T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 13-07-2011, n. 1043 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le ricorrenti agiscono, nella loro qualità di coniuge e figlie del sig. S.C.R., deceduto a seguito dei gravi postumi riportati in un incidente stradale che lo ha visto coinvolto mentre, a bordo del proprio velocipede, attraversava la S.S. Padana Inferiore. Dopo l’archiviazione del procedimento penale nei confronti del conducente del veicolo che ha travolto il sig. S., sig. F.A. – che, all’epoca dei fatti (10 settembre 2009) aveva 86 anni -, le familiari hanno agito in sede civile, al fine di ottenere un congruo risarcimento del danno subito per la perdita del marito/padre.

Ciò anche in ragione del fatto che le stesse avrebbero informalmente appreso che, al momento del tragico accadimento, il sig. F. stava svolgendo delle terapie fisioterapiche a seguito di un intervento subito all’arto inferiore destro. Poiché tale circostanza avrebbe potuto aver influito sulla capacità di reazione del conducente e determinato una dinamica dell’incidente diversa da quella ricostruita in sede penale e da sempre censurata dalle eredi, queste ultime hanno esercitato il diritto d’accesso presso l’Ospedale civile di Mantova, al fine di entrare nella disponibilità della cartella clinica relativa al suddetto ipotizzato intervento subito dal sig. F..

L’istanza delle ricorrenti del 30 ottobre 2010 è stata rigettata il 27 dicembre 2010 in ragione delle, ritenute prevalenti, esigenze di tutela della privacy, pur dichiarandosi, l’Ospedale, disponibile a fornire la richiesta documentazione su ordine dell’autorità giudiziaria.

Il 14 febbraio 2011, quindi, il procuratore delle istanti inoltrava una nuova richiesta, motivando ulteriormente la stessa.

Il sig. F., portato a conoscenza dell’istanza, secondo le prescrizioni di legge, si opponeva all’esibizione della documentazione. L’Azienda Ospedaliera, nonostante le repliche delle istanti, negava, quindi, il diritto di accesso ritenendo recessivo l’interesse rappresentato dalle stesse rispetto a quello della riservatezza di dati sensibilissimi, comunque eventualmente superabile da un ordine del giudice ex art. 210211 c.p.c..

Le istanti hanno, quindi, impugnato il diniego di accesso, deducendo:

– violazione dell’art. 24 comma 7 della legge n. 241/90 e dell’art. 60 del d. lgs. 196/03, in cui l’Amministrazione sarebbe incorsa nella comparazione dei contrapposti interessi;

– violazione dell’art. 24 comma 7 della legge n. 241/90 con riguardo alla possibilità di ottenere i documenti richiesti chiedendo ad altro Giudice l’esibizione alla parte o a un terzo.

L’azienda ospedaliera, costituitasi a sostegno della legittimità del proprio operato, ha precisato di aver dato atto dell’opposizione espressa dal sig. F. all’ostensione della documentazione richiesta e ha richiamato l’art. 60 del d. lgs. 196/2003, secondo cui il trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute è ammesso solo se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato: concetto poi ulteriormente specificato dall’art. 92 del medesimo codice di regolamentazione del diritto di accesso.

Il diniego sarebbe scaturito, quindi, dalla considerazione secondo cui il diritto al risarcimento del danno fatto valere in sede giudiziaria, non rientrerebbe tra i diritti della personalità o altri diritti o libertà fondamentali ed inviolabili e, quindi, allo stesso non può essere riconosciuto quel rango paritario che consentirebbe il sacrificio del diritto alla riservatezza.

In ogni caso solo il giudice istruttore della causa civile potrebbe apprezzare la effettiva essenzialità della documentazione richiesta.

Alla camera di consiglio del 23 giugno 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare positivo apprezzamento.

La ratio della disciplina volta a garantire il diritto di accesso ai documenti amministrativi è ben individuata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 20 aprile 2006, n. 7 attraverso la contestualizzazione dell’istituto nell’ambito di una riforma globale dell’amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, da contemperare con altri interessi giuridicamente rilevanti, quali l’interesse alla riservatezza di terzi o la tutela del segreto.

In tale ottica appare chiaro come la diffusione dello strumento dell’accesso nella prassi dei rapporti tra amministrazione e cittadino sia rivolta ad assicurare al privato la trasparenza dell’agire amministrativo, indipendentemente dalla lesione in concreto di una determinata posizione di diritto o di interesse legittimo (in tal senso T.A.R. Palermo, Sez. III, 11 dicembre 2009, n. 1907).

Il nesso fondante tra il diritto di accesso e la PA, intesa come soggetto che deve tendere alla semplificazione dell’azione amministrativa, va, quindi, ravvisato "nella introduzione nel procedimento amministrativo del principio della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum, già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e dell’accessibilità dei documenti amministrativi" (Cons. di Stato, Sez. IV, 29 marzo 2001, n. 1844).

La disciplina della partecipazione al procedimento amministrativo ha, quindi, individuato il nuovo "principio di trasparenza" destinato a rideterminare i rapporti tra amministratori ed amministrati, rendendo i cittadini, entro certi aspetti, compartecipi dell’operato delle P.A. e, proprio in attuazione di tale obiettivo, la riforma dell’azione amministrativa è stata operata in modo tale da consentire ai cittadini un controllo democratico sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sulla conformità della stessa agli interessi costituzionali e quindi sociali, anche attraverso il ricorso all’esercizio del diritto di accesso.

Così delineato il quadro normativo generale di riferimento, con sentenza del 15 giugno 2007 n. 1675 il Tar Palermo ha chiarito che: "la documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici rientra nell’amplissima nozione di "documento amministrativo" di cui alla lettera d) dell’art. 22 della L. n. 241/1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera, in relazione all’attività di pubblico interesse dalla stessa svolta al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, e così il diritto primario e fondamentale alla salute.

Tale conclusione può essere senz’altro condivisa se il "documento" viene in considerazione in un’ottica di rapporto diretto tra cittadinoutente (o soggetto comunque legittimato in conseguenza del rapporto con questi) e struttura ospedaliera che detiene la cartella clinica e cioè tutte le volte che la conoscenza del contenuto della cartella stessa sia strumentale a verificare il corretto agire dell’Amministrazione che ha erogato il servizio sanitario. In tal caso, infatti, proprio per l’operare del richiamato principio di trasparenza, si è assistito ad un ribaltamento del principio di pubblicità, per cui se prima il segreto era la regola e la pubblicità l’eccezione, ora è il contrario.

Nel caso di specie, però, l’accesso alle informazioni contenute nella cartella clinica non si collega al rapporto intercorrente tra paziente e ospedale, non pone questione di trasparenza dell’azione posta in essere dal soggetto che ha erogato il servizio sanitario: esso tende, infatti, a conoscere se l’odierno controinteressato sia stato, prima del verificarsi dell’incidente che ha determinato il decesso del congiunto delle ricorrenti, operato e ad accertare se, dalle cure prestate successivamente, sia possibile desumere una ridotta funzionalità di un arto inferiore che avrebbe potuto avere rilevanza in termini di non corretta reazione alla situazione che ha poi generato il suddetto evento.

Ciò induce il Collegio a ritenere che l’istanza di accesso formulata dalle odierne ricorrenti non debba essere esaminata e trattata alla luce della disciplina dettata dalla legge n. 241/90 che espressamente regola l’esercizio dell’attività amministrativa, affermando che lo stesso debba avvenire all’insegna della massima trasparenza, garantita dalla possibilità di avere accesso a tutti i documenti in possesso dell’Amministrazione.

Nella fattispecie è stato richiesto di avere accesso alla cartella clinica non come documento amministrativo avente funzione di attestare e comprovare l’attività svolta dall’Amministrazione nel trattamento del paziente, al fine di verificarne la correttezza e l’efficacia, bensì come raccolta dei dati relativi alla salute dell’utente curato per poter avere informazioni circa lo stato di salute di quest’ultimo, le quali potrebbero avere refluenza al fine di accertare la responsabilità civile dello stesso (e, conseguentemente, il suo obbligo risarcitorio), nell’ambito di un autonomo giudizio instaurato tra il terzo che lamenta di essere stato danneggiato ed il paziente in questione.

In altre parole, nel caso di specie, l’accesso che si chiede non ha riguardo all’attività svolta dall’Amministrazione, bensì agli specifici dati sullo stato di salute di un determinato soggetto che è stato destinatario dell’attività di quest’ultima.

La norma di riferimento, quindi, non può che essere, in questo caso il D. Lgs. n° 196 del 2003 (cd codice della privacy).

Il Collegio no ignora, invero, che la giurisprudenza, in situazioni sostanzialmente analoghe (quali l’accesso alla cartella clinica del coniuge per conoscere di eventuali patologie che possano essere rilevanti ai fini dell’annullamento del matrimonio), ha ritenuto che la norma applicabile fosse l’art. 60 del suddetto d. lgs. n. 196/2003, il quale stabilisce che quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, esso è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

A tale proposito, il Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza., 28 settembre 2010, n. 7166, ha ribadito che "In una situazione siffatta deve, invero, ritenersi sussistente l’interesse personale che legittima la proposizione della domanda di accesso, senza che sia necessaria alcuna penetrante indagine in merito alla essenzialità o meno della documentazione richiesta, né circa le prospettive di buon esito del rito processuale concordatario; quel che rileva è che, attraverso l’ accesso, sia data al richiedente la possibilità di supportare nei termini più concreti la propria instauranda azione giudiziale, senza potersi operare alcun previo giudizio prognostico circa l’esito dell’azione stessa…..omissis… In definitiva, di tali dati sensibili deve ritenersi consentito il trattamento, come prevede l’art. 60, d.lgs. n. 196 del 2003, che espressamente lo subordina alla condizione che la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile" (in tal senso anche Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 2006 n. 6681 e T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 07 maggio 2009, n. 878).

Invero l’applicazione dell’art. 60 del d.lgs. 196/03 al caso di specie condurrebbe ad escludere il diritto d’accesso, in quanto l’accesso alla cartella clinica sarebbe strumentale ad una più facile dimostrazione dell’inidoneità fisica del controinteressato alla guida e, conseguentemente, al sostegno della domanda risarcitoria proposta in sede civile dagli eredi della vittima dell’incidente che lo ha visto coinvolto.

Il diritto ad ottenere il risarcimento del danno derivato dalla perdita del familiare non può, infatti, ritenersi avere lo stesso rango di diritto fondamentale ed inviolabile riconosciuto al diritto alla riservatezza dei dati relativi alla stato di salute di una persona.

Ciò a maggior ragione considerato che l’esclusione del richiesto accesso non incide direttamente sulla possibilità di esercitare l’azione civile risarcitoria (in effetti già pendente), ma ha esclusivamente l’effetto di rendere un pò più lenta e faticosa l’eventuale dimostrazione delle condizioni di salute del controinteressato inidonee alla guida, il cui accertamento potrà comunque avvenire sia mediante perizie mediche, che attraverso l’acquisizione della documentazione direttamente ad opera del giudice civile, previa valutazione della rilevanza delle stesse.

Nessuna lesione del diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale può quindi ravvisarsi nell’impugnato diniego.

Peraltro, a prescindere da tali considerazioni, il Collegio ritiene che la normativa applicabile nel caso in esame non sia l’articolo 60 citato, ma l’insieme dei generali principi desumibili, in primo luogo, dall’art. 1, secondo cui "Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano" e, per ciò stesso il codice "garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali".

L’articolo 60 (e il precedente art. 59) ha lo scopo di disciplinare il rapporto intercorrente tra diritto all’accesso ai sensi della legge n. 241/90 e diritto alla riservatezza tutelato dal d. lgs. 196/03: sin dall’entrata in vigore degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/90, infatti, si era posto il problema di tale coordinamento di contrapposti interessi ogni volta che l’accesso agli atti amministrativi comportava anche la conoscenza di dati personali di soggetti terzi. Il legislatore ha, quindi, voluto superare l’impasse, prevedendo il recesso del diritto alla riservatezza, con la sola esclusione del caso in cui i dati contenuti nel documento siano idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale: ipotesi il cui ricorrere limita l’accesso ai soli casi in cui esso sia necessario a garantire una situazione giuridicamente rilevante di rango almeno pari ai diritti dell’interessato ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

Diverso è, però, il caso in cui, come quello di specie, l’istanza volta ad ottenere il rilascio di copia della cartella clinica ha il diretto e specifico scopo finale di consentire proprio la conoscenza dei dati relativi allo stato di salute del paziente, al fine di tutelare posizioni giuridiche che nulla hanno a che fare con il rapporto intercorrente con l’Amministrazione che detiene tali dati, per cui quest’ultima si trova nella posizione di dover garantire proprio quella protezione dei dati personali che risulta imposta dall’art. 2 del d. lgs. 196/03, nonché dal comma 8 dell’art. 22. Quest’ultima disposizione recita "I dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi.". Tale regola trova eccezione nell’art. 47 che ammette il trattamento dei dati personali, anche relativi alla salute, nel caso in cui gli stessi siano direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie.

In tal caso sarà il giudice competente a conoscere dell’affare o della controversia a valutare se la conoscenza di tali dati sia effettivamente necessaria ai fini della sua definizione. Nell’ambito del processo, "infatti, la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevalere in quanto contenente disposizioni speciali e, benché anteriori, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy" (Cassazione civile, sez. un., 08 febbraio 2011, n. 3034).

Una tale ricostruzione della disciplina dell’accesso ai documenti contenenti dati relativi allo stato di salute appare coerente con lo stesso dato sistematico della norma. L’affermazione del generalizzato divieto di diffusione di tale categoria di dati di cui al comma 8 dell’art. 22 può, infatti, avere un senso solo se l’art. 60 sia inteso come un’eccezione allo stesso, ammissibile ogni volta che, per agire a tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive nei confronti dell’Amministrazione, aventi rango di diritto costituzionalmente tutelato o comunque fondamentale, sia necessario accedere a documenti contenenti dati personali anche relativi allo stato di salute di soggetti terzi.

Al di fuori di tale necessità e, quindi, al di fuori dei casi in cui l’accesso ai documenti non sia strumentale a garantire una piena tutela nei confronti della pubblica amministrazione (o di un soggetto privato alla stessa parificato in quanto esercente un pubblico servizio) che, invece, è mera detentrice di dati rilevanti in una controversia tra soggetti privati ulteriori e diversi, non si pone alcuna questione di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241/90 e, quindi, nemmeno di applicabilità dell’art. 60 del d. lgs. 169/03.

Diversamente opinando il comma 8 dell’art. 22 del d. lgs. 196/03 sarebbe privo di senso, posto che se dovessimo intendere il diritto d’accesso alla documentazione medica come sempre ammesso alle condizioni di cui all’art. 60 non solo sarebbe stato sufficiente tale norma, ma la diversa affermazione di principio generale sarebbe dissonante.

Né può ritenersi che la differenza possa risiedere nella natura pubblica o privata di chi detiene la documentazione: il ritenere che il legislatore abbia inteso tutelare in maggior misura (escludendo ogni possibilità di accesso ai sensi del comma 8 dell’art. 22) i dati sulla salute in possesso di soggetti privati rispetto ai casi in cui il detentore è un soggetto pubblico (il che li esporrebbe all’accesso ai sensi della legge n. 241/90) sarebbe gravemente lesivo dei principi costituzionalmente rilevanti di eguaglianza e di tutela della privacy.

Conseguentemente appare corretto ritenere che i dati relativi allo stato di salute non siano, in linea di principio, suscettibili di essere diffusi; la tutela degli stessi, però, non può ostacolare l’esercizio del diritto di accesso che – al fine di garantire la tutela di posizioni giuridiche almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero che consistano in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile – richieda la conoscenza di documenti amministrativi che tali dati contengono e che, quindi, vengono incidentalmente e strumentalmente resi conoscibili. Ne consegue, in tali casi, l’applicazione delle regole eccezionali di cui all’art. 60 del d. lgs. 169/03; al di fuori di tali casi i dati relativi alla salute possono essere acquisiti solo nell’ambito e con i limiti propri della rilevanza in un giudizio, previa valutazione degli interessi contrapposti da parte del giudice competente.

Ne consegue che, correttamente, l’Azienda ospedaliera resistente, in quanto titolare di uno specifico obbligo di garantire la riservatezza dei dati relativi allo stato di salute del proprio paziente, ha negato l’accesso alla cartella clinica dello stesso, nei cui confronti le odierne ricorrenti vantano una pretesa risarcitoria, subordinando lo stesso allo specifico ordine dell’autorità giudiziaria.

Conseguentemente, deve essere rigettata l’istanza di annullamento del diniego all’accesso opposto dall’Amministrazione resistente.

Le spese del giudizio possono trovare integrale compensazione tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta, presentante specifici elementi di novità.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Primo Referendario

Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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