Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-06-2011) 12-07-2011, n. 27148 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.A. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 19 ottobre 2010 della Corte di appello di Bari (che ha confermato la sentenza di condanna 29 gennaio 2010 del Tribunale di Foggia per il delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) le conformi decisioni dei giudici di merito.

C.A. è stato tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Foggia per rispondere del reato di illecita detenzione di 94 gr. di eroina, 77 gr. di cocaina, 92 gr. di cocaina, 46 gr. di marijuana e 22 gr. di marijuana ripartita in confezioni distinte e occultate in vari posti della sua abitazione.

Giudicato con rito dibattimentale, l’imputato è stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione ed Euro 20.000 di multa (p.b. 6 anni ed Euro 30.000 – 1/3 per attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva), con confisca e distruzione della droga e del bilancino sequestrati.

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto appello, sostenendo che l’intero quantitativo di droghe, rinvenutegli in casa, era destinato a suo uso personale, e comunque trattavasi di fatto lieve D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5; in subordine ha chiesto ridursi la pena inflitta, perchè il giudizio si sarebbe dovuto svolgere nelle forme del giudizio abbreviato, e non dibattimentale, con conseguente riduzione di un terzo della pena finale.

La Corte di appello, con la gravata sentenza, ha ritenuto la colpevolezza dell’ imputato il quale deteneva i vari quantitativi di droghe di diversa specie in barattoli e altri involucri, occultati in vari posti di casa sua e del giardino pertinenziale.

La varietà delle droghe, la loro partizione, l’occultamento in posti anche abbastanza difficilmente accessibili (ad es. nel tubo pluviale della veranda), e lo stesso dato ponderale piuttosto rilevante nel complesso, sono stati considerati dai giudici di merito indici positivi della destinazione non ad uso personale di tutte tali sostanze, con esclusione della loro riconducibilità alla ipotesi attenuata ex art. 73, comma 5, che viceversa presupporrebbe quantitativi molto più contenuti e modalità di detenzione meno callide, si da connotare la condotta del detentore in termini di scarsa offensività concreta: indicatori favorevoli ritenuti nella specie non ricorrenti.

La corte distrettuale ha altresì ritenuto infondata la deduzione difesa secondo cui l’imputato sarebbe stato pregiudicato ingiustamente da una supposta "mancata celebrazione del giudizio abbreviato", sicchè comunque in appello si sarebbe dovuto ridurre di un terzo la sanzione da irrogare.

La difesa del C. infatti aveva chiesto la trattazione di un giudizio abbreviato, condizionato all’espletamento di una perizia sul bilancino rinvenuto e sequestrato nell’ abitazione di costui, onde stabilire se esso fosse "di precisione" o meno.

Per delibare su tale richiesta era stata fissata apposita udienza camerale (ud. 10/11/09), e il G.I.P. ritenendo superflua tale richiesta nell’ economia generale degli atti già assunti, l’ha rigettata.

La Corte di appello, valorizzando la testuale circostanza verbalizzata, secondo cui "l’imputato non avanza altra richiesta" ha considerato che il G.I.P., dichiarando concluso l’adempimento relativo alla richiesta del rito condizionato, ha correttamente disposto il giudizio immediato e al dibattimento la difesa ha prestato il consenso all’acquisizione del fascicolo del P.M..

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della ritenuta detenzione dello stupefacente con finalità di spaccio, la quale sarebbe stata apoditticamente affermata senza ragionevole giustificazione e sulla scorta di massime di comune esperienza inaccettabili e prive di plausibilità.

Con un secondo motivo si lamenta ancora difetto di motivazione in ordine alla esclusione dell’invocata ipotesi attenuata D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, per la quale vi era stata una puntuale critica in appello, non considerata dalla corte distrettuale.

Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge non avendo la Corte di appello ammesso la chiesta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sulla qualità (di precisione o meno) del bilancino sottoposto a sequestro.

Con un quarto motivo si evidenzia, riprendendo la critica del 2^ motivo che l’ipotesi attenuata del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 è stata esclusa con solo riferimento al dato quantitativo.

Con un quinto motivo si sostiene assenza di motivazione sul punto della mancata valutazione da parte della Corte di appello dell’operato del primo giudice il quale ha ritenuto che il consenso all’acquisizione degli atti del fascicolo delle indagini preliminari equivalesse alla rinuncia della richiesta di giudizio abbreviato condizionato.

Nessuno dei cinque motivi, non organicamente proposti, supera la soglia dell’ammissibilità.

Il primo, il secondo ed il quarto motivo sono palesemente inammissibili per più profili: in parte per la loro palese infondatezza e per il resto per la loro inammissibilità.

Quanto alla responsabilità, le doglianze formulate tendono ad esigere dalla Corte di legittimità una rivalutazione dei dati probatori, quali correttamente prospettati ed argomentati dalla doppia conforme pronuncia di condanna, basata su di una motivazione indenne da vizi od illogicità apprezzabili in questa sede.

Per ciò che attiene al secondo ed al quarto motivo, contrariamente all’assunto del ricorrente esiste una precisa e diffusa risposta della Corte di appello che assorbe ogni possibile diversa e più favorevole spiegazione, comunque idonea ad escludere la levità dei fatti alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Il terzo motivo è del pari inammissibile.

E’ noto che "il diritto della parte a vedersi ammettere prove contrastanti con l’accusa, la cui mancata assunzione è denunciabile con ricorso per Cassazione ex art. 606 c.p.p., lett. d) in relazione all’art. 495 c.p.p., comma 2 (o art. 603 c.p.p. in appello), va rapportato, per verificarne il fondamento alla motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che è priva di fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul punto, della istanza difensiva, se tale rigetto – come nella specie – risulti sorretto da argomentazioni logiche, idonee a dimostrare che le cosiddette controprove, dedotte dalla parte, non possono modificare il peso delle prove di accusa" (cfr. Cass. Penale sez. sez. 2, 16354/2006).

Il quinto motivo è palesemente privo di fondamento.

In caso di richiesta di giudizio abbreviato dell’imputato, subordinata ad integrazione probatoria, al giudice è demandato il controllo sulla fondatezza della domanda al fine di verifica re se l’integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale del rito.

All’esito di tale controllo, non è riconosciuta altra soluzione tra quella dell’accoglimento o quella del rigetto dell’istanza, non avendo il giudice il potere di modificare i termini della condizione apposta dall’imputato.

Inoltre, quando sia stata rigettata da parte del giudice dell’udienza preliminare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, e la detta richiesta non venga riproposta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169/2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 438 c.p.p., comma 6), resta preclusa la possibilità di applicare, all’esito del giudizio celebratosi nelle forme ordinarie, la riduzione di pena di cui all’art. 442 c.p.p. (Cass. pen. sez. 4, 22154/2008.Rv. 240019).

Il ricorso quindi, nella palese verificata coerenza logico-giuridica ed adeguatezza della motivazione, quale proposta nella decisione impugnata, va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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