Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-04-2011) 13-07-2011, n. 27383 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Firenze, dopo aver assolto l’imputato dagli altri addebiti, ha confermato, quanto ad alcune ipotesi di bancarotta patrimoniale in danno della soc. "Cityservice S.r.l.", fallita il (OMISSIS), la sentenza di condanna in data 21 giugno 2007 del locale Tribunale, appellata fra gli altri da G.S.. Propone ricorso l’imputato, articolato su sei motivi.

Con il primo motivo deduce difetto di motivazione sulla ritenuta sua posizione di amministratore di fatto della società, anche dopo la totale dismissione delle sue quote, essendo stati a lui addebitati fatti verificatisi in epoca successiva, nonchè violazione di legge per l’erronea applicazione della L. Fall., artt. 216 e 219, in relazione all’art. 2639 c.c.; la Corte di merito non avrebbe considerato che dal 7 ottobre 1999 le sue quote sociali erano state cedute a soggetti diversi, nè avrebbe tenuto conto delle prospettazioni, che indica diffusamente, sottoposte al suo giudizio dal gravame.

Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione sull’attribuzione a lui dei prelevamenti dalla cassa in un momento in cui non poteva essere più ritenuto amministratore di fatto, nonchè violazione di legge per l’erronea applicazione della L. Fall., artt. 216 e 219, in relazione all’art. 2639 c.c..

Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 192 c.p.p. in merito alla valutazione delle emergenze processuali ed in particolare per aver la Corte territoriale ritenuto la distrazione di somme dalla cassa, erroneamente considerando accertato che tali somme vi fossero in concreto, mentre si sarebbe trattato di appostazioni contabili fittizie, come sostenuto in sede di impugnazione; l’indicazione in contabilità non sarebbe indicazione sufficiente a far ritenere la concreta esistenza dei fondi e tale da rendere penalmente rilevante il successivo mancato rinvenimento. Con il quarto motivo deduce violazione di legge per erronea applicazione della L. Fall., artt. 216 e 223, in relazione alla cessione delle autovetture, ritenuta dalla Corte d’appello atto distrattivo, mentre al più sarebbe stata da considerare come bancarotta preferenziale perchè da lui prelevate a compensazione di crediti per prestazioni professionali, certi e non, come sostiene la Corte territoriale, non provati, soddisfatti peraltro in epoca non sospetta. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle contestate restituzioni di finanziamenti ai soci, che nel caso di specie non costituirebbero più reato secondo il nuovo disposto della L. Fall., art. 223 e art. 2626 c.c.; tenuto conto del nuovo testo della disposizione, la contestazione del fatto mancherebbe del riferimento al necessario requisito di aver cagionato il fallimento, e non sarebbe adeguata la motivazione della Corte d’appello secondo cui non si tratterebbe di restituzioni di finanziamenti, ma di sottrazioni prive di titolo, perchè un tale rilievo si porrebbe in contrasto addirittura con il capo di imputazione ove si contestava la restituzione di finanziamenti ai soci.

Con il sesto motivo deduce difetto di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche in base ad un suo precedente penale, senza che la Corte di merito avesse preso in considerazione tutti gli elementi favorevoli evidenziati nel gravame.

Il ricorso deve essere rigettato.

I giudici del merito, le cui argomentazioni possono essere ben valutate come un unico complesso motivazionale, hanno ampiamente e correttamente individuato, senza vizi di logica consequenzialità, gli elementi emersi dall’istruttoria che indicavano il G. come coinvolto nelle compagini societarie di tutte le società fallite, o erano comunque titolari di quote delle società fallite, ed hanno collegato tale situazione al fatto che i formali amministratori di quelle società erano tutte persone a lui collegate, ed in ogni caso da lui dipendenti, sia perchè dipendenti dello studio, sia perchè "messe" dal prevenuto in quelle posizioni, verso pagamento, o promessa, di un compenso, ed hanno ampiamente indicato le varie circostanze di fatto che confortavano una tale conclusione.

Quanto poi, alla fallita "Cityservice S.r.l.", hanno evidenziato il rapido susseguirsi degli amministratori di diritto, fra i quali persone del tutto inidonee a rivestire tali incarichi, anche per condizioni personali di particolare disagio mentale, ed hanno indicato l’utilizzazione da parte del G. dei c/c delle società, ed in particolare del conto (OMISSIS) della "Cityservice S.r.l.", quale circostanza determinante, significativa del permanere dell’amministrazione nelle mani del prevenuto per tutto il tempo di esistenza della società, indipendentemente dalle vicende delle sue partecipazioni societarie, irrilevante a tal fine essendo che la Corte d’appello abbia poi ritenuto di assolvere l’imputato dalla distrazione contestata in relazione ai cambi di assegni verificatisi su quel conto.

In definitiva, del tutto correttamente è stato valutato l’utilizzo in sè del conto corrente della società come elemento indice di un’attività gestoria, anche perchè accertato come estraneo all’esistenza di possibili deleghe ad operare in qualità di professionista esterno, incaricato di svolgere talune attività a favore della società.

Tanto considerato, anche l’acquisto da parte della società delle tre autovetture, avvenuto prima della cessione delle quote, nonchè i successivi atti, a lui riferibili, di disposizione dei veicoli a favore suo o di famigliari, sono stati legittimamente ricondotti ad attività gestoria da parte sua ed a distrazione di elementi del patrimonio aziendale, quand’anche fossero stati giustificati come compensi per il professionista.

In proposito del tutto corretto pare il rilievo della Corte territoriale che dei compensi dovuti per attività esterna di consulenza mancava ogni giustificazione in fatture o altri simili documenti, a parte l’indicazione in bilancio di parte della somma.

In relazione alle ipotesi distrattive, i giudici del merito hanno correttamente valutato le emergenze processuali, circoscrivendo adeguatamente l’area di responsabilità, mentre non appare fondata la doglianza del ricorrente in relazione ai contestati prelevamenti dei soci.

I giudici del merito si sono fondati sugli accertamenti del curatore relativi alle scritture contabili, nè risultano emersi elementi che possano essere riferiti ad erronee scritturazioni (che secondo la giurisprudenza di questa Corte dovrebbero indurre ad approfondimenti nella valutazione dell’effettività della disponibilità dei relativi fondi).

Nel caso, il ricorrente si è riferito a pretese scritturazioni fittizie per aggiustamenti contabili, di cui, come osservano i giudici del merito, non emerge alcun concreto elemento di conferma;

lo stesso ricorrente non supera il livello della mera ipotesi, e ciò pare significativo, considerando che, se quell’indicazione fosse stata corrispondente alla realtà, proprio lui, per il ruolo di fatto svolto e per la propria competenza tecnica avrebbe potuto senza alcuna difficoltà fornire tutti gli elementi per chiarire la fondatezza del proprio rilievo.

Quanto alle distrazioni di fondi giustificate quali restituzioni di finanziamenti dei soci, non risultano, come evidenziato dai giudici del merito per una parte degli importi restituiti, elementi prova dell’effettività dei finanziamenti da parte dei soci, a cui riferire gli indicati prelievi.

Il ricorso, sviluppato anche in diritto sul presupposto dell’effettività del finanziamento, non fa riferimento a concreti elementi in contrario non esaminati dai giudici del merito, e non coglie nel segno quando si riferisce all’imputazione, posto che nell’ipotesi d’accusa viene evidenziato in che modo fossero stati contabilmente giustificati i prelievi dei fondi di cui si contesta la distrazione, non certo la corrispondenza al vero di tali giustificazioni. E’ in definitiva evidente la correttezza della qualificazione di quei prelievi come vera e propria distrazione di fondi, attribuita al fatto dalla sentenza impugnata.

Manifestamente infondato e tendente a sottoporre a questa Corte valutazioni squisitamente di merito, ad essa sottratte, è infine il sesto motivo, con il quale il ricorrente afferma carente la motivazione con la quale gli sono state negate le circostanze attenuanti generiche sulla base del solo precedente penale. Del tutto legittimamente difatti la Corte di appello ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche sia il precedente penale in materia di immigrazione, sia le particolari caratteristiche del fatto indicato come dimostrativo di una particolare inclinazione alla violazione della legge, nello specifico settore economico ed imprenditoriale, trattandosi di parametri considerati dall’art. 133 c.p., applicabili anche ai fini dell’art. 62 bis c.p.. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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