Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2011) 12-07-2011, n. 27231

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Caltanissetta, con ordinanza del 30 novembre 2010, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di C.N., indagato per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, avverso l’ordinanza del 20 ottobre 2010 del GIP del medesimo Tribunale con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca della misura personale della custodia cautelare in carcere.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando, in primis, una violazione di legge e una contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta mancanza di novità nei diversi elementi proposti dalla difesa per superare il giudicato cautelare di cui al precedente procedimento, conclusosi presso questa Corte in relazione alla presunta appartenenza del ricorrente all’associazione criminosa di stampo mafioso; secondariamente una violazione delle norme di rito in relazione all’assunzione della prova testimoniale di tale P.E..

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.

2. In primo luogo e in diritto, sul punto dell’immutabilità assoluta del cd. giudicato cautelare in difetto di novum si osserva come, a partire dalle Sezioni Unite 19 dicembre 2006 n. 1435 e da ultimo fino a Sez. 6 22 aprile 2010 n. 17269 si affermi, dalla pacifica giurisprudenza di legittimità, come tale preclusione di natura endoprocessuale allo stato degli atti e per il cd. dedotto, avente pertanto minore efficacia rispetto al giudicato di merito, possa sicuramente essere superata dall’evidenziazione di nuove circostanze, rientranti nella nozione delle questioni non soltanto dedotte bensì meramente deducibili nella sede cautelare, idonee a provocare una riconsiderazione della precedente decisione.

Nella specie, questa volta in fatto, il preteso novum, costituito dalle dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia ( B. C.) in altro procedimento penale nonchè dall’esito di un incidente probatorio (con l’audizione dei collaboratori di giustizia S.C., Po.Pa. e P.E.) è stato esaminato in maniera approfondita (v. pagine 4-10 dell’impugnata ordinanza) e, poi, correttamente valutato dai Giudici del merito, con motivazione pienamente logica per cui non è consentito a questa Corte di legittimità di procedere ad una rilettura degli atti processuali e quindi del fatto stesso.

Nè può dirsi sussistente il preteso travisamento della prova (v. pagina 7 del ricorso) posto che proprio sulla scorta della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. 3 7 ottobre 2009 n. 46451 e Sez. 6 24 febbraio 2010 n. 18491), nella specie, non ci si trova di fronte alla valutazione di una prova inesistente ovvero ad un risultato della prova incontestabilmente diverso da quello reale.

Giova, poi, rammentare in diritto, come il delitto di associazione per delinquere implichi un accordo fra almeno tre persone, con ripartizione di compiti tra gli associati in relazione alla realizzazione di un programma indeterminato di reati e predisposizione di una struttura organizzativa almeno rudimentale, atta a fornire stabile supporto alle singole deliberazioni criminose.

Ai fini della configurabilità del reato in esame, il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale tra gli associati, essendo sufficiente che questi, anche in assenza di un espresso accordo, siano portati ad operare nella consapevolezza che la propria e l’altrui attività ricevono vicendevole ausilio per l’attuazione del programma criminale (v. di recente, Cass. Sez. 6 17 giugno 2009 n. 40505).

Dal punto di vista della struttura non è, poi, richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione, dotata di notevoli disponibilità economiche e di imponenti strumenti operativi, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune.

Ferma l’autonomia rispetto ai reati fini commessi in attuazione del programma, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli autori, dall’uniformità delle condotte, specie se protratte per un tempo apprezzabile.

Quanto al criterio distintivo tra concorso di persone nel reato e reato associativo, lo stesso va, infine, ravvisato nel carattere stesso dell’accordo criminoso, che nel concorso di persone è funzionale alla realizzazione di uno o più reati determinati, eventualmente ispirati a un medesimo disegno criminoso, consumati i quali l’accordo si esaurisce o si dissolve, mentre nel delitto associativo è diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso da parte di tre o più persone, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, e permane anche dopo la realizzazione dei singoli reati.

In fatto, con riferimento questa volta alla fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, si osserva come dal testo dell’impugnata ordinanza si ricavi la circostanza che il ricorrente non abbia semplicemente "udito" della programmazione da parte di altri soggetti mafiosi dell’azione criminosa di cui al procedimento penale in contestazione ma vi abbia partecipato a pieno titolo (v. pagina 12 dell’ordinanza impugnata).

3. Pretestuoso è il secondo motivo di ricorso attinente all’efficacia probatoria delle dichiarazioni testimoniali di P.E. posto che la sua mancata incriminazione per il delitto di associazione a delinquere costituisce, da un lato, circostanza estranea alla posizione processuale dell’odierno ricorrente, nonchè, secondo la valutazione dei Giudici del merito circostanza non inficiante la bontà della sua deposizione testimoniale (v. pagine 7-12 del provvedimento impugnato).

4. Il ricorso va, ili definitiva, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Devono dispersi; altresì, le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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