Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
L.C., indagato dalla Procura della Repubblica di Potenza nell’ambito del procedimento penale n. 2686/05, si determinava a collaborare con l’Autorità giudiziaria procedente, rendeva numerose dichiarazioni auto ed etero accusatorie consentendo, tra l’altro, il recupero di armi ed esplosivi da cava, e riferiva circa le attività del clan Scarci, l’esistenza di altri depositi di armi ed esplosivi, nonché su episodi delittuosi tra i quali omicidi, estorsioni e traffico di stupefacenti.
In virtù della scelta di collaborare, il predetto veniva sottoposto, su istanza della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza – DDA, ad un piano provvisorio di protezione ai sensi dell’art. 13 L.n. 82/1991.
Con il provvedimento impugnato, tuttavia, la Commissione Centrale ex art. 10 L.n. 15 marzo 1991 n. 82, deliberava di non accogliere la proposta di ammissione ad uno speciale programma di protezione avanzata dalla DDA di Potenza, nell’interesse di L.C. e dei suoi familiari e di revocare le misure di protezione e di assistenza già disposte in loro favore.
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dalla Commissione centrale, il L. proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, sosteneva l’infondatezza del ricorso e ne chiedeva il rigetto.
Con ordinanza n. 3503 del 10 luglio 2008, il TAR respingeva la domanda cautelare proposta dalla parte ricorrente.
All’udienza del 23 giugno 2011 la causa veniva trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
1. Avverso il provvedimento impugnato, il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione: – il provvedimento impugnato è stato assunto dalla Commissione Centrale recependo acriticamente le valutazioni espresse dalla Direzione Nazionale Antimafia, senza che l’Organo indicato svolgesse alcuna autonoma valutazione del caso di specie; – la Commissione, anziché valutare i presupposti di fatto sottoposti alla sua cognizione, ha posto a fondamento del diniego e della revoca le valutazioni della Direzione Nazionale Antimafia;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 82/1991; difetto di istruttoria; contraddittorietà; eccesso di potere per inesistente presupposto di fatto; difetto di motivazione: – la Commissione Centrale ha deliberato di non accogliere la proposta di ammissione del ricorrente ad uno speciale programma di protezione avanzata dalla DDA di Potenza, omettendo di considerare che l’art. 9, della legge n. 82/1991, con specifico riguardo al carattere della completezza e della attendibilità delle dichiarazioni, non avrebbe consentito l’adozione del provvedimento contestato; – il carattere della intrinseca attendibilità delle dichiarazioni del L. è stata dimostrata e verificata dalle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Potenza; – la Commissione centrale, non ha indicato alcun dato e/o circostanza obiettiva a sostegno della tesi dell’assenza di attendibilità, novità e completezza delle dichiarazioni rese dal L.; – le circostanze evidenziate dalla DNA nelle note poste a sostegno del provvedimento impugnato non corrispondono al vero e, comunque, la Commissione centrale avrebbe dovuto condurre una istruttoria esaustiva al fine di valutarle in concreto;
c) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 82/1991 sotto diverso profilo; difetto di istruttoria; contraddittorietà; eccesso di potere per inesistente presupposto di fatto; difetto di motivazione: – il provvedimento impugnato, in quanto carente di un presupposto autonomo processo istruttorio e valutativo, non reca indicazioni circa la valutazione delle dichiarazioni rese dal L., in relazione agli elementi di novità in esse contenuti, rispetto a fatti criminosi verificatisi sia in provincia di Potenza che di Taranto;
d) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 82/1991 sotto diverso profilo; eccesso di potere per inesistente presupposto di fatto; difetto di motivazione: – la Direzione Nazionale Antimafia non ha espressamente manifestato la propria contrarietà all’ammissione del L. al programma speciale di protezione, ma ha affermato che il contributo dello stesso andava valutato con prudenza; – il fatto che le note della DNA contenessero un parere contrario è, pertanto, una erronea deduzione dell’Organo deliberante; – quindi, il provvedimento impugnato si fonda su un falso presupposto di fatto consistente nell’erronea valutazione delle note della DDA;
e) violazione e falsa applicazione dell’art. 9, commi 5 e 6, della legge n. 82/1991; difetto di istruttoria; difetto di motivazione: – il provvedimento impugnato non contiene riferimenti rispetto all’istruttoria compiuta e non reca una specifica motivazione e valutazione delle condizioni di pericolo del L. e dei suoi congiunti, in conseguenza alla scelta collaborativa;
f) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, lett. b), e dell’art. 13 quater, commi 1 e 2, della legge n. 82/1991: – la Commissione centrale ha erroneamente applicato le norme indicate, ritenendo che ricorressero i presupposti utili per disporre una revoca obbligatoria delle misure di protezione, senza considerare che il L. non si è mai rifiutato di sottoporsi ad interrogatorio, esame o altro atto di indagine, né si è rifiutato di ottemperare agli obblighi relativi alla redazione del verbale di cui all’art. 12, comma 2, lett. b), della legge n. 82/1991.
2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.
La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.
La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).
Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.
Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.
Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).
I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).
Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.
L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.
L’art. 10, del D.M. n. 161/2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).
L’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991 e l’art. 11 del D.M. n. 161/2004, prevedono che quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell’autorità legittimata a formulare la proposta, la Commissione delibera, anche senza formalità e, comunque, entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove necessario, informazioni dal Servizio centrale di protezione di cui all’articolo 14 del D.L. n. 8/1991 o per il tramite di esso.
La richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all’articolo 11, comma 7, del citato decreto legge, la indicazione, quanto meno sommaria, dei fatti sui quali il soggetto interessato ha manifestato la volontà di collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione è ritenuta attendibile e di notevole importanza; e specifica, inoltre, le circostanze da cui risultano la particolare gravità del pericolo e l’urgenza di provvedere.
I contenuti del piano provvisorio di protezione sono specificati nell’art. 6 del D.M. n. 161 del 2004.
Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l’Autorità legittimata a formulare la proposta di cui all’articolo 11, del D.L. n. 8/1991, non ha provveduto a trasmetterla e la Commissione non ha deliberato sull’applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento. Al presidente della Commissione è data facoltà di disporre la prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il tempo strettamente necessario a consentire l’esame della proposta da parte della commissione medesima.
Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.
L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.
In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.
Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.
L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.
Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.
A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.
La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.
Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).
Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161/2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.
4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.
Dall’esito dell’istruttoria condotta in relazione al caso di specie – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato, dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale e dagli atti posti a base del provvedimento contestato – risulta che, a fronte della proposta di ammissione al programma speciale di protezione, avanzata in data 26 luglio 2006 dalla Procura della Repubblica di Potenza Direzione Distrettuale Antimafia, nell’interesse del collaboratore di giustizia L.C., la Direzione Nazionale Antimafia ha espresso parere contrario in relazione alla natura della collaborazione e all’insussistenza di specifici fattori di rischio. In particolare, la DNA, ha evidenziato che, nel corso di una riunione di coordinamento, dalle indagini condotte dalla D.D.A. di Lecce per fatti di sua competenza, è emerso che il L. ha continuato a mantenere contatti con esponenti criminali di Taranto del clan Scarci, rappresentando, quindi, la necessità che il suo contributo collaborativo andasse valutato con estrema prudenza, al fine di verificare la genuinità delle dichiarazioni rese. La DDA di Lecce non ha inteso presentare con la DDA di Potenza la richiesta di programma in favore del L., di fatto non esprimendo l’intesa richiesta dall’art. 11, comma 2, d.l. n. 8/1991. Nel corso di una successiva riunione di coordinamento tra le Procure di Potenza, Napoli e Lecce, è emerso, poi, che il L. non ha confessato numerosi altri reati, continuando a mantenere, almeno fino ad agosto 2007, rapporti con un noto pregiudicato di Taranto, indagato per estorsioni ed usura (cfr. note DNA del 19 luglio, 5 ottobre e 17 dicembre 2007).
E’ sulla base dell’insieme delle circostanze indicate che la commissione centrale – avuto riguardo a quanto stabilito dall’art. 9 del D.l. n. 8/1991, sopra richiamato al punto sub 3) – ha negato l’ammissione alle speciali misure di protezione ritenendo che la collaborazione resa dal L. ed, in particolare, le dichiarazioni rese, non presentasse i richiesti caratteri della intrinseca attendibilità, novità e completezza in ordine ai reati indicati.
E’ ragionevole che, nella fattispecie, la Commissione centrale abbia preferito fare perno sugli elementi di valutazione forniti dalla DNA, piuttosto che sulla proposta avanzata dalla DDA di Potenza, considerato che le dichiarazioni rese dal L. riguardavano indagini seguite da tre diverse Procure della repubblica (Potenza, Napoli e Lecce) e che in relazioni ad alcune di queste le dichiarazioni rilasciate dal L. erano risultate prive del carattere di compiutezza e attendibilità. Del resto, propria alla DNA è attribuito il compito di svolgere attività di impulso e di coordinamento nei confronti delle Procure Distrettuali Antimafia.
Le misure provvisorie di protezione nei confronti del ricorrente sono state quindi, revocate in quanto l’incompletezza e l’inattendibilità delle dichiarazioni rese hanno integrato una ipotesi di revoca obbligatoria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lettera b) e 13 quater, comma 2, del d.l. n. 8/1991.
A ciò va aggiunto che, contrariamente a quanto previsto e richiesto dall’articolo 11, comma 2, del decreto legge n. 8 del 1991, la DDA di Lecce, a differenza della DDA di Potenza, non risulta avere espresso l’intesa sulla proposta di ammissione del L. allo speciale programma di protezione e, quindi, in sostanza, non può affermarsi che è intervenuto un parere favorevole delle DDA interessate.
Al riguardo, va considerato che la proposta congiunta delle DDA competenti rappresenta una condizione di procedibilità per l’adozione delle speciali misure di protezione previste dal D.L. n. 8/1991 (cfr. art. 11 D.L. n. 8/1991 e artt. 2 e ss. D.M. n. 161/2004). Quindi, in mancanza di una proposta formale, comprensiva dell’intesa indicata, la Commissione non avrebbe potuto ritenersi investita del potere di adottare speciali misure di protezione.
Tali condizioni si verificano anche quando (come nel caso di specie), successivamente all’ammissione ad un piano provvisorio di protezione adottato a seguito di una specifica proposta avanzata dall’Autorità competente, non pervenga alla Commissione entrale, nei termini previsti (180 gg.) una formale proposta di adozione di definitive misure speciali di protezione o di uno speciale programma di protezione, avanzata d’intesa tra le DDA competenti. In tal caso, infatti, l’art. 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, prevede la cessazione degli effetti del piano provvisorio di protezione e, quindi, è la stessa fonte di rango primario indicata a prevedere (prima ancora del provvedimento della Commissione centrale che, quindi, assume in tali ipotesi semplicemente valore dichiarativo) la cessazione delle misure di protezione disposte in via provvisoria.
Quanto alla posizione dei familiari del L., il Collegio si richiama alla giurisprudenza che riconosce loro di essere destinatari del programma speciale solo in funzione della relazione di convivenza o, comunque, della specificità del rapporto con il soggetto "titolare principale" delle misure di protezione, in ragione della loro esposizione a gravi, attuali e concreti pericoli. Quindi, se, come nel caso in esame, sono venute meno le condizioni di fruizione di speciali misure di protezione in favore del soggetto titolare principale, tale situazione si riflette e si estende in modo automatico anche agli altri soggetti indicati dal comma 5 dell’art. 9, del d.l. n. 8/1991, nel senso della incompatibilità con il proseguire della protezione nei loro confronti.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– lo respinge il ricorso;
– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;
– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
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