T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 13-07-2011, n. 1040 Dichiarazione di pubblica utilità Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 505/11 del 29 marzo 2011, questo Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso cumulativo così come radicato, ritenendo, però, che, in applicazione dei generali principi di economia degli atti al processo amministrativo, il ricorso fosse comunque ammissibile esclusivamente nei confronti del capo di maggiore importanza per il ricorrente (richiamando in tal senso anche T.A.R. Veneto, sez. III, 17 dicembre 2003, n. 6197).

Pertanto, considerato che:

– rispetto alla domanda volta ad ottenere la condanna del Comune all’adempimento delle obbligazioni precedentemente assunte con "accordo bonario" è stato ritenuto che essa esulasse dalla giurisdizione del giudice amministrativo;

– con riferimento alla realizzazione del percorso fitness (con coinvolgimento del terreno arginale), nella particolarità dell’opera realizzata è stata ravvisata una forza attrattiva della questione nella giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 143 comma 1 lett. a), t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775;

– anche rispetto alla contestata legittimità dell’allargamento stradale di via Treboldi, la mancata produzione di ogni principio di prova relativo all’esistenza di un’eventuale dichiarazione di pubblica utilità, ha indotto ad escludere la giurisdizione del giudice amministrativo.

Ne è derivata l’individuazione della domanda più pregnante per parte ricorrente come quella coincidente con l’unica rispetto a cui è stata ravvisata la giurisdizione del giudice amministrativo e cioè la prima domanda, volta alla declaratoria della inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità relativa alla realizzazione del palazzetto dello sport ed individuata anche da parte ricorrente come quella di primario interesse.

Al fine della decisione nel merito, però, il Collegio ha ritenuto necessario acquisire una relazione esplicativa – con ricostruzione dell’iter e date corrispondenti – dell’andamento della procedura espropriativa avente ad oggetto i mappali 292, 293 e 295 del fg. 92, contenente le seguenti specificazioni:

– se, a seguito dell’occupazione d’urgenza autorizzata con decreto del 31 luglio 1992, siano state realizzate, sui suddetti mappali, opere pubbliche, specificandone la tipologia e la data di inizio e fine lavori rispetto a ciascuna di esse e provvedendo alla rappresentazione grafica delle stesse su di una planimetria;

– se le stesse aree sono state utilizzate, nel 2004, per l’esecuzione di opere nuove o ulteriori;

– se nel 2004 sono state realizzate (specificando quando ed eventualmente rappresentando graficamente anche queste ultime) opere accessorie al palazzetto dello sport ulteriori rispetto a quelle già esistenti;

– se è stato emanato un decreto di esproprio delle aree in questione, specificando, in caso di riscontro negativo, le ragioni della mancata conclusione dell’iter;

– quale sia l’attuale specifica destinazione delle superfici occupate;

– l’esatta superficie che ha formato oggetto di occupazione;

– la quantificazione del valore venale dei beni occupati, mediante la redazione di un’apposita relazione di stima.

In data 29 aprile 2011, il Comune di Edolo ha depositato la richiesta relazione, cui hanno fatto seguito, nell’ordine, il deposito di una perizia di stima nell’interesse di parte ricorrente ed uno scambio di memorie tra le parti costituite.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame non merita positivo apprezzamento nella parte in cui tende ad ottenere la restituzione dei terreni occupati dall’Amministrazione.

Invero la relazione prodotta dal Comune di Edolo in esecuzione dell’ordine imposto da questo Tribunale con la sentenza parziale n. 505/11, conferma che l’occupazione, intervenuta il 7 settembre 1992, ha visto i terreni dei ricorrenti dapprima utilizzati per la realizzazione della pista di accesso al cantiere per la costruzione del nuovo Palazzetto dello Sport e, successivamente, a lavori ultimati (2 maggio 1994), poi destinati ad area verde pertinenziale alla piscina comunale (sostanzialmente un prato ed un’aiuola) ed infine interessati dalla realizzazione dell’accesso al parcheggio esterno della piscina nell’anno 2004.

Non è, però, mai stato emesso alcun decreto d’esproprio, nonostante le trattative condotte al fine di addivenire alla cessione volontaria, che parte ricorrente non ha smentito esservi state.

La mancata, tempestiva, conclusione della procedura espropriativa, ravvisabile, quindi, anche nel caso di specie, ha certamente dato luogo ad una fattispecie di illecito amministrativo permanente, considerato che la più recente giurisprudenza, anche sulla scorta di quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha chiarito come la realizzazione dell’opera pubblica non possa determinare alcun effetto traslativo della proprietà e, quindi, essere di impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata.

La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato, deve, quindi, essere considerata in sé come un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo per l’acquisto, inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà.

Solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni (così Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01062011, n. 3331).

Escluso che l’amministrazione possa comunque acquisire il bene adottando un atto amministrativo sanante – considerata l’intervenuta abrogazione dell’art. 43 del D.P.R. 327/2001 che disciplinava un tale tipo di provvedimento, giusta la sentenza della Corte costituzionale n. 293 dell’8 ottobre 2010 – deve affermarsi, in via generale, la sussistenza dell’obbligo primario di procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

La fattispecie in esame presenta, però, particolarità tali da poter condurre ad una conclusione diversa.

In primo luogo si deve dare atto di come sia il ricorso, che la memoria conclusiva, tendano, previa declaratoria dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità ed accertamento dell’illegittimità della procedura espropriativa, alla condanna dell’Amministrazione comunale alla restituzione dei mappali nn. 292, 293 e 295 del fg. 92 del comune di Edolo e al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione abusiva, ovvero, in subordine alla condanna della stessa al risarcimento del danno corrispondente al valore dei beni occupati.

Ciò premesso appare determinante quanto affermato da parte ricorrente al punto 15 della propria ultima memoria, nella quale si dà atto che solo nel 2004 i proprietari "hanno avuto certezza di aver perso il loro diritto di proprietà": un tanto in considerazione del fatto che, per stessa ammissione dei ricorrenti e come si avrà modo di esplicitare più ampiamente con riferimento alla quantificazione del risarcimento del danno da occupazione, dopo la conclusione dei lavori di realizzazione della piscina comunale, i terreni occupati sono stati semplicemente destinati ad area verde (solo per 49 mq piantumata). L’assenza di una reale trasformazione ad uso pubblico dei terreni in questione esclude, quindi, una sottrazione alla disponibilità dei proprietari giuridicamente rilevante.

Tale particolarità della situazione incide sul peso da attribuire alle domande formulate da parte ricorrente. E" pur vero, infatti, che, per principio generale, né il giudice, né tanto meno l’autore dell’illecito possono contrastare la scelta della modalità risarcitoria (tra risarcimento in forma specifica e per equivalente) ritenuta più idonea a proteggere i propri interessi, al di fuori dei confini indicati dall’art. 2058 c.c..

Ciononostante, il Collegio ritiene di poter valorizzare – al fine di escludere la restituzione dei beni (e quindi il risarcimento in forma specifica), privilegiando, invece, la modalità risarcitoria formulata in via subordinata – la sostanziale rinuncia ad una piena tutela della propria proprietà da parte dei titolari della stessa, allorchè i medesimi, a fronte della manifestata volontà, con l’approvazione di un nuovo progetto nell’anno 2004, di una nuova occupazione finalizzata ad imprimere una nuova destinazione alle aree in questione, definitivamente sottraendole alla disponibilità dei proprietari non hanno tempestivamente agito in via possessoria, per impedire la nuova occupazione e, quindi, la trasformazione dei terreni. Il mancato ricorso alla suddetta tutela possessoria, cui i ricorrenti avrebbero avuto pieno diritto di accedere, considerato che i terreni, come già chiarito, non avevano subito alcuna particolare trasformazione ad uso pubblico, appare suscettibile di apprezzamento nell’ottica di cui al terzo comma dell’art. 30 del c.p.a., secondo cui "nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti".

Appare chiaro, infatti, come il danno conseguente alla realizzazione della nuova opera pubblica, che gli stessi ricorrenti attestano avere definitivamente privato gli stessi della disponibilità dei terreni, avrebbe potuto essere evitato usando l’ordinaria diligenza nel fare ricorso ai mezzi di tutela garantiti dall’ordinamento per pretendere l’avvio di una nuova, legittima, procedura espropriativa anche nei confronti degli odierni ricorrenti (oltre che degli altri proprietari interessati).

Tali conclusioni non possono essere portate all’estrema conseguenza dell’esclusione integrale del risarcimento del danno, comunque in effetti patito a fronte dell’apprensione del terreno da parte dell’Amministrazione, ma possono escludere l’ammissione della tutela in forma specifica, riconoscendo, invece, la sola tutela per equivalente, mediante corresponsione del risarcimento del danno.

Ne discende che, incontestata la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità risalente al 1989 ed accertata la mancata conclusione del procedimento espropriativo a suo tempo avviato, l’Amministrazione, escluso l’obbligo della restituzione dei beni, debba essere condannata alla rifusione dei danni per equivalente, in misura pari, in primo luogo, al controvalore dei beni occupati ovvero al loro valore di mercato.

Al fine della determinazione del valore di mercato delle aree in questione il Collegio ritiene che non possa essere condivisa, in primo luogo, la valutazione proposta dal Comune, che si è limitato a richiamare l’importo dell’indennità corrisposta nel 1992 in relazione ad aree contigue e presentanti le medesime caratteristiche e pari a 10.000 Lire/mq. Trattandosi di debito di valore, infatti, la quantificazione deve avvenire con riferimento al momento della proposizione della domanda e cioè al 2008.

Ciò precisato, nemmeno la perizia di stima prodotta da parte ricorrente appare convincente, quantomeno nella parte in cui rapporta il valore di stima "in previsione di logica espansione residenziale, prevedibile per tali aree nell’immediato futuro". Nel caso di specie, in cui i terreni si trovano adiacenti alla piscina comunale (tant’è che hanno avuto una destinazione palesemente accessoria rispetto a tale opera pubblica), appare del tutto inimmaginabile una possibile destinazione edificabile diversa da quella ad "attrezzature sportive" delle aree in questione.

Anche laddove tende alla dimostrazione del valore di mercato delle aree di proprietà dei ricorrenti sulla scorta della loro destinazione urbanistica, la suddetta perizia appare criticabile sotto diversi profili.

In primo luogo essa omette di dare conto del fatto che, sebbene la destinazione urbanistica SR3 (zona in cui sono ammessi parchi e giardini pubblici, campi da gioco per bambini e ragazzi, campi sportivi per adulti, nonché edifici ed attrezzature sportive di vario tipo, quali risultano dalle disposizioni vigenti) ammetta, in linea di principio, anche l’intervento privato, essendo essa comunque preordinata a garantire il rispetto degli standards urbanistici, il successivo articolo 36.6 delle Norme tecniche di attuazione del PRG (Prescrizioni generali), al punto 6 prevede espressamente che: "è ammessa la realizzazione di opere previste dallo standard da parte di privati, previo atto di asservimento ad uso pubblico, à sensi dell’art. 22 della L.R. 51/75; in nessun caso gli atti di asservimento possono avere durata inferiore ad anni 50".

Una tale prescrizione finisce per escludere che i terreni in questione possano avere, sul mercato, un valore diverso da quello sostanzialmente corrispondente a quello d’esproprio (comprensivo delle eventuali maggiorazioni).

Peraltro la stessa stima di parte ricorrente non suggerisce nemmeno un potenziale valore di mercato dei terreni: essa si limita, infatti, a dare conto di un presunto "prezzo di mercato di immobili in zona con caratteristiche similari" – senza peraltro specificare da dove tale valore sia stato ricavato, nonostante sia piuttosto difficile immaginare un mercato di aree con la destinazione sopra ricordata – precisando che tale prezzo "si riferisce non al mq dell’area, bensì alla cubatura che esprime", senza in alcun modo considerare che il valore dell’area è solo uno dei parametri assunti per la determinazione del valore della cubatura realizzabile (accanto ad altri parametri tra cui, in primo luogo, il costo necessario per la costruzione).

Il risarcimento richiesto da parte ricorrente appare, quindi, disancorato da ogni parametro logico e razionale.

Esclusa l’utilizzabilità di entrambe le stime prodotte dalle parti in giudizio, il Collegio ritiene, però, di poter valorizzare, in via equitativa, l’importo offerto dal Comune di Edolo in data 16 ottobre 2002, pari a 20.000 Lire/mq, che è stato dagli odierni ricorrenti accettato (con nota del 22 novembre 2002), aumentato del 10 % e fatti salvi il riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria da quella data e sino alla domanda.

Per quanto attiene, invece, al danno correlato all’illegittima occupazione, il Collegio ritiene di poter condividere il principio recentemente affermato dal Consiglio di Stato, secondo cui "i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza" (Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01062011, n. 3331).

Peraltro, nel caso di specie, è la stessa parte ricorrente ad affermare, anche nella memoria da ultimo depositata, come l’esecuzione dell’opera pubblica con conseguente sottrazione all’utilizzazione privata sia da ricondursi all’anno 2004 e cioè al momento in cui è stato realizzato l’accesso al parcheggio esterno.

Per il periodo dal 1992 al 1994, in cui i terreni sono stati utilizzati per la pista di cantiere, la pretesa risarcitoria risulta essere infondata, in quanto all’epoca l’occupazione risultava essere ancora legittima: ne discende che, per tale periodo, i proprietari potrebbero, eventualmente, solo pretendere la corresponsione dell’indennità di occupazione legittima, mediante proposizione della relativa domanda al giudice ordinario.

Per il periodo successivo (e fino al 2004) la stessa memoria di parte ricorrente, a pag. 5, dà atto di come le aree fossero semplicemente destinate ad area pertinenziale, tant’è che nello stato di consistenza (documento 5 della ricorrente) furono descritte come "unico appezzamento di terreno pianeggiante coltivato a prato".

È la stessa documentazione prodotta da parte ricorrente, quindi, a mettere in dubbio una reale sottrazione dei beni all’utilizzazione da parte dei proprietari che, come dagli stessi affermato, non hanno conosciuto "una trasformazione radicale dei terreni, tale da impedirne l’utilizzo in conformità alla precedente destinazione" (così la memoria depositata il 23 maggio 2011, pag. 5, parte conclusiva del punto 13), quantomeno sino al 2004.

Ne discende che nulla risulta dovuto per il periodo di occupazione intercorrente tra la scadenza dell’occupazione legittima e l’occupazione intervenuta nell’anno 2004.

Per quanto attiene al periodo successivo, non essendo stato provato un maggiore danno, si può ritenere che lo stesso sia già integralmente risarcito per effetto del riconoscimento degli interessi legali sulla somma che avrebbe dovuto essere corrisposta nel 2004.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Comune al pagamento delle spese del giudizio che liquida, a favore di parte ricorrente, in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre ad IVA, C.P.A., rimborso forfetario delle spese e rimborso del contributo unificato dalla stessa anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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