Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-11-2011, n. 25236 Azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Pizzeria da Enzo citò in giudizio la Caffetteria Roero perchè fosse accertata la culpa in contrahendo di quest’ultima oppure il suo grave inadempimento contrattuale e perchè questa stessa fosse condannata alla restituzione di una somma di danaro, oltre al risarcimento del danno. Costituitasi, la convenuta propose domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice al risarcimento del danno per mancata restituzione dei locali al termine del contratto d’affitto d’azienda.

Il Tribunale di Asti respinse la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale. La Corte d’appello di Torino ha respinto l’appello della Pizzeria da Enzo. Quest’ultima propone ricorso per cassazione attraverso cinque motivi. Risponde con controricorso la Armonie di Interni snc (già Abaci e Dona snc e prima ancora Caffetteria Roero snc).

Motivi della decisione

Il quesito che illustra il primo motivo chiede di sapere se la controparte abbia violato la regola dell’art. 1337 c.c. e se per questo debba essere condannata al risarcimento dei danni.

Il quesito relativo al secondo motivo chiede di sapere se la controparte sia inadempiente alle obbligazioni dell’art. 1575 c.c. e debba essere pertanto condannata al risarcimento dei danni.

Il quesito che correda il terzo motivo chiede di sapere se le scritture private del dicembre 1996 e del dicembre 1997 siano riferite alla stessa parte sostanziale e se questa sia legittimata alle azioni per responsabilità contrattuale o extracontrattuale riferite alle due menzionate scritture, nonchè all’azione di risarcimento del danno. Il quesito di cui al quarto motivo chiede di sapere se determinati documenti prodotti dalla ricorrente e provenienti dalla controparte costituiscano rinnovo del contratto e se, pertanto, la Caffetteria Roero debba essere dichiarata inadempiente e condannata al risarcimento del danno. Il quesito posto ad illustrare il quinto motivo chiede di sapere se: esista un’azienda da restituire dal conduttore al locatore in assenza di avviamento, beni mobili ed autorizzazioni amministrative; la Pizzeria da Enzo dovesse restituire alla controparte un’azienda come prevista dall’art. 2555 c.c.; il giudice d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento della consistenza dei beni locati e di condanna della conduttrice alla restituzione dei medesimi; se il giudice d’appello abbia violato i canoni sulla prova nel valutare determinati documenti prodotti dall’attrice in primo grado; i giudici di entrambi i gradi del merito abbiano violato gli artt. 113, 114 e 339 c.p.c.; entrambi i giudici del merito abbiano omesso la motivazione circa l’accertamento della mancata restituzione dei beni locati, del conseguente inadempimento del conduttore, dell’accertamento del valore di quei beni e della conseguente condanna al risarcimento del danno. Occorre innanzitutto porre in evidenza che, in ragione della data di deposito della sentenza impugnata (11 maggio 2006), i quesiti sono posti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Va, allora, ricordato che la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione denunziata, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. S.U. n. 19444/09) e che, inoltre, il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; sicchè, è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. S.U. n. 26020/08). Alla luce dei principi finora enunciati è evidente, in primo luogo, che i quesiti proposti dalla ricorrente (come sopra letteralmente trascritti) non sono dotati dei requisiti dell’originalità, dell’autosufficienza e della sintesi, nè sono diretti a consentire alla Corte di legittimità di esprimere una generale regola di diritto, ma sono, piuttosto, tautologicamente diretti ad ottenere risposte che riguardano la singola vicenda trattata, senza contenere alcun cenno della vicenda stessa e senza neppure porre in evidenza l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice del merito.

In secondo luogo, il tenore dei quesiti (ed ancor maggiormente dei motivi di cui essi costituiscono il corredo) dimostrano che la ricorrente concepisce il ricorso per cassazione come un terzo grado del giudizio di merito, in cui, invece che discutersi di violazione di legge commessa dal giudice del merito, o di vizio del procedimento o della motivazione espressa dalla sentenza impugnata, si ripropongono una serie di questioni di fatto, oppure valutazioni della prova, interpretazioni degli atti ed accertamenti alternativi rispetto a quelli ai quali è pervenuto il giudice a quo.

Tali considerazioni comportano la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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