T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 13-07-2011, n. 1042

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 8 novembre 2010 il Comune di Palosco ha notificato la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla revoca, su conforme proposta della Prefettura di Bergamo del 15 ottobre 2010, dell’autorizzazione amministrativa rilasciata alla sig.ra B.N. quale legale rappresentante della società Ristorante Pizzeria 2000 s.n.c., per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Ciò in ragione del fatto che gli accertamenti effettuati avrebbero indotto a ritenere che il locale fosse divenuto luogo di abituale aggregazione di persone pregiudicate o dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti e, per ciò stesso, che il mantenimento della sua apertura rappresentasse un rischio per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica.

Nonostante le osservazioni presentate dall’interessata, il Comune ha comunque disposto la revoca dell’autorizzazione e la chiusura del locale, adottando l’impugnata ordinanza, avverso cui sono state dedotte le seguenti censure:

1. incompetenza dell’autorità amministrativa procedente, ai sensi dell’art. 100 del TULPS approvato con R.D. 773/1931;

2. violazione di legge, in quanto nessuno degli episodi di cui si riferisce negli atti presupposti integrerebbe l’ipotesi di tumulto o grave disordine all’interno del locale. Inoltre non sarebbe stata ravvisata, in capo ai gestori, alcuna colpa in vigilando, anche in considerazione del fatto che numerosi degli episodi riscontrati si sarebbero verificati all’esterno del locale;

3. carenza o incongruità di motivazione, non essendo sufficiente ad esaurire l’onere motivazionale il mero riferimento agli accertamenti eseguiti. In particolare dal momento che in nessuno degli atti, anche presupposti, si rinvengono i nomi dei pregiudicati presenti nel locale;

4. violazione del principio di gradualità, in quanto i fatti non sarebbero stati tanto gravi da giustificare la chiusura del locale, fonte di reddito per l’intera famiglia della ricorrente.

Si è costituito in giudizio il Comune, eccependo l’infondatezza del ricorso.

In primo luogo l’ente ha insistito per la permanenza, in capo al Sindaco, di un potere di revoca delle autorizzazioni alla somministrazione concorrente con quello del Questore e, quindi, il provvedimento sarebbe per ciò stesso legittimo, in punto di competenza.

Nel merito gli accertamenti effettuati dal 2005 al 2010 avrebbero evidenziato come il locale sia abituale ritrovo di pregiudicati, nonostante i plurimi avvertimenti verbali ai gestori.

Ciò sarebbe confermato dal fatto che alla riapertura, dopo 9 mesi di sospensione, ancora una volta sono stati arrestati soggetti in possesso di droga, ancorchè praticanti lo spaccio all’esterno, ma sempre nelle aree di pertinenza del locale.

Il provvedimento sarebbe, altresì, adeguatamente motivato, in ragione di quanto nello stesso esposto, né potrebbe ravvisarsi la dedotta violazione del principio di gradualità, essendo già stati adottati provvedimenti più lievi, quale la sospensione, senza che ciò abbia sortito alcun positivo effetto.

In vista della pubblica udienza, il Comune ha depositato una relazione della Polizia Locale, attestante il rispetto della chiusura ordinata a seguito della revoca, nonché la circostanza per cui, a seguito di ciò, anche il parcheggio precedentemente frequentato da soggetti dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti è risultato essere vuoto e non sono più pervenute segnalazioni di problematiche riconducibili a quelle contestate nella censurata ordinanza di revoca dell’autorizzazione.

Nella propria memoria, quindi, il Comune ha evidenziato, in punto di ammissibilità del ricorso, la mancata impugnazione del provvedimento con cui il Prefetto ha invitato il Sindaco a revocare l’autorizzazione commerciale in questione, inducendolo all’adozione di un provvedimento di natura sostanzialmente vincolata. Nel merito esso si è soffermato su come la suddetta relazione della polizia locale sia la migliore prova della sussistenza delle condizioni che hanno reso necessaria l’adozione della revoca censurata.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Alla luce del vigente quadro normativo è possibile distinguere tre diversi soggetti chiamati ad intervenire per la revoca delle autorizzazioni amministrative come quella alla somministrazione di alimenti e bevande, laddove ne ricorrano i presupposti di legge.

Il primo di essi è il Questore, il cui potere, per quanto di interesse con riferimento alla vicenda in esame, è disciplinato dall’art. 100 del TULPS, che gli attribuisce la possibilità di intervenire, sua sponte e direttamente, sospendendo e poi revocando la licenza, ogni volta che ravvisa un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza, in specie se derivante dal fatto che l’esercizio pubblico risulti essere abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose.

Il Prefetto, invece, (ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. 616/77 e del d. lgs. 112/98) ha, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 218/88 e ribadito nella pronuncia della stessa n. 129 del 2009, nell’ambito delle competenze di polizia amministrativa che sono state trasferite o delegate alle regioni, un potere più esteso nella individuazione dei presupposti, oggettivi, per l’adozione di provvedimenti funzionali "alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico". In tali casi esso può chiedere al Sindaco di revocare l’autorizzazione nell’esercizio delle sue funzioni di polizia amministrativa e, se le motivazioni sottese sono inerenti l’ordine pubblico e la sicurezza, per quanto attiene a tale profilo l’attività del Comune deve ritenersi vincolata, pur potendo, il Sindaco, rappresentare anche fatti e interessi inerenti a funzioni amministrative proprie del Comune stesso.

Nel caso in esame il Sindaco, come ampiamente ribadito anche nell’ultima memoria depositata da parte resistente, ha agito disponendo la censurata revoca proprio in ottemperanza alla specifica richiesta in tal senso inoltratagli dal Prefetto, in ragione di specifici motivi di ordine pubblico e sicurezza.

A prescindere, quindi, dalla circostanza per cui la mancata impugnazione di tale provvedimento del Prefetto potrebbe addirittura revocare in dubbio l’ammissibilità del ricorso, trattandosi indubbiamente di un atto prodromico con effetto vincolante, il ricorso appare infondato nella parte in cui tende ad affermare l’incompetenza del Sindaco.

Ciò in ragione dello specifico rapporto intercorrente tra le due norme e caratterizzato dal fatto che, se l’art. 100 non è stato abrogato tacitamente dal successivo art. 19, in quanto la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza non è stata trasferita agli enti locali, ragion per cui è rimasta ferma la competenza del questore (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4720), allo stesso modo non può ritenersi abrogato l’art. 19, comma 4, del d.p.r. n. 616 ad opera del successivo d.lgs. n. 112 del 1998, che ha operato il terzo trasferimento delle funzioni amministrative.

Ne discende che le due norme, entrambe vigenti, si differenziano in ragione dell’ampiezza delle funzioni e delle modalità procedimentali di esercizio delle competenze.Sul punto il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dalla giurisprudenza secondo cui: "In relazione al primo aspetto, il potere del questore è in un certo senso tipizzato dalla norma la quale individua i presupposti per il suo esercizio in relazione a fatti che si sono verificati nel locale. Il prefetto, invece – alla luce della portata dell’art. 19 e anche delle sue funzioni di coordinamento (cfr. art. 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante "Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59") – ha un potere più esteso nella individuazione dei presupposti, oggettivi, della sua azione, potendo, infatti, adottare tutte quelle determinazioni che siano funzionali "alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico" (Corte cost. n. 129 del 2009, cit.)"(così T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 22 marzo 2010, n. 329).

Per quanto attiene, invece, alle modalità procedimentali, mentre il Questore ha il potere di agire direttamente, il Prefetto non può che agire stimolando l’intervento del Sindaco, la cui attività risulta, a questo punto, essere sostanzialmente vincolata, tranne che lo stesso non possa individuare anche ulteriori ed autonomi profili che inducano a ritenere opportuna la misura richiesta dal Prefetto.

Ne risulta dimostrata la convivenza, nel nostro ordinamento, delle due diverse modalità di incidere sulle autorizzazioni alla somministrazione mediante l’adozione di misure preventive e repressive, con la conseguenza che non può ritenersi fondata la dedotta censura di incompetenza del Sindaco, che ha esercitato il proprio potere non sulla scorta dell’art. 100 del TULPS, bensì dell’art. 19, comma 4, del d.p.r. n. 616.

Ciò preliminarmente chiarito, il provvedimento adottato risulta supportato da un’idonea e compiuta motivazione e non appare sproporzionato rispetto alla situazione sottesa.

A prescindere dal fatto che quanto riscontrato dalle forze dell’ordine presso il locale in questione non integri l’ipotesi di tumulto o grave disordine all’interno del locale (che peraltro è solo una delle ipotesi che legittimano l’intervento del Questore, accanto alla circostanza per cui "precedenti provvedimenti di sospensione non abbiano sortito effetto deterrente"), tale circostanza appare del tutto irrilevante proprio in ragione del fatto che l’ordinanza censurata non deriva dall’applicazione dell’art. 100 del TULPS, che tali condizioni impone.

Date le suddette caratteristiche procedimentali del potere esercitato nel caso di specie, appare altresì sufficiente, in termini di motivazione, il richiamo all’atto del Prefetto con cui è stato richiesto l’intervento di revoca del Comune. Sono quindi respinte la seconda e la terza censura, anche in considerazione del fatto che il provvedimento appare supportato dai numerosi accertamenti condotti dalla forza pubblica e dalla natura privata (e non pubblica come vorrebbe parte ricorrente) del parcheggio in cui i fatti imputati alla gestione sono stati riscontrati.

La quarta censura, attinente alla pretesa non proporzionalità dell’intervento, deve ritenersi infondata, atteso che la revoca in questione risulta essere stato adottata dopo la precedente applicazione di provvedimenti meno gravi, quale la sospensione.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida, a favore del Comune, in Euro 2.500,00, oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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