Cons. Stato Sez. VI, Sent., 14-07-2011, n. 4280 Vincoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero per i beni e le attività culturali riferisce che in data 2 aprile e 27 settembre 2007 il Comune di Jesolo rilasciò alla società S. R. s.r.l. due permessi di costruire: il primo relativo alle opere provvisionali propedeutiche per la realizzazione di un grande edificio a uso residenziale denominato "GHouse’; il secondo per la realizzazione del medesimo edificio.

Con provvedimento in data 18 marzo 2009, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici di Venezia e Laguna ordinava la sospensione dei lavori di realizzazione dell’edificio, rilevando: a) che l’intervento interessava un’area sottoposta a tutela ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera a) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 in quanto compreso nella fascia costiera dei 300metri e che, conseguentemente, richiedeva il rilascio di autorizzazione ai fini paesaggistici (autorizzazione fino a quel momento non rilasciata); b) che non potesse pervenirsi a conclusioni diverse in relazione al fatto che l’intervento doveva essere realizzato nell’ambito di una porzione del territorio comunale qualificata come "area di ricomposizione spaziale’.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto dalla S. R. s.r.l. con autonomo ricorso (allo stato ancora non definito).

Con atto in data 21 gennaio 2009, il Comune di Jesolo rilasciava in favore della S. R. s.r.l. un’autorizzazione ai fini paesaggistici ai sensi degli articoli 142 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Dall’esame dell’atto in questione emerge che esso aveva ad oggetto "lavori di definizione facciate, finiture e materiali e variante in corso d’opera al permesso di costruire (in data 27 settembre 2007) su edificio residenziale a torre GHouse – PIRUEA Marina".

Con provvedimento in data 25 febbraio 2010 (oggetto di impugnazione nell’abito del primo ricorso), il Soprintendente disponeva l’annullamento del nullaosta ai fini paesistici, rilevando:

– che l’edificio a torre all’origine dei fatti di causa ricadeva in un’area sottoposta a tutela ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. 42 del 2004, in quanto a meno di 300 metri dalla linea di battigia;

– che, secondo le informazioni in possesso della Soprintendenza, la realizzazione dell’edificio non era stata preceduta dal rilascio di un nullaosta ai fini paesaggistici e che pertanto era illegittima in quanto realizzata in violazione dell’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004;

– che la stessa Soprintendenza aveva già ordinato il 18 marzo 2009 la sospensione dei lavori di costruzione, perché illegittimi;

– che "è illegittimo autorizzare modifiche relative a un bene costruito in violazione di legge, e come tale abusivo".

L’atto della Soprintendenza veniva impugnato dalla S. R. s.r.l. dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, il quale, con la sentenza oggetto del presente appello, accoglieva il ricorso e lo annullava.

La sentenza veniva gravata in appello dal Ministero per i beni e le attività culturali, il quale ne chiedeva l’integrale riforma per plurimi motivi.

Con un primo ordine di motivi, il Ministero contesta la sentenza per la parte in cui ha ritenuto che il provvedimento comunale di autorizzazione paesaggistica non rendeva chiaro l’oggetto dei lavori autorizzati (rendendo necessaria un’operazione ermeneutica piuttosto complessa). Al contrario, l’atto rendeva chiaro che il titolo abilitativo riguardava unicamente lavori di integrazione e completamento di un edificio già in precedenza realizzato (ma mai autorizzato ai fini paesistici).

Oltretutto, la stessa istanza di parte era limitata ad alcuni aspetti complementari dell’opera (es.: facciate, materiali e finiture) e non all’opera in quanto tale.

Ancora, anche a considerare che con l’atto in data 21 dicembre 2009 il Comune aveva inteso sanare in qualche misura la già avvenuta, illegittima realizzazione dell’immobile, l’ipotesi era comunque da escludere, ostandovi il comma 12 dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Con un secondo ordine di motivi, l’appellante Amministrazione afferma che, anche ad ammettere che l’atto comunale 21 dicembre 2009 riguardava l’immobile nel suo complesso e non solo alcune sue parti, era comunque impossibile autorizzare l’edificazione ai fini paesaggistici, atteso che la stessa Soprintendenza aveva adottato il 18 marzo 2009 un ordine di sospensione dei lavori.

Secondo l’appellante Amministrazione, infatti, "sarebbe stato illegittimo autorizzare modifiche relative ad un bene oggetto della misura cautelare sopra indicata" (pag. 12 del ricorso in appello).

Con un terzo ordine di motivi, il Ministero per i beni e le attività culturali afferma che la sentenza è affetta da ultrapetizione per la parte in cui ha ritenuto che il ricorso di primo grado contro l’ordine di sospensione dei lavori del marzo 2009 resta "superato e assorbito" dalla pronuncia oggetto di gravame.

Sotto tale aspetto, l’Amministrazione si limita ad osservare che una siffatta domanda non era stata articolata in sede di ricorso e che, pertanto, la sentenza andava ultra petita.

Si costituiva in giudizio la S. R. s.r.l., che concludeva per il rigetto dell’appello.

In punto di fatto è rilevante osservare che con memoria in data 30 aprile 2011 la società appellata ha reso noto che nelle more del giudizio di appello la Soprintendenza ha rilasciato parere favorevole al nuovo progetto presentato dalla stessa e che, sulla scorta di tale parere favorevole, il Comune di Jesolo ha rilasciato una nuova autorizzazione paesaggistica (atto in data 28 aprile 2011).

All’udienza pubblica del 6 maggio 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

.1. Con il ricorso in epigrafe il Ministero per i beni e le attività culturali ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con cui è stato accolto il ricorso della S. R. s.r.l., ed è stato annullato il provvedimento della Soprintendenza per i BB.AA.PP. di Venezia e Laguna, con cui era stato annullata l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Jesolo per un immobile realizzato nell’ambito di zona qualificata di "ricomposizione spazialè dal pertinente P.R.G..

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Il thema decidendum consiste nello stabilire la corretta portata dell’autorizzazione comunale in data 21 dicembre 2009, che fu oggetto dell’impugnato annullamento soprintendentizio.

Secondo l’Amministrazione statale appellante, infatti, il complessivo tenore dell’atto di base depone nel senso che era riferito unicamente ad alcuni aspetti complementari dell’opera (es.: facciate, materiali e finiture) e non all’opera in quanto tale. Per conseguenza, l’atto di annullamento è legittimo perché è fondato sulla regola della non assentibilità di interventi complementari, quando l’opera di base mai è stata autorizzata ai fini paesaggistici (nonostante l’obbligo in tal senso).

Al contrario, la società appellata ritiene che la sentenza sia meritevole di conferma per la parte in cui ha ritenuto che l’atto comunale annullato era da riferire all’intervento nel suo complesso, con la conseguenza per cui il decreto del Soprintendente era fondato su un’erronea presupposizione in fatto.

2.2. Il Collegio ritiene che la sentenza merita integrale conferma, laddove ha osservato:

– che l’atto di base comunale 21 dicembre 2009 presentava elementi di parziale incongruenza, specie con riguardo alla discrasia fra l’oggetto (dove erano menzionati soltanto gli interventi complementari) e la motivazione (dove però emergeva con sufficiente chiarezza che l’atto di assenso era riferito all’intervento edilizio nel suo complesso);

– che, tuttavia, prevalenti elementi sistematici e testuali deponevano nel secondo senso (riferibilità dell’autorizzazione alla costruzione nel suo complesso);

– che, in particolare, convergenti elementi dirimenti, non controvertibili, sono rinvenibili nel parere della commissione paesaggistica dell’art. 6 l.r. Veneto 31 ottobre 1994, n. 63 (parere riportato in modo pressoché integrale nell’ambito del provvedimento in questione). L’atto aveva descritto analiticamente l’edificio residenziale a torre denominato "GHouse’, le sue caratteristiche compositive e strutturali e il suo inquadramento nell’ambito della fascia urbana a ridosso del litorale di Jesolo.

Del tutto inequivoca, al fine di comprendere l’oggetto effettivo dell’autorizzazione paesistica, è poi l’affermazione per cui "la proposta progettuale mira a caratterizzarsi rispetto all’intorno edificato con realizzazione di edificio a torre, ponendo la costruzione ad oltre 30 mt dal limite di proprietà e dal limite demaniale, per mantenere qualificativamente un ambito del territorio particolarmente interessante sotto il profilo ambientale, con soluzione progettuale che garantisca la vista dal mare".

Si tratta, rileva il Collegio, di osservazioni certamente riferibili alla costruzione a torre in quanto tale e non ad alcuni aspetti completivi e integrativi della stessa.

Una volta chiarito dunque che l’atto comunale di autorizzazione paesaggistica era riferito alla costruzione nel complesso, ne derivava che l’atto statale di annullamento era illegittimo per erronea presupposizione in fatto. Infatti, l’atto di annullamento soprintendentizio appare fondato pressoché esclusivamente sulla considerazione – esatta in diritto, ma travisante nella specie – che sarebbe illegittimo autorizzare interventi completivi relativi a un immobile ex se illegittimamente realizzato perché privo della necessaria autorizzazione paesaggistica.

Il punto è che questa motivazione si fonda su un dato di fatto e su una qualificazione formale evidentemente erronei, qual è il ritenere che il provvedimento comunale oggetto di esame riguardasse interventi di complemento alla costruzione di base e non (come in realtà era) la costruzione in quanto tale.

In definitiva, nell’annullare l’atto comunale di base, la Soprintendenza incentrava erroneamente la ritenuta sua illegittimità sull’errore del ritenere carente un provvedimento, che invece era proprio quello oggetto del suo vaglio.

2.3. I vizi rilevati sub 2.2. risultano idonei a supportare il rigetto dell’appello, e non rileva in contrario l’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Infatti, l’argomento dell’Amministrazione concernerebbe semmai la legittimità in se dell’atto comunale di autorizzazione e avrebbe dovuto essere esplicitato – se del caso – in sede di adozione dell’atto di annullamento; mentre è stato inammissibilmente speso per la prima volta nella presente sede giurisdizionale.

2.4. A conclusioni diverse non si giunge in relazione al fatto che l’atto statale di annullamento menziona espressamente l’atto 18 marzo 2009, con cui era stata ordinata la sospensione dei lavori per la ritenuta carenza dell’autorizzazione paesaggistica.

Al riguardo il Collegio osserva che il riferimento operato in sede provvedimentale all’ordine di sospensione del marzo 2010 non toglie il vizio di erronea presupposizione in fatto, ma ne aggrava la portata, perché la Soprintendenza avrebbe dovuto farsi carico di qualificare in modo corretto l’atto comunale del dicembre 2009 oggetto di esame (recante l’autorizzazione paesistica per l’immobile) e non limitarsi a rilevare la carenza di una siffatta autorizzazione.

2.5. Il Collegio osserva infine che non può trovare accoglimento la doglianza che il primo giudice avrebbe dichiarato -ultra petita – "superato ed assorbito" il ricorso avverso l’ordine di sospensione dei lavori. Infatti quel capo della sentenza presenta evidente carattere di obiter dictum, in quanto tale inidoneo a determinare l’autorità della cosa giudicata ( art. 2909 Cod. civ.; art. 324 Cod. proc. civ.).

Conseguentemente, il medesimo capo della sentenza non può determinare effettive conseguenze processuali sugli esiti del giudizio avverso il più volte richiamato provvedimento di sospensione dei lavori.

3. Per le ragioni sin qui esaminate, il ricorso in epigrafe va respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi, legati alla complessità della vicenda, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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