Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 13-07-2011, n. 27435 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza, in data 2.02.2010, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 23.100,00 in favore di A.D. P.J.A., a titolo di equa riparazione per ingiusta detenzione subita.

Ricorre per Cassazione avverso la suddetta ordinanza l’istante, a mezzo del suo difensore, che deduce la violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo ai criteri di determinazione della prestazione riparatoria.

In particolare, si argomenta che la Corte d’Appello ha operato una riduzione dei parametri di riferimento, calcolando Euro 100 per ogni giorno di detenzione in carcere anzichè 235,83, in ragione della negativa personalità e dei precedenti penali del ricorrente, affermando sostanzialmente che siffatto elemento ha determinato un’afflizione minore rispetto a quella che avrebbe riguardato un incensurato.

Si rileva, in contrario, che, con riferimento alle sofferenze morali, se è pur vero che l’aver subito precedenti condanne può far ritenere l’afflizione carceraria e la libertà personale riducibile di un qualche coefficiente, tuttavia non si poteva addivenire ad una così cospicua riduzione senza far ricorso a parametri oggettivi, che si impongono anche per evitare che il criterio equitativo finisca con il celare una valutazione del tutto soggettiva ed arbitraria. Per altro si osserva che l’avere riportato condanne penali in passato non poteva nel caso di specie comportare alcuna diminuzione del danno morale, poichè la carcerazione è stata molto lunga e la protrazione per lunghi periodi della carcerazione non può diluire il complesso di sofferenze e pregiudizi psichici, sociali e morali. Con parere scritto, il Procuratore Generale, nella persona del dott. Luigi Riello, ha chiesto rigettarsi il ricorso sul rilievo che il provvedimento impugnato ha applicato correttamente i principi dettati dalla Corte di Cassazione in materia. Con memoria scritta l’Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto dichiararsi improponibile, inammissibile e comunque infondato il proposto ricorso. Il ricorso è infondato.

La Corte d’Appello ha dato atto di ben conoscere il principio giurisprudenziale di legittimità cui ha fatto riferimento, in base al quale il criterio matematico di determinazione non è vincolante in assoluto; è comunque criterio che raccorda a dati certi e paritari il pregiudizio scaturente dalla perdita della libertà personale e, come tale, è il criterio base della valutazione del giudice della riparazione che potrà, comunque, derogarvi in senso ampliativo – purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge – o restrittivo a condizione che, in un caso o nell’altro, dia congruo conto della valutazione dei relativi parametri di riferimento e ciò pur nel contesto di una delibazione guidata dal metodo equitativo, in coerenza con l’indole indennitaria e non risarcitoria della somma liquidata a titolo di riparazione. Questa Corte ha altresì affermato che il riferimento all’equità si traduce nell’attribuzione al giudice di un più vasto potere di apprezzamento per la soluzione del caso concreto, ma non in funzione additiva rispetto al parametro aritmetico, e la massima indennità giornaliera va tenuta presente dal giudice di merito come parametro per modulare concretamente l’indennizzo in relazione alle specifiche conseguenze personali e familiari patite dall’istante per effetto della ingiusta detenzione. Tutto ciò ribadito il provvedimento impugnato risponde correttamente ai cennati principi.

In particolare, la Corte di merito ha dato contezza, motivando adeguatamente, delle ragioni per cui ha derogato ai parametri matematici in senso restrittivo che l’hanno portata a liquidare una somma inferiore rispetto a quella determinata secondo il parametro aritmetico.

La Corte, dunque, ritiene che l’indennizzo debba essere notevolmente ridotto rispetto alla misura standard derivante dall’indicato criterio aritmetico, in considerazione del negativo profilo di personalità derivante dalle condanne e dai procedimenti pendenti. Le censure mosse contro tale apprezzamento sono infondate. Infatti, come già evidenziato da questa Corte (Sez. 4, 13 marzo 2007, Sanna), è ragionevole ritenere che il danno derivante dall’ingiusta detenzione sia minore nei confronti di persone già vulnerate da precedenti condanne. Tale ridotta afflittività può essere ricondotta per un verso al minore discredito che l’evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa per via delle condanne; e per l’altro al fatto che la dimestichezza con l’ambito giudiziario e penitenziario rende meno traumatica la pur ingiusta privazione di libertà. Dunque, l’apprezzamento compiuto dalla Corte distrettuale, essendo immune da vizi logici, non può essere sindacato nella presente sede di legittimità. Il ricorso va quindi rigettato.

Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali, e alla rifusione in favore del costituito Ministero delle spese, che si liquidano come da dispositivo, sostenute in questo giudizio tenuto conto delle argomentazioni svolte nella memoria ritualmente depositata condivisibili in diritto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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