Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con decreto in data 4.5.2010 la Corte di appello di Roma confermava il provvedimento con il quale in data 25.1.2010 il Tribunale della stessa città aveva applicato a D.D.B. G. la misura della prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di (OMISSIS), per la durata di anni quattro, ai sensi della L. n. 1423 del 1956.
La Corte territoriale – condividendo la valutazione del giudice di primo grado che richiamava – affermava la sussistenza di elementi di fatto idonei a ritenere l’attuale pericolosità sociale del proposto, gravato da innumerevoli precedenti penali relativi a reati contro il patrimonio (furti e rapine), omicidio, violazioni in materia di armi e di sostanze stupefacenti, evasione, commessi tra il (OMISSIS). Risultava, altresì, la pendenza a carico del predetto di tre procedimenti per i reati di rapina aggravata, commessi tra il (OMISSIS), per uno dei quali era intervenuta condanna di primo grado; inoltre, il proposto non svolgeva alcuna attività lecita e frequentava soggetti pregiudicati. Pertanto, anche la determinazione della durata della misura e l’applicazione dell’obbligo di soggiorno, ad avviso della Corte di appello, devono ritenersi adeguatamente proporzionati alla elevata pericolosità manifestata dal D.D. B. dalla quale deriva l’esigenza di contenere e limitare i movimenti sul territorio al fine di una efficace vigilanza da parte dell’autorità competente per il controllo.
Quanto alla eccepita mancanza di legittimazione dell’autorità proponente, fondata sulla prospettata incompetenza del Procuratore della Repubblica di Velletri, in ragione della errata individuazione del luogo di dimora, la Corte affermava che il proposto risulta essere residente a (OMISSIS), luogo in cui aveva avuto dimora negli ultimi sei anni, nè, d’altro canto, la difesa aveva documentato circostanze diverse; del resto, evidenziava ancora la Corte, il D. D.B. negli ultimi anni era stato quasi sempre in stato di detenzione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il D.D.B., personalmente, deducendo con il primo motivo la violazione di legge in relazione alla già eccepita inammissibilità della proposta di applicazione della misura di prevenzione perchè avanzata dal Procuratore della Repubblica di Velletri incompetente. Infatti, erroneamente è stato ritenuto che il proposto aveva dimora in (OMISSIS), atteso che lo stesso è stato ivi residente soltanto dal 19.7.2004 al 20.9.2007 e, d’altro canto, tutte le condotte illecite poste a fondamento della ritenuta pericolosità erano state poste in essere in (OMISSIS) e zone limitrofe.
Con il secondo motivo di ricorso contesta la violazione di legge in ordine all’applicazione della misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, atteso che detta misura presuppone una pericolosità particolarmente elevata, tale da ravvisare la necessità di porre limitazioni alla libera circolazione; detto presupposto nella specie, ad avviso del ricorrente, non è ravvisabile tenuto conto della assoluta mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata e della riconducibilità delle condotte alle condizioni di vita ed allo stato di tossicodipendenza del proposto.
Infine, contesta la sussistenza dei presupposti necessari per l’applicazione della misura di prevenzione per la durata di anni quattro, alla luce della genericità delle valutazioni della Corte territoriale; delle inesattezze contenute nelle informative della p.s. e della omessa indicazione delle circostanze di fatto dalle quali è stata tratta l’asserita frequentazione di soggetti pregiudicati.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso, preliminare ed assorbente, è fondato nei termini di seguito precisati.
1. Il procedimento di prevenzione, funzionale all’applicazione di misura sia ai sensi della L. n. 1423 del 1956 che ai sensi della L. n. 575 del 1965 ha sempre inizio con l’atto di proposta avanzata del titolare dell’azione di prevenzione.
Come è noto, il testo originario della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 estese il potere di proposta, concesso dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4 unicamente al questore, al Procuratore della Repubblica solo relativamente alle persone indicate nella stessa L. c.d. antimafia, art. 1. Successivamente, con l’emanazione della L. 22 maggio 1975, n. 152, e, più precisamente, con gli artt. 18 e 19, tale facoltà è stata ampliata ed estesa alle persone indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 2, 3 e 4 (ora numeri 1 e 2 per effetto della L. n. 327 del 1988, art. 2) oltre che a tutti i soggetti elencati nel citato art. 18.
Non avendo previsto nulla specificamente in ordine alla individuazione del pubblico ministero competente il testo originario della cit. L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2, poichè la competenza del pubblico ministero nel codice di rito del 1930 non era autonomamente attribuita ma era riflessa e derivata da quella dell’organo giurisdizionale presso il quale esercita le sue funzioni, la giurisprudenza di legittimità costantemente affermava che la competenza, di natura funzionale, a formulare la proposta per l’applicazione della misura di prevenzione spettava al pubblico ministero presso il tribunale competente ad applicare la misura, ossia al Tribunale con sede nel capoluogo di provincia ove la persona ritenuta pericolosa dimora (L. n. 1423 del 1956, art. 4), con esclusione, quindi, del pubblico ministero presso altro tribunale della stessa provincia. Anche il codice di rito vigente, del resto, espressamente ha attribuito la funzione di pubblico ministero all’ufficio di procura presso il giudice competente (art. 51 c.p.p., comma 3). Tuttavia, il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 20, conv. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, ha sostituito la L. n. 575 del 1965, art. 2 ed ha attribuito la competenza al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona; sicchè, risultava esclusa per la proposta la competenza del pubblico ministero presso il Tribunale capoluogo di provincia, tranne, ovviamente, il caso in cui il circondario coincida con quello del Tribunale con sede nel capoluogo di provincia.
Su tale quadro normativo è intervenuto il legislatore col D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con la L. 24 luglio 2008, n. 125, disponendo con il nuovo testo della L. n. 575 del 1965, art. 2: "Nei confronti delle persone indicate all’articolo 1 possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia.". Quindi, in tema di proposta di misure personali ai sensi della L. n. 575 del 1965, c.d. antimafia, la competenza è stata concentrata in capo al pubblico ministero distrettuale, che sostituisce i singoli procuratori circondariali del distretto, ferma restando la competenza del Tribunale del capoluogo di provincia. Il Procuratore del circondario rimane, invece, competente per le proposte di cui alla L. n. 1423 del 1956 (c.d. pericoiosità comune), come espressamente ribadito anche dal testo novellato della L. n. 152 del 1975, art. 19: "Le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 1) e 2).
Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona". 2. Ancora, è opportuno ricordare l’assoluta peculiarità del procedimento di prevenzione all’interno del quale il potere di iniziativa del pubblico ministero territorialmente competente è stato disegnato in termini funzionali e inderogabili.
Pertanto, come è stato più volte affermato, l’incompetenza dell’autorità proponente determina l’inammissibilità della proposta per carenza di legittimazione, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento di prevenzione (S.U. n.5, 20/06/1990, Corica, rv. 185283; Sez. 1, n. 49994, 27/11/2009, Gioia, rv. 245973).
3. Orbene, ai fini della determinazione del contenuto concettuale della nozione di dimora indicata dalle norme innanzi richiamate è stato pressochè costantemente ritenuto che occorra avere riguardo ai presupposti ed agli scopi della L. n. 1423 del 1956 che, così come in ordine alla L. n. 575 del 1965, sono correlati alla pericolosità sociale del soggetto ed al luogo ove essa si manifesta e trova alimento.
Sicchè per dimora deve intendersi, ai fini della prevenzione, superando gli angusti limiti di tale concetto in senso civilistico, il luogo in cui il soggetto proposto ha tenuto comportamenti sintomatici di tale sua pericolosità, traendo vantaggi per la propria attività. Non avendo, pertanto, rilevanza lo spazio anagrafico di residenza, non assumono rilievo nè le risultanze anagrafiche nè la considerazione del luogo ove la persona vive abitualmente, bensì lo spazio geografico ambientale nel quale il soggetto manifesta comportamenti socialmente pericolosi, idonei, come si premetteva, a costituire elementi sintomatici della sua pericolosità. Il riferimento del legislatore al concetto di dimora va inteso rimarcando la realtà ed effettività del rapporto del soggetto proposto con il territorio, anche prescindendo dalle risultanze anagrafiche e tenuto conto delle finalità della legge che, all’evidenza, rinviano all’esigenza di prevenzione di manifestazioni di pericolosità del proposto nel contesto territoriale al quale la pericolosità è legata e nel quale trova alimento e potenziamento.
Tali principi sono stati affermati e ribaditi da questa Corte sia con riferimento alla Individuazione dell’autorità competente per la proposta di applicazione della misura di prevenzione, sia avuto riguardo alla competenza territoriale del Tribunale chiamato a decidere sulla proposta (Sez. U, n. 18, 03/07/1996, Simonelli, rv.
205259, secondo cui la competenza per territorio a decidere in materia di applicazione di misure di prevenzione spetta al tribunale del capoluogo della provincia nella quale il proposto ha la sua dimora la quale, anche se non coincidente con la residenza anagrafica, va individuata nel luogo in cui il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici idonei a lasciar desumere la sua pericolosità, a nulla rilevando eventuali modificazioni intervenute successivamente alla proposta di applicazione della misura; Sez. 1, n. 3837, 26/05/2000, Mincuzzi, rv. 216289; Sez. 6, n. 21710, 14/04/2003, Buonanno, rv. 225687; Sez. 5, n. 19067, 31/03/2010, Gagliano, rv. 247504). E nell’ipotesi di una pluralità di condotte pericolose poste in essere in luoghi diversi, la competenza si determina in base al luogo in cui si sono verificate quelle di maggiore spessore e rilevanza.
4. Ribaditi tali principi di diritto, deve rilevarsi che in ordine alla eccepita incompetenza dell’autorità proponente, Procuratore della repubblica di Velletri, nel decreto impugnato la Corte territoriale ha evidenziato soltanto che il proposto risulta essere residente a (OMISSIS), luogo in cui si trova anche l’ultima ed unica dimora conosciuta negli ultimi sei anni, e che il D.D.B. negli ultimi anni era stato quasi sempre in stato di detenzione.
La Corte di merito, pertanto, ha omesso qualsivoglia valutazione in ordine al luogo in cui si è manifestata la pericolosltà sociale del proposto, in specie con riferimento all’epoca nella quale è stata avanzata la proposta di applicazione della misura di prevenzione, sebbene la difesa del ricorrente avesse rappresentato che il D.D. B. aveva radicato la propria esistenza e posto in essere la quasi totalità delle condotte illecite nel territorio di (OMISSIS) e dintorni, come rilevabile dal certificato penale in atti.
Conseguentemente, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Roma per nuovo esame sul punto.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Roma.
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