddito familiare (punti 1.2/1.6), il Collegio ribadisce che la previsione di una compartecipazione alla spesa fissa ed uguale per tutti – da applicare anche a redditi molto bassi – risulta ictu oculi del tutto irragionevole, colpendo l’unità familiare del soggetto diversamente abile a prescindere dalle risorse disponibili. La scelta è palesemente illogica, poiché trascura in toto l’obiettivo ricavabile dalla normativa vigente, che è quello di favorire misure idonee ad alleviare gli sforzi economici della famiglia che ospita o che comunque è legata al disabile. In presenza di categorie di reddito medie o mediobasse l’impennata dell’attuale costo della vita associata alle condizioni di un portatore di handicap – che impongono oneri non indifferenti, anche di tipo economico, rispetto agli altri nuclei familiari – dovrebbero indurre le amministrazioni ad una particolare prudenza nella previsione dei recuperi a carico degli utenti (cfr. sentenza T.A.R. Brescia 350/2008). Sotto questo profilo non va dimenticato che il C.D.D. non è un servizio residenziale, ma è attivo nei giorni lavorativi fino a metà pomeriggio e per 230 giorni l’anno, per cui gli utenti restano per il tempo rimanente nelle loro famiglie, che devono provvedere alla cura e all’assistenza necessaria (Sentenza Sezione 10/11/2010 n. 4576).

11. Con ulteriore censura i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3, 38, 53, 97 della Costituzione, degli artt. 3, 9 e 20 della Convenzione di New York, dell’art. 28 della L. 118/71, degli artt. 1, 7, 8, 12, 13, 26 della L. 104/92 e l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta poiché – fermo che i Comuni sono tenuti ad assicurare, nell’ambito delle disponibilità di bilancio, il servizio di trasporto per i soggetti handicappati – questo deve essere erogato gratuitamente.

11.1 L’asserzione va condivisa, in virtù di quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. V – 16/3/2011 n. 1607. Ha affermato il giudice d’appello che "In passato, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 118/1971, il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola era positivamente assicurato solo ai frequentatori della scuola dell’obbligo, laddove il terzo comma dello stesso art. 28 si limitava a prevedere mere e programmatiche "facilitazioni" per la frequenza delle scuole superiori e dell’Università. La Corte costituzionale, con sentenza 3 giugno 1987 n. 215, dichiarò l’illegittimità di tale ultima previsione, proprio nella parte in cui si limitava a prevedere che la frequenza delle scuole superiori e dell’università fosse semplicemente "facilitata", piuttosto che, alla luce dei valori costituzionali coinvolti, "assicurata", potendosene, per tal via, dedurre, in chiave ricostruttiva, l’estensione anche alla scuola superiore dei medesimi e strumentali ausili previsti per la scuola dell’obbligo. Successivamente l’art. 43 della legge n. 104/92, pur abrogando il secondo e terzo comma dell’art. 28 della l. 118/971, non ha abrogato il (solo) primo comma del citato art. 28, che prevedeva (e prevede) il trasporto gratuito degli alunni disabili limitatamente alla scuola dell’obbligo, per cui si potrebbe sostenere che il trasporto scolastico gratuito non potrebbe essere incluso nella generale previsione di cui all’art. 12 L. 104/1992, atteso che, se tale fosse stata l’intenzione del legislatore, questi avrebbe, per l’appunto, abrogato anche il primo comma dell’art. 28".

Il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto "… che la richiamata pronunzia della Corte costituzionale (relativa alla previsione di cui al 3° comma dell’art. 28 L n. 118/71) non può che intendersi in modo estensivo al fine di valorizzare al massimo, sotto ognuno dei profili considerati e, per tal via, anche della strumentale garanzia del trasporto, la doverosità, imposta dai valori costituzionali di riferimento, della tutela dei soggetti disabili ai fini della garanzia dell’accesso all’istruzione, senza la (censurata) distinzione tra scuola dell’obbligo e scuola superiore (Cons. Stato, V, n. 2361/2008, che ha anche affermato che l’art. 139 del D. Lgs. n. 112 /1998 attribuisce le competenze in tema di "servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio" alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, ed ai Comuni, in relazione agli altri gradi di scuola).

In tale prospettiva (ed alla luce, allora, di una lettura costituzionalmente orientata del sistema) non pare che il "silenzio" dell’art. 12 l. n. 104/92 possa essere riguardato quale espressivo di una consapevole e deliberata scelta limitativa: potendo semplicemente l’abrogazione del 3° comma dell’art. 28 L. n. 118/71 interpretarsi in termini di (riconosciuta) generalizzazione delle tutele di cui al (conservato) 1° comma, senza le precedenti illegittime discriminazioni. Del resto, la Corte costituzionale ha anche sottolineato che l’esigenza costituzionale di tutela dei soggetti deboli si concretizza non solo con pratiche di cura e di riabilitazione ma anche con il pieno ed effettivo inserimento dei medesimi anzitutto nella famiglia e, quindi, nel mondo scolastico ed in quello del lavoro, precisando che l’esigenza di socializzazione può essere attuata solo rendendo doverose le misure di integrazione e di sostegno a loro favore. L’applicazione di tali principi ha così consentito il riconoscimento in capo ai portatori di handicap di diritti e di provvidenze economiche, la cui mancata previsione normativa si è reputata non conforme a Costituzione, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione (sentenze n. 233/2005, n. 467 e n. 329 del 2002, n. 167 del 1999, n. 215/1987)".

Deve, quindi, dichiararsi l’illegittimità degli atti impugnati nella parte in cui non hanno esteso la gratuità del servizio di trasporto al Centro Diurno Disabili, che deve essere garantito dall’Ente locale per le ragioni appena specificate.

12. Infondata è infine la censura afferente all’omessa attivazione della concertazione con le Associazioni del terzo settore e con le singole famiglie coinvolte. L’accordo relativo agli Ambiti della Provincia di Bergamo dà conto nelle premesse di un gruppo di lavoro costituito tra gli altri dalle "Associazioni di familiari", senza che tale dichiarazione formale sia stata specificamente contestata. La mancata sottoscrizione dell’intesa da parte di un singolo gruppo organizzato (nella specie il Coordinamento per l’integrazione) non denota il suo mancato coinvolgimento ma il dissenso sulle scelte concrete, che non esclude che una concertazione abbia effettivamente avuto luogo.

13. Per le questioni di costituzionalità il Collegio richiama quanto già affermato relativamente al gravame introduttivo (punto 7).

14. Resta da valutare l’aspetto risarcitorio.

I ricorrenti chiedono il risarcimento del danno esistenziale, collegato al diniego o comunque alla limitazione del servizio, con il padre che è stato costretto a farsene carico chiedendo permessi giornalieri sul lavoro.

14.1 Quanto al danno patrimoniale difetta la prova del nocumento economico subito (eventualmente) dal padre, chiamato ad assentarsi dal lavoro. I ricorrenti dovevano fornire maggiori elementi sulla non retribuibilità dei permessi e sull’eventuale incidenza sul trattamento economico.

14.2 Sotto altro versante, secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa il danno esistenziale – distinto dal danno biologico e consistente nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce – è risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., a condizione che il diritto leso abbia rilievo costituzionale. Inoltre non necessiterebbe di specifica prova, risultando provato in re ipsa dalla prova del fatto o comportamento antigiuridico, con conseguente liquidazione in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 del c.c. (T.A.R. Piemonte – sez. I – 15/6/2007 n. 2623; T.A.R. Puglia Bari, sez. II – 25/6/2009 n. 1616).

La lesione dei diritti fondamentali della persona, che si collocano al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, comporterebbe l’obbligo di risarcimento per il fatto in sé della lesione e indipendentemente da risvolti di patrimonialità.

La più recente giurisprudenza ha in generale operato una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del c.c. superando – in materia di danni non patrimoniali – il limite della riserva di legge, correlata all’art. 185 del c.p., per cui deve ritenersi comunque risarcibile, anche in via equitativa, l’ingiusta lesione di interessi inerenti alla persona, con riferimento ai diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione (Consiglio di Stato, sez. VI – 8/9/2009 n. 5266).

14.3 La Corte di Cassazione (sez. unite civili – 11/11/2008 n. 26972; si veda di recente sez. unite civili 16/2/2009 n. 3677) ha statuito che l’art. 2059 c.c. è norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dunque dall’individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela.

Oltre alle ipotesi tipiche previste dalla legge ( art. 185 c.p., L. 117/98, art. 44 D. Lgs. 286/98, etc.), in virtù del principio di protezione minima spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 del c.c. il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute ( art. 32 Cost.) il pregiudizio che colpisce i diritti fondamentali della famiglia ( artt. 2, 29 e 30 Cost.), il danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome, alla riservatezza, rispetto ai quali la persona viene incisa nella sua dignità preservata dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.

14.4 Nel caso in esame ricorrono tutti i presupposti per disporre il risarcimento del danno esistenziale a favore del soggetto diversamente abile, che ha subito l’interruzione del servizio con violazione del diritto alla dignità ed autonomia in presenza di una delicata condizione personale. La nota comunale 30/3/2010 (doc. 25 ricorrente) informa che l’amministrazione non è in grado di organizzare il servizio: ebbene, al di là della questione economica che risultava controversa, il trasporto della persona non poteva essere disattivato, per non recare pregiudizi nei suoi confronti e per evitare i riflessi negativi sul diritto a frequentare il CDD.

In questo contesto – posto che la gravità dell’offesa costituisce un requisito ulteriore per l’ammissione al risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti inviolabili – pare al Collegio che il diritto sia stato inciso oltre la cd. soglia minima (livello di tollerabilità che la convivenza impone), cagionando un pregiudizio serio, tenuto conto del fatto che:

o la frequenza del CDD integra un diritto garantito dalla Costituzione e dalla Convenzione di New York;

o non è stato garantito alcun preavviso;

o non può essere invocata la scelta dell’opzione B (che non contemplava il trasporto) sul foglio prestampato, posto che il ricorrente ha comunque formulato una precisa istanza al Comune per ottenere l’erogazione di quello specifico servizio.

L’elemento colposo si rinviene nell’obiettiva trascuratezza manifestata dall’amministrazione di fronte alle rimostranze del ricorrente, poiché è stato opposto un laconico rifiuto senza ricercare soluzioni alternative o comunque mediazioni accettabili, né si è accordato un lasso temporale per favorire un tentativo di composizione tra le parti.

14.5 Per quanto concerne il problema della prova del danno, le Sezioni unite (cfr. sentenza 26972/08) hanno respinto l’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perchè la tesi snaturerebbe la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Per quanto concerne i mezzi di prova tuttavia, per i pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno biologico la Corte ha statuito che può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Ritiene il Collegio che detta prova si sia formata: la cessazione improvvisa di un servizio continuativo come il trasporto ha imposto una non semplice riorganizzazione della vita familiare e soprattutto ha profilato la possibile interruzione della frequenza del Centro.

14.6 Per la determinazione in concreto del quantum, il Collegio ritiene di procedere a liquidare in via equitativa la somma di Euro 500 (cinquecento/00), tenuto conto della gravità del pregiudizio subito e del suo carattere continuativo.

15. In definitiva il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti sono fondati e devono essere accolti nel senso sopra esposto, come pure la domanda risarcitoria nei limiti sopra evidenziati.

Le spese di giudizio e la somma a titolo di danno devono essere poste a carico del Comune di Martinengo soccombente. Possono essere compensate nei confronti degli altri Enti evocati in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando accoglie il gravame introduttivo ed i motivi aggiunti nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Dichiara il difetto di interesse dei ricorrenti alla definizione delle censure di cui alle lettere e) ed f) dell’esposizione in fatto.

Accerta il diritto del soggetto diversamente abile ad usufruire del servizio di trasporto con oneri a carico del Comune di residenza.

Condanna il Comune di Martinengo a liquidare a Francolino Salvatore la somma di Euro 500, a titolo di risarcimento del danno esistenziale.

Condanna altresì l’amministrazione comunale di Martinengo a corrispondere ai ricorrenti la somma complessiva di Euro 4.000 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad IVA, CPA e spese generali.

Spese compensate nei confronti delle altre parti evocate in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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