Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 12-07-2011, n. 27132

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, sull’appello dell’imputata S.S., riformava la sentenza del Tribunale della stessa città, assolvendo la predetta dal reato di calunnia, perchè il fatto non costituisce reato.

La S. era chiamata a rispondere di aver falsamente accusato in una lettera trasmessa al Comandante dell’Arma il maggiore dei Carabinieri C.C., che sapeva innocente, di abusi ai danni della sua famiglia.

La Corte di appello, investita dell’appello dell’imputata in ordine all’elemento soggettivo del reato, dopo aver premesso che la lettera in questione non rientrava tra gli atti indicati dall’art. 368 cod. pen. e che in essa non venivano rappresentate condotte costituenti reato, quanto piuttosto comportamenti di rilevanza disciplinare, tant’è che nessun procedimento penale risulta avviato a carico del C., riteneva che non era stata raggiunta la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo, per l’esistenza di una situazione pregressa di ripicche e contro ripicche, di denunce e controdenunce, tali da far sorgere il sospetto di una presunta benevolenza da parte dell’autorità giudiziaria nei confronti del C. e di una presunta prevaricazione di quest’ultimo, per il ruolo rivestito, nei confronti dell’imputata.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore della parte civile, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per manifesta illogicità, in quanto dopo aver escluso la sussistenza della condotta materiale del reato ascritto all’imputata, con un evidente salto logico, ha assolto l’imputata per mancanza del dolo;

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione, in quanto, trattandosi di sentenza di riforma, il giudice dell’appello avrebbe dovuto motivare le ragioni del dissenso con le conclusioni raggiunte dal primo giudice, soffermandosi sulla valutazione delle prove e delle circostanze di fatto acquisite;

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 368 c.p., in relazione alle erronee affermazioni, in relazione sia all’inidoneità della lettera inviata dall’imputata ad integrare il reato di calunnia, essendo al contrario sufficiente qualsiasi atto con cui è investita della conoscenza di un reato l’autorità giudiziaria ovvero un’autorità avente l’obbligo di riferire a quest’ultima; sia all’inidoneità della condotta, considerato invece il numero dei reati attribuiti al C. e la circostanza che la norma richiede soltanto l’astratta possibilità dell’inizio di un procedimento penale. Quanto infine all’elemento psicologico, la Corte avrebbe erroneamente valorizzato la pregressa situazione di conflittualità tra i due soggetti, che, di per sè, non vale ad escludere la consapevolezza dell’innocenza del denunciato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

2. Va preliminarmente osservato che, contrariamente a quanto affermato in premessa dalla Corte di merito, la condotta ascritta alla S. integra dal punto di vista oggettivo la fattispecie delittuosa di cui all’art. 368 cod. pen. sia per la forma in cui si è estrinsecata la falsa incolpazione sia per rilevanza penale dei fatti attribuiti alla persona offesa.

Vale la pena ricordare che la denuncia calunniosa va ravvisata in qualsiasi dichiarazione fatta davanti alla autorità giudiziaria o ad altra autorità che ad essa abbia il dovere di riferire. La lettera e lo spirito della disposizione contenuta nell’art. 368 c.p., infatti, non permettono che sia da considerare denunzia soltanto quell’atto compiuto col rispetto di determinate forme, stante che, a termini dell’art. 333 c.p.p., non è prescritta una particolare forma per la denuncia. Se ne deve concludere che è indifferente la maniera con la quale l’agente porti la falsa incolpazione a conoscenza della autorità giudiziaria. E tale deve considerarsi anche l’esposto presentato dalla S. al Generale Capo dell’Arma dei Carabinieri.

La circostanza poi che, alla presentazione dell’esposto, non sia seguita alcuna iniziativa giudiziaria a carico dell’incolpato non costituisce elemento che di per sè esclude l’offensività della condotta. Va ribadito che l’inverosimiglianza di un fatto denunciato impedisce la consumazione del delitto di calunnia, solo quando la denuncia appaia, sin dal principio, assolutamente inidonea a determinare la semplice possibilità dell’inizio di un procedimento penale o di indagini di polizia giudiziaria; risultando, invece, irrilevante, ai fini della configurabilità della fattispecie criminosa, che nessun procedimento penale o nessuna indagine preliminare sia stata concretamente promossa.

Nel caso in esame, la falsa incolpazione aveva ad oggetto, all’evidenza, fatti e circostanze astrattamente inquadrabili nelle fattispecie di abuso di ufficio e tentata concussione.

3. Ciò premesso, la motivazione della sentenza impugnata presta il fianco alle censure dedotte nel ricorso, quanto alla valutazione della mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

Appare evidente infatti la violazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale la decisione del giudice di appello, che comporti la totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. La diversa spiegazione di un fatto non può semplicemente basarsi sulla mera possibile alternativa, disancorata dalla realtà processuale, ma deve fondarsi su specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un "iter" logico cui si pervenga senza affermazioni apodittiche, ma nelle forme corrette del ragionamento (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679).

Orbene, non è dato rinvenire nella motivazione della impugnata decisione alcun cenno alle ragioni che avevano determinato il primo giudice a ritenere provato il dolo dell’imputata (caratterizzate, peraltro, da un solido impianto argomentativo), nè risultano delineate le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, risolvendosi la riforma in una indimostrata affermazione circa il mancato raggiungimento della prova dell’esistenza del dolo.

4. I rilevati vizi della sentenza impugnata ne impongono pertanto l’annullamento, ex art. 622 cod. proc. pen., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, al quale viene altresì demandata ogni decisione circa la liquidazione, tra le parti, delle spese relative al presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *