T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 18-07-2011, n. 6417

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito della collaborazione con la Procura della Repubblica DDA di Bari, nel 1999 è stato disposto nei confronti di S. G. e dei propri familiari uno speciale programma di protezione.

Nel 2003, il S. è stato denunciato per violenze carnali poste in essere nei confronti di tutte e tre le figlie. Secondo il ricorrente, tali fatti sarebbero falsi e dovuti a menzogne delle figlie e della moglie. Non risponderebbe a verità neanche il fatto che in una conversazione telefonica intercorsa dal Carcere di Alessandria, la moglie avrebbe ottenuto dal S. la confessione di tali fatti.

Malgrado ciò, il Tribunale di La Spezia ha condannato il S. a 15 anni di reclusione per violenza carnale.

Ciò ha indotto la Commissione centrale a revocare lo speciale programma di protezione precedentemente concesso.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dalla Commissione centrale, l’interessato le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso il provvedimento impugnato:

a) Violazione delle leggi n. 203/1991 e n. 45/2001 in relazione alla leale e completa collaborazione effettivamente fornita dal S.: – anche se la Commissione centrale non avesse ritenuto di credergli in ordine al grave reato a lui contestato, avrebbe dovuto, in ogni caso, applicare il principio costituzionale secondo il quale nessuno può essere ritenuto colpevole fino a quando la sentenza di condanna non sia passata in giudicato; – la disposta revoca del programma di protezione appare ingiusta nei suoi confronti in quanto questi assume di aver fornito un contributo giudicato di spessore notevolissimo, presentandosi a rendere le sue dichiarazioni ogni qualvolta è stato chiamato, senza mai venire meno alla collaborazione prestata; – tanto che la Procura della Repubblica DDA di Bari ha espresso parere contrario alla revoca dello speciale programma di protezione;

b) Violazione di legge e delle norme costituzionali sulla tutela dell’integrità fisica del cittadino; violazione di legge per disparità di trattamento ed eccesso di potere: – la Commissione centrale, basandosi unicamente sul fatto che la DNA aveva espresso parere favorevole alla revoca del programma di protezione, si è passivamente adeguata a tale punto di vista, senza tenere in considerazione la diversa valutazione della DDA di Bari ed i rischi che avrebbero corso il S. ed i propri familiari a seguito della revoca dello speciale programma di protezione;

c) omessa liquidazione della capitalizzazione e disparità di trattamento con altri collaboratori: – a differenza del trattamento riservato agli altri collaboratori di giustizia che sono usciti dal programma di protezione, il S. non ha ricevuto alcuna somma a titolo di liquidazione della capitalizzazione; – sotto questo profilo, la Commissione centrale ha omesso di compiere valutazioni e di pronunciarsi al riguardo.

Il ricorrente ha anche avanzato una istanza istruttoria al fine di acquisire dal Servizio Centrale di Protezione tutta la documentazione attestante il proprio comportamento nel corso degli anni 1999 – 2003, dando atto dei periodi di detenzione dallo stesso espiati in carcere, delle visite dei congiunti presso i vari Istituti di pena, nonché dei periodi di lavoro svolti mentre era sottoposto a protezione e del contenuto delle telefonate intercorse con la moglie dalla Casa circondariale di Alessandria, con particolare riferimento a quelle in cui si parla della vicenda denunciata nel 2003 all’Autorità giudiziaria di La Spezia.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate in relazione alla disposta revoca dello speciale programma di protezione, per le ragioni di seguito indicate, salvo quanto si dirà al punto sub 4.2) in relazione alla capitalizzazione delle misure di assistenza.

4.1. Dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione al caso di specie – per come emerge e si rileva dal tenore del provvedimento impugnato, dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale e dagli atti posti a base dell’atto di revoca – risulta che il S. è stato ammesso al programma speciale di protezione con delibera della Commissione centrale ex art. 10 D.l. n. 8/1991 del 13 aprile 1999 (con scadenza prevista per il 31 dicembre 2008). Risulta, altresì, che il Servizio Centrale di Protezione, in data 15 settembre 2003, ha trasmesso alla Commissione centrale una informativa di reato a carico del Collaboratore in relazione ad una denuncia presentata dalla moglie per episodi di violenza sessuale in danno delle figlie minori. Risulta, infine, che con nota del 4 maggio 2009, il medesimo Servizio Centrale di Protezione ha trasmesso la sentenza n. 10024/08 del Tribunale di La Spezia del 13 giugno 2008, con la quale il S. è stato condannato a quindici anni di reclusione (con perdita della potestà genitoriale ed esclusione dalla successione delle persone offese), per abusi sessuali (artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater c.p) in danno delle due figlie, all’epoca dei fatti minorenni, commessi dal 1993 al settembre 2003 (e, quindi, anche durante la sottoposizione al programma di protezione).

In considerazione di tali circostanze, la Commissione centrale ha chiesto un parere alla DDA di Bari ed alla Direzione Nazionale Antimafia, in ordine alla permanenza del programma speciale di protezione disposto in favore del S..

La DDA di Bari, nota del 26 maggio 2009, ha richiamato un precedente parere reso il 17 settembre 2008, con il quale dava atto della gravità dei reati commessi dal S., ma riteneva che gli stessi non fossero indicativi del reinserimento del collaboratore nel circuito criminale e ribadiva il parere favorevole alla fuoriuscita dal programma previa capitalizzazione.

La Direzione Nazionale Antimafia, invece, con nota del 3 giugno 2009, ha espresso parere favorevole alla revoca del programma nei confronti del collaboratore, evidenziando che dalla lettura della sentenza indicata, pur non rientrando i fatti in un contesto di criminalità organizzata, si è avuta contezza della turpe attività posta in essere dal S. in danno delle figlie minori, per un lunghissimo periodo di tempo, comprensivo anche periodi di sottoposizione del predetto al programma di protezione. In sostanza, la DNA ha ritenuto che il collaboratore abbia violato uno degli obblighi previsti espressamente dal programma.

Il Collegio ritiene che la Commissione centrale, acquisiti tutti gli elementi di valutazione necessari, abbia correttamente disposto la revoca dello speciale programma di protezione in quanto il S. risulta aver violato l’impegno di non commettere alcun reato, assunto al momento della sottoscrizione del programma in data 27 maggio 1999 (cfr. punto 1 degli "Obblighi delle persone protette" del contratto di programma), come consentito dalla normativa descritta al precedente punto sub 3).

Infatti, ai sensi dell’art. l3 quater, comma 2, del D.l. n. 8/1991, le speciali misure di protezione possono essere revocate o modificate – non solo in relazione all’attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle misure adottate, ma anche – in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge. Al riguardo, va ricordato che costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e), nonché la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale (cd. revoca obbligatoria), ma sono valutabili ai fini della revoca delle speciali misure di protezione, anche l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma del citato articolo 12 (cd. revoca discrezionale), come nel caso in esame.

Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato che mentre il provvedimento di revoca del programma di protezione adottato nei confronti del soggetto "collaboratore di giustizia", di cui all’art. 13 quater, comma 2, prima parte del D.L. n.8/1991, si deve considerare vincolato, quello che si adotta in base a quanto dispone la seconda parte dello stesso articolo si configura adottabile in forma di atto sostanzialmente discrezionale, cioè avente aspetti propriamente valutativi; infatti, in tale ipotesi, si tratta di considerare l’insieme delle valutazioni operate tendenti ad accertare elementi, nella situazione di fatto, legittimanti la revoca stessa. Ne consegue che l’acquisizione di elementi di coinvolgimento del collaboratore in vicende criminali rendono ragionevole ed fondata la valutazione di incompatibilità di tali elementi con la permanenza del programma di protezione e legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca (Cons. Stato, Sez. VI, Sent. n. 3088 del 12062007).

Infatti, si deve ritenere che la L. n. 82/1991, nel disporre la protezione di testimoni, non accordi alle persone ammesse allo speciale programma di protezione una sorta di autorizzazione a commettere atti illeciti, vincolandole anzi al rigoroso rispetto della legge, indipendentemente dagli obblighi specificatamente assunti all’atto della sottoscrizione del programma medesimo; la "ratio" giustificatrice di tale tutela, infatti, non è certo quella di esonerare da responsabilità gli autori di comportamenti illeciti, ma di offrire adeguata protezione e sostegno economico a chi dimostri la seria intenzione di collaborare con la giustizia nella lotta dello Stato contro il crimine e, in particolare, contro la delinquenza di tipo mafioso. La revoca o la modifica dell’originario programma speciale di protezione, quindi, non può ritenersi una specie di prassi seguita dalla Commissione centrale in presenza della constatata inosservanza agli obblighi derivanti dal programma di protezione stesso, ma rappresenta diretta conseguenza dell’inosservanza all’impegno assunto dall’interessato sin dal momento della sua decisione di offrire il pratico apporto collaborativo alla giustizia e confermato dall’atto della sottoscrizione, prevista dall’art. 12, comma secondo, della L. n. 82/1991 (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 2541 del 24042009).

La revoca, come la modifica, delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 l. n. 82/1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per la cessazione, o per la modifica, del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07042010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004) desumibili anche da una sentenza di condanna non ancora passata in giudicato, posto che l’accertamento e la valutazione dei fatti eseguita in via amministrativa dalla Commissione centrale (al fine di revocare misure di protezione precedentemente disposte) è, ovviamente, diversa e distinta da quella che, in relazione ai medesimi fatti, è chiamata a compiere l’Autorità giudiziaria (allo scopo di accertare la responsabilità penale dell’interessato).

In considerazione delle risultanze dei fatti desumibili dalla citata sentenza penale, il Collegio ritiene superfluo dare seguito all’istanza istruttoria avanzata dal ricorrente.

E’ condivisibile, in conclusione, che, nella fattispecie, in relazione ai fatti richiamati nella sentenza di condanna del S., la Commissione centrale abbia tratto il convincimento che il collaboratore avesse violato uno degli obblighi del programma di protezione, quale quello di non commettere alcun reato, avendo posto in essere condotte incompatibili con la caratterizzazione funzionale e le finalità del programma, tenendo reiterate condotte turpi in danno delle figlie minori, per un lunghissimo tempo, comprendente periodi di sottoposizione al programma di protezione; traendo da ciò un giudizio di incompatibilità del soggetto alle regole del sistema tutorio, non avendo rilievo, come evidenziato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, che i fatti non siano indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale, perché nel caso di specie è stato assunto un provvedimento di revoca discrezionale.

4.2. A diverse conclusioni si deve giungere in relazione alla censura con la quale il ricorrente ha contestato l’omessa capitalizzazione delle misure di assistenza da parte della Commissione centrale.

Al riguardo, va considerato che l’art. 10, del D.M. n. 161/2004 – nel disciplinare la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione – stabilisce, tra l’altro, che: – il provvedimento di modifica o di mancata proroga delle speciali misure di protezione può prevedere, per agevolare il reinserimento sociale degli interessati, la capitalizzazione, in tutto o in parte, delle misure di assistenza (comma 14); – la capitalizzazione delle misure di assistenza economica di cui al comma 14 avviene, con riferimento ai collaboratori della giustizia, mediante l’erogazione di una somma di denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento, erogato per la durata di due anni; la capitalizzazione può essere riferita ad un periodo fino a cinque anni, in presenza di documentati e concreti progetti di reinserimento sociolavorativo; alla somma a titolo di capitalizzazione si aggiunge l’importo forfetario di 10.000 euro, rivalutabile secondo gli indici ISTAT, quale contributo per la sistemazione alloggiativa; i predetti criteri si applicano anche a tutti i nuclei familiari inseriti nel programma di protezione.

Dal tenore delle disposizioni richiamate emerge chiaramente che il collaboratore non vanta un diritto soggettivo ad ottenere la capitalizzazione, in tutto o in parte, delle misure di assistenza, dovendo la Commissione centrale eseguire valutazioni discrezionali al riguardo.

Ma, nel caso di specie, dall’esame della documentazione relativa alla vicenda oggetto di causa ed, in particolare, dal tenore del provvedimento impugnato, emerge che la Commissione centrale ha omesso di eseguire tali valutazioni discrezionali.

Pertanto, limitatamente a questo profilo, il ricorso va accolto.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che sia infondata la domanda di annullamento del provvedimento di revoca dello speciale programma di protezione, ma che il provvedimento impugnato debba ritenersi illegittimo nella parte in cui non reca valutazioni e non dispone alcunché in merito alla capitalizzazione delle misure di assistenza.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– accoglie in parte il ricorso, come in motivazione;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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