Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-07-2011) 12-07-2011, n. 27204Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.- D.G.M. ricorre a mezzo del difensore avverso l’ordinanza del riesame del Tribunale di Potenza del 25.11.2010 confermativa dell’ordinanza di custodia domiciliare emessa dal GIP del Tribunale di Potenza il 10.11.2010 per i reati di cui ai seguenti capi:

a.- art. 317 c.p., per avere, quale sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, paventando il possibile arresto di alcuni familiari, indotto T.D., consigliere del Comune di Castellaneta, a lasciare l’incarico, si da agevolare lo scioglimento del Consiglio comunale e la conseguente caduta del sindaco L.R., avversario politico del D. G.;

c.- art. 317 c.p., per avere, nella qualità di sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, paventando scenari giudiziari devastanti correlati a un’inchiesta su un complesso residenziale condotta dal collega B., su cui era in grado di intervenire, indotto D.M. ad allontanare dal lavoro presso il detto villaggio residenziale l’avversario politico del D.G.P.V.F.;

d.- art. 319 ter c.p., per avere, nella qualità di sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, indotto D.F.G., vittima di usura da parte, fra gli altri, di P.A., suocero del cognato del D. G., a non denunciare esso P., promettendogli in cambio di attivarsi per assicurargli l’accesso al fondo antiusura e di intervenire presso il P. per far cessare il negozio usurario;

e.- art. 378 c.p., per avere, col comportamento di cui al capo precedente, aiutato il P. a eludere le investigazioni dell’Autorità;

f.- art. 319 ter c.p., per avere, in concorso con D. I. e Pe.Fr., rispettivamente sindaco e comandante della polizia municipale di Castellaneta, indotto C.G. a ritrattare le accuse nei suoi confronti e ad accusare L. R. nella vicenda processuale che contrapponeva quest’ultimo al ricorrente, assicurandogli in cambio una pluralità di atti contrari ai doveri d’ufficio in relazione a un esercizio da lui gestito e a benefici di carattere economico.

B.- Deduce il ricorrente:

1.- l’inutilizzabilità ex art. 407 c.p.p., comma 3, della totalità degli atti d’indagine, in quanto espletati dopo la scadenza dei termini per le indagini;

2.- la nullità dell’ordinanza applicativa della misura, per omessa valutazione degli elementi favorevoli richiamati nella memoria del settembre 2009 a firma del ricorrente, e la nullità dell’ordinanza impugnata, per omessa valutazione di una memoria a firma dell’indagato prodotta all’udienza camerale e della favorevole documentazione prodotta dal P.M. alla stessa udienza;

3.- il mancato vaglio della genuinità e attendibilità delle registrazioni fra presenti acquisite in atti, ritenute preminenti anche sulle dichiarazioni rese, e il mancato approfondimento dell’effettivo ruolo svolto dal Da., già Comandante della Compagnia Carabinieri di Castellaneta, nelle registrazioni in cui è coinvolto;

4.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi per la concussione di cui al capo a), alla stregua delle emergenze idonee a contrastare, se lette coerentemente, l’ipotesi accusatoria, sotto i profili dei reali motivi che portarono il T. alle dimissioni e della incidenza delle stesse sulla sorte del Consiglio comunale di Castellaneta;

5.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi per la concussione di cui al capo c), alla stregua dell’inverosimiglianza e inidoneità delle minacce formulate dall’ indagato, dell’estraneità di quest’ultimo e della vittima al procedimento relativo al complesso residenziale, e della mancata attuazione di quanto preteso dal D.G.;

6.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi per la corruzione in atti giudiziali di cui al capo d) e il favoreggiamento di cui al capo e) e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a), tenuto conto: 6.1.- dell’estraneità all’attività giudiziaria del favore promesso dall’indagato al D.F. e della omessa iscrizione del P. nel registro degli indagati; 6.2.- dell’inconfigurabilità autonoma e comunque dell’insussistenza del reato di cui al capo e) della rubrica, non essendo il P. sottoposto ad alcun procedimento; 6.3.- della sostanziale accusa all’indagato di un reato di falso, diverso da quello contestato al capo d), e basato su una lettura parziale e illogica delle risultanze procedimentali (in relazione in particolare alle dichiarazioni e denunce del D.F., idonee altresì a escludere qualsiasi condotta "inquinante" del D. G.), oltre che compromessa dall’equivoco ruolo avuto dal Da. nella vicenda; 6.4.- del rilievo dato dal Tribunale alle dichiarazioni non verbalizzate del D.F., indebitamente riportate nell’annotazione di P.G. in data 08.07.2009, ritenute incongruamente preminenti su quelle rese dallo stesso soggetto e debitamente verbalizzate;

7.- la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi per la corruzione in atti giudiziari di cui al capo f) e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a), tenuto conto: 7.1.- dell’originaria estraneità, dimostrata anche dalla non prossimità delle presunte operate elargizioni, dei pubblici ufficiali del Comune di Castellaneta all’accordo intercorso fra il D.G. e il C., da considerarsi quindi come accordo fra privati;

7.2.- dell’impossibilità di considerare unitariamente le intese, da un lato, sulla remissione della querela da parte del C. – atto puramente privato, sganciato da qualsiasi qualifica pubblicistica e non riconducibile neppure alla fattispecie di cui all’art. 377 c.p., in mancanza della chiamata da parte dell’A.G. e di accordi al riguardo – e, dall’altro, sulla denuncia, presentata a notevole distanza di tempo, nei confronti del L., suscettibile di configurare in ipotesi, ma non a livello di gravità indiziaria, un concorso nel delitto di calunnia; 7.3.- della difficoltà, comportante a sua volta l’assoluta inadeguatezza della motivazione resa dal Tribunale, di ricostruire adeguatamente, in mancanza di tutti gli atti procedimentali utili, la vicenda "de qua", con i riflessi che ne conseguono sulla qualificazione della condotta del D.G. e della posizione del C., esposto all’accusa di calunnia nei confronti del D.G. ovvero del L. ed esaminabile quindi solo ex art. 210 c.p.p., con esclusione peraltro della configurabilità anche del reato ex art. 377-bis c.p., per mancanza della chiamata da parte dell’A.G.; 7.4.- della irrilevanza, ai fini del quadro indiziario e della sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a), della deposizione del carabiniere D.R., e della inconferenza e inconcludenza, ai fini delle dette esigenze, di presunti contatti sospetti intercorsi fra il ricorrente e il C. in relazione ad altro procedimento penale.

Con memoria aggiunta la difesa ha ripreso e sviluppato i primi due motivi del ricorso.

Motivi della decisione

Per quanto concerne la doglianza di cui sopra sub B.I., il suo esame è precluso in questa sede. Premesso, invero, che la stessa non risulta formulata in modo specifico in sede di riesame ed è tesa fra l’altro a coinvolgere tutti gli atti posti a base del quadro indiziario, senza distinzione fra i veri atti investigativi e quelli acquisiti per fatti di terzi, sottratti come tali alla sanzione di cui all’art. 407 c.p.p., comma 3 (Cass. 8732 del 2010), deve rilevarsi che l’inutilizzabilità, intesa come inidoneità dell’atto ad assumere validamente la funzione probatoria, può essere dedotta e rilevata in ogni stato e grado del procedimento, sempre che, però, il suo accertamento non richieda preliminari valutazioni di fatto soggette al previo e naturale vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito. La previsione di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2, in forza della quale possono superarsi i limiti del devolutum e della ordinaria progressione dell’impugnazione, oltre che per le violazioni di legge non deducibili in grado d’appello, anche per le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, deve raccordarsi con la natura propria del giudizio di legittimità, che, come confermato sistematicamente dalle disposizioni di cui all’art. 311 c.p.p., comma 2, e art. 569 c.p.p., comma 3, non tollera diretti apprezzamenti fattuali sostitutivi della sede naturale del merito (cfr. in argomento Cass. 12175 del 2005;

24.04.1998, Fichera).

Orbene, la inutilizzabilità dedotta dal ricorrente si fonda sull’assunto – facente leva sui documenti allegati al ricorso – che per le modalità con cui sono avvenute le iscrizioni dei reati e dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. e le richieste di proroga delle indagini, tutti gli atti investigativi sarebbero avvenuti a termini scaduti. Com’è evidente dalla stessa prospettazione del motivo, il giudizio sulla sua fondatezza presuppone una specifica ricognizione e valutazione della complessa situazione fattuale esposta, che poteva e doveva essere sottoposta al Tribunale del riesame e che, non essendo ciò avvenuto, non può, per quanto sopra detto, essere fatta valere direttamente in questa sede.

Nè d’altronde questa preclusione può ritenersi superabile attraverso il meccanismo, previsto dalla seconda parte dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come introdotto dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, nel senso che il Tribunale, utilizzando gli atti contestati, sarebbe implicitamente incorso in un travisamento dei presupposti della loro ammissibilità: e ciò non solo perchè la relativa ricognizione non può, giusta quanto sopra osservato, considerarsi immediatamente incontrovertibile e, come tale, deducibile a sensi della disposizione citata (v., fra le altre, Cass. n. 33435 del 2006), ma anche perchè il provvedimento impugnato è confermativo di quello del GIP, mentre il vizio del travisamento può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo quando la decisione impugnata abbia riformato quella sottoposta al gravame di merito, non potendo, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal devolutimi (v., fra le altre, Cass. n. 19710/2009 e n. 752/2007). Relativamente alla doglianza di cui sopra sub B.2., deve osservarsi, in riferimento all’eccepita nullità dell’ordinanza applicativa della misura, che il Tribunale ha fornito puntuale risposta all’eccezione come innanzi ad esso sollevata, e gli ulteriori rilievi proposti nel ricorso con richiamo a specifici atti cui faceva riferimento la memoria 01.09.2009 a firma del D.G. coinvolgono anche in questo caso la ricognizione e valutazione di elementi fattuali, che, non essendo stata sottoposta al Tribunale del riesame, non può essere fatta valere direttamente in questa sede.

Per quanto attiene alla eccepita nullità dell’ordinanza impugnata, per omessa valutazione di una memoria a firma dell’indagato prodotta all’udienza camerale e della favorevole documentazione prodotta dal P.M. alla stessa udienza, si osserva, in relazione alla anzidetta memoria, che i temi che ne costituivano oggetto, quali indicati nel ricorso, riguardano in sostanza l’attendibilità delle varie dichiarazioni accusatorie, che è stata accuratamente vagliata dal Tribunale, nè su tale vaglio sono state formulate in ricorso contestazioni corredate da riferimenti specifici e concreti. Circa la assunta favorevole documentazione prodotta dal P.M. alla udienza camerale, gli elementi indicati in ricorso riguardano in sostanza la ricostruzione dei fatti di cui ai capi d), e) ed f) della rubrica, su cui il Tribunale si è ampiamente soffermato nella sua motivazione, rispondendo in tal modo, anche se, talora, implicitamente, alle possibili ricostruzioni alternative, con conseguente esclusione, tanto più in mancanza di esplicite deduzioni formulate innanzi ad esso, di omissioni censurabili in questa sede.

Venendo al motivo di cui sopra sub B.3., e premesso che il Tribunale ha adeguatamente illustrato le ragioni di utilizzabilità delle registrazioni fra presenti acquisite in atti, anche in relazione a quelle in cui è coinvolto il Da. (sul cui ruolo si adombrano ancora nel ricorso generici e perplessi dubbi, non esaminabili come tali in questa sede), si rileva che il ricorrente, dolendosi del mancato vaglio della genuinità e attendibilità delle registrazioni in parola e della omessa spiegazione della loro ritenuta preminenza sulle dichiarazioni rese dagli stessi soggetti protagonisti delle conversazioni, da un lato mostra di censurare una omissione formale del provvedimento impugnato, che è smentita dal suo testuale tenore e, dall’altro, e implicitamente, esprime un dissenso nei confronti delle valutazioni operate dal Tribunale, che non può trovare ingresso in questa sede.

Nel motivo (di cui sopra sub B.4.) inerente al reato di cui al capo a) della rubrica, il ricorso denuncia presunte illogicità dell’ordinanza impugnata, la quale reca invece una coerente, precisa e articolata valutazione delle risultanze procedimentali, dando atto delle ragioni del valore attribuito a ciascuna di esse e della convergenza dei risultati verso l’effettività della indebita pressione esercitata dal D.G., con abuso della qualità consistito in minacce per le possibili conseguenze di una inchiesta coinvolgente un’azienda e i familiari della vittima, sul consigliere comunale T., perchè si dimettesse dalla carica e determinasse, in tal modo, anche per il particolare peso rivestito dal T., idoneo a influenzare anche la condotta di altri soggetti (al di là del formale ordine cronologico della esternazione delle scelte personali), la caduta del sindaco L., avversario politico del D.G.. Per quanto attiene al capo c) della rubrica, oggetto del motivo di cui sopra sub B.5., il ricorso sottolinea l’inverosimiglianza e inidoneità delle minacce formulate dall’indagato, l’estraneità di quest’ultimo e della vittima al procedimento relativo al complesso residenziale, e la mancata attuazione di quanto preteso dal D.G., laddove dalla non illogica motivazione dell’ordinanza impugnata emerge con chiarezza la effettività e l’entità del timore di D.B.M. (al di là del dato formale della dedotta imputazione al fratello delle violazioni contestate), suscitato dalla condotta del ricorrente, che faceva valere, con abuso della qualità di magistrato inquirente, la possibilità di influire sul collega B., titolare formale dell’inchiesta. Puramente assertiva e contrastante con le risultanze esposte nel provvedimento impugnato è poi la deduzione circa la mancata attuazione, da parte del D.B., di quanto preteso dal D.G..

Per quanto concerne la contestazione di cui al capo d) della rubrica, deve rilevarsi in via preliminare che non può condividersi la qualificazione del fatto che ne costituisce oggetto come corruzione in atti giudiziali Tale fattispecie criminosa, invero, presuppone uno dei fatti previsti dagli artt. 318 o 319 c.p. e si caratterizza per la relativa finalizzazione a favorire o danneggiare una parte del processo civile, penale o amministrativo. Ora, i fatti previsti dagli artt. 318 o 319 c.p. consistono nella condotta del pubblico ufficiale che, in vista o a cagione di un atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio, accetta la dazione o la promessa di una utilità. Poichè il dolo specifico che contrassegna il reato di cui all’art. 319 ter c.p. si connette, nella previsione di tale disposto, alla detta condotta, è da questa che deve discendere il prospettato vantaggio o danno alla parte di un processo. Nella specie, invece, il vantaggio alla parte P. non è direttamente collegato all’atto del p.u., consistente nell’attivazione per fare ottenere al D.F. l’accesso al fondo antiusura, bensì alla stessa "controprestazione", chiesta a quest’ultimo, di non inserire fra i soggetti denunciati per usura il detto P.. Tale situazione, pertanto, non rientra nello schema del reato contestato, come correttamente inteso sopra, essendo invece riconducibile alla corruzione ordinaria propria (stante la strumentalizzazione del potere discrezionale). Essendo però il fatto ascritto risalente al 2003, epoca in cui si verificò la "prestazione" del privato (non rilevando ai fini della consumazione la concretizzazione dell’attività del P.U.), lo stesso deve considerarsi, agli effetti dell’art. 273 c.p.p., comma 3, estinto, per il decorso del termine massimo di prescrizione di sette anni e mezzo. Ciò comporta l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e di quella genetica relativamente alla contestazione di cui al capo d), per il motivo suddetto (non potendosi, sulla base degli atti e dei motivi di ricorso – che restano così assorbiti – pervenire alla diretta rilevazione dei presupposti per l’esclusione della gravità indiziaria).

Parimenti estinto per prescrizione risulta il connesso reato di cui al capo e) della rubrica, per il quale anche, quindi, va parallelamente pronunciato l’annullamento di cui sopra, mancando anche qui i presupposti per pervenire alla rilevazione dei presupposti per l’esclusione della gravità indiziaria, posto che, in particolare, non costituisce ostacolo alla configurabilità del reato di favoreggiamento la non ancora avvenuta apertura di un procedimento penale a carico del soggetto favorito (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 1051 del 19/04/1990, dep. 30/01/1991, Bernardi, Rv. 186263). Non si ravvisano i presupposti, alla stregua della motivazione resa nell’ordinanza impugnata, per ritenere escluse o attenuate le esigenze cautelari per effetto degli annullamenti di cui sopra.

Anche per la contestazione di cui al capo f) della rubrica non può condividersi la qualificazione come corruzione in atti giudiziari.

Anche qui, infatti, il vantaggio alla parte D.G. non è direttamente collegato agli atti dei pp.uu., intesi a illecitamente favorire il C., bensì alla stessa "controprestazione", chiesta a quest’ultimo, di ritrattare le accuse nei confronti del D. G. e formulare accuse contro il L. nella vicenda che vedeva contrapposti i due soggetti. La qualificazione corretta appare quindi quella di corruzione propria ex art. 319 c.p.. Con riferimento al capo f), così come riqualificato, tuttavia, il proposto ricorso è idoneo a determinare l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Al di là, infatti, dei rilievi essenzialmente fattuali, relativi al lasso temporale intercorso fra l’accordo illecito e l’attuazione di talune delle "prestazioni" reciproche che ne erano oggetto, e ai dubbi sui reali termini della vicenda che vedeva contrapposto il D.G. al L. (che sarebbero comunque per sè inidonei a scriminare la pattuizione collusiva fra il ricorrente e il C.), non risulta indicato e motivato in modo chiaro nell’ordinanza impugnata l’elemento essenziale della consapevole adesione dei pp.uu. alla pattuizione illecita, nel senso che, al di là del pesante ascendente esercitato dal D.G. sugli stessi, non vengono evidenziati elementi atti a dimostrare che essi fossero a parte degli accordi fra il ricorrente e il C. e si siano quindi prestati alle condotte in favore di quest’ultimo in correlazione e adesione a tali accordi. Com’è noto, invero, il delitto di corruzione può sussistere se ed in quanto il patto di corruzione coinvolga il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio). Ne consegue che, ogni qual volta vi sia un intermediario, l’azione corruttrice deve essere accompagnata dal consenso del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) alla pattuizione illecita (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 277 del 01/02/1993, dep. 27/03/1993, Binasco, Rv. 194503).

Il giudice di rinvio dovrà quindi approfondire l’esame su tale punto e, all’esito, ove dovesse escludere l’ipotesi corruttiva, potrà prendere in considerazione la eventuale configurabilità di altre ipotesi criminose e le obiezioni già sollevate al riguardo nel proposto ricorso.

P.Q.M.

Qualificato il fatto contestato al capo d) della rubrica come reato di corruzione propria ex art. 319 c.p., annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, nonchè l’ordinanza del GIP del 10 novembre 2010 relativamente a detto reato e a quello di cui al capo e).

Qualificato il fatto contestato al capo f) della rubrica come reato di corruzione propria ex art. 319 c.p., annulla l’ordinanza impugnata relativamente a detto capo e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Potenza. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1/ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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