Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-12-2011, n. 25760

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C. e F.A. e T.T. ricorrono per cassazione avverso il decreto della corte d’appello di Lecce in data 27 maggio 2009 che ha omesso dì valutare la domanda di equa riparazione del pregiudizio derivante dall’irragionevole durata di un giudizio promosso davanti al tribunale di Bari.

Il ministero dell’economia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Trattandosi di ricorso per cassazione proposto nei confronti di provvedimento pubblicato dopo il 2 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009, deve trovare applicazione art. 366-bis, c.p.c., inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, (abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, lett. d), applicabile, per espressa previsione dell’art. 58 della stessa legge alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato è stato pubblicato o depositato dopo il 4 luglio 2009), a tenore del quale "Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), 1’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta, insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione".

Secondo il costante orientamento di questa Corte la norma, che risponde all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diverse da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, dì enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in un’enunciazione dì carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, nè in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la corte in condizioni di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris, che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; inoltre, la formulazione della censura art. 360 c.p.c., ex n. 5, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, con la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Nella specie il motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. non si conclude con la formulazione del quesito di diritto, mentre anche quando l’inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea sussunzione o ricostruzione di un fatto processuale implicanti la violazione di tale regola il quesito deve essere formulato essendo necessario prospettare, pure in tale ipotesi, le corrette premesse giuridiche in punto di qualificazione del fatto (cass. n. 4329/2009). Non convincente infatti appare l’opposto orientamento (cass. n. 16941/2008, 19558/2009) secondo cui la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. è necessaria solo se la violazione denunciata comporta necessariamente la soluzione di una questione di diritto, mentre ove l’inosservanza delle regole processuali dia luogo ad un mero errore di fatto, alla corte di cassazione si chiede soltanto di riscontrare, attraverso l’esame degli atti di quel processo, la correttezza dell’attività compiuta, in quanto detto orientamento non si fa carico della previa necessità di qualificare giuridicamente l’attività processuale asseritamente viziata e, pertanto, della necessità che in ordine a tale qualificazione la parte prospetti, in forma di quesito, la sua tesi giuridica.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’amministrazione svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La corte dichiara il ricorso inammissibile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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