Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2011) 12-07-2011, n. 27232 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione D.S. avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo in data 29 dicembre 2010 con la quale è stata confermata l’ordinanza del locale Gip, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione alla contestazione di appartenenza – con funzioni direttive – alla associazione mafiosa denominata "cosa nostra", nella articolazione della famiglia di T., fatti successivi al 2001.

Il Tribunale individuava i gravi indizi di colpevolezza nelle dichiarazioni accusatorie di due collaboratori di giustizia, P. e B. (i quali avevano cominciato a rendere le loro accuse nel 2007 e nel 2009, rispettivamente) – dichiarazioni ritenute capaci di riscontrarsi vicendevolmente.

Deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione.

Il Tribunale non avrebbe risposto ai rilievi della difesa riguardo al carattere vago e generico degli indizi raccolti, tali dunque da far ritenere non rispettato il dovere di individuazione dei riscontri, di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4.

Ugualmente non rispettato sarebbe il dovere di verificare la tenuta delle dichiarazioni vere rispetto a quelle non riscontrate, secondo il criterio della "frazionabilità" elaborato dalla giurisprudenza di legittimità.

Non risulterebbe logico, in primo luogo, il criterio in base al quale il P., ritenuto attendibile nel processo relativo al summit cui partecipò con L.P., dovrebbe automaticamente ritenersi attendibile anche nel procedimento in esame.

Ugualmente illogico è il ragionamento fatto sulla attendibilità intrinseca di B..

Ancora, la difesa sottolinea la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato che, da un lato, riconosce che P. ha reso dichiarazioni "de relato" (sui fatti appresi da L.P.) ma, dall’altro, finisce per sostenere che P. rivelò fatti appresi in base ad una diretta cognizione.

Comunque, prosegue la difesa, anche gli eventi narrati "de relato" sarebbero generici.

Infatti il P. ha raccontato che il ricorrente non poteva rivolgersi direttamente al capo L.P.S., ma solo a D.M.G., così dimostrando l’assenza di caratura mafiosa delle ricorrente stesso.

Questi doveva invero ritenersi chiamato in causa solo per l’appartenenza alla famiglia di sangue dei D., famiglia che in passato aveva annoverato personaggi coinvolti in fatti di mafia.

E’poi da escludere, alla luce della rilettura delle dichiarazioni del P., che costui abbia raccontato alcunchè di percepito personalmente.

D’altra parte il P. aveva riferito, a titolo di esempio, il fatto dell’intervento richiesto al ricorrente da L.P.S. per far avere un certo sconto ad una festa nuziale. Ebbene il D. se n’era dimenticato e tale evento, se il D. fosse stato un vero mafioso, sarebbe stato considerato un "affronto" diretto ai L.P., da far pagare in qualche modo.

B., dal canto suo, si era lungamente rifiutato, con gli inquirenti, di parlare di fatti di mafia coinvolgenti il D..

Solo al terzo interrogatorio, aveva parlato di un certo episodio di estorsione ( S.), chiamando in causa il ricorrente ed anche P. che però, sul punto, nulla aveva dichiarato così smentendo implicitamente il B..

Anche l’episodio della "messa a posto" di una ditta di Terrasini ad opera di D., narrato da B., non ha trovato riscontri ed anzi è in contrasto con precedenti dichiarazioni.

In passato, infatti, il B. aveva sostenuto di non avere mai parlato con il ricorrente di questioni mafiose, mentre, con riferimento alla ditta di Terrasini, aveva sostenuto di avere consegnato D. la somma di Euro 2000 ricevuta dal titolare dell’impresa a titolo di "pizzo".

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il ragionamento esibito dal tribunale a giustificazione della decisione adottata è logico, completo e del tutto in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza.

Esso si sottrae pertanto alle censure mosse dal ricorrente.

In primo luogo deve ritenersi condotto ritualmente il vaglio sulla attendibilità intrinseca dei dichiaranti.

Questa è stata desunta sia da conformi attestati di altre autorità giudiziarie che da eventi che hanno consentito fondatamente al giudice a quo di ritenere la rilevanza del P. nel nuovo organigramma della organizzazione mafiosa facente capo ai L. P..

D’altra parte è da escludere la contraddittorietà della motivazione che la difesa ha denunciato con riferimento all’avere, il tribunale, attribuito al P. ora dichiarazioni definite "de relato" ora dichiarazioni invece qualificate come frutto di conoscenza diretta.

Il chiaro e logico significato delle osservazioni del tribunale è nel senso di sostenere che P. aveva appreso, sì, circostanze riferitegli da L.P. durante la comune latitanza: ma tuttavia, a causa dell’importante ruolo di vertice avuto dal P. nel periodo in cui si afferma la partecipazione anche del D., lo aveva reso fonte di una conoscenza "specifica" per il costante suo accesso alle sfere decisionali più alte di cosa nostra, visto anche il rapporto organico e fiduciario con L.P.. In altri termini, correttamente il tribunale ha attribuito speciale rilevanza indiziante alle dichiarazioni accusatorie del P., ritenendole "qualificate" in ragione della peculiare caratura mafiosa del dichiarante il quale, proprio in ragione della posizione rivestita, godeva di un patrimonio di conoscenze particolarmente affidabile. Le ulteriori osservazioni della difesa, d’altro canto, si risolvono in sollecitazioni – rivolte inammissibilmente a questo giudice della legittimità – ad effettuare rinnovate valutazioni delle emergenza indizianti, valutazioni invero già effettuate dal giudice di merito in maniera plausibile e completa.

I particolari sui contatti (e sulle relative modalità) concernenti D. e L.P., o sull’esito di interessamenti richiestigli non possono certo essere devoluti alla cognizione della cassazione la quale è soltanto deputata a controllare che la decisione del giudice del merito, anche se non fosse l’unica plausibile, sia tuttavia sorretta da una struttura razionale e non si esponga a denunzie di incompletezza sui fatti decisivi.

Per tali ragioni il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Manda la cancelleria delle comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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