Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-02-2011) 13-07-2011, n. 27444

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza 28/5/2008, confermava la decisione 30/1/2006 del Tribunale di Pescara, che aveva condannato C.M. e F.R. a pena ritenuta rispettivamente di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, perchè dichiarati colpevoli di concorso nel reato di cui agli artt. 56 e 317 cod. pen., per avere, abusando il primo della qualità di sindaco di Cepagatti, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere o indurre P.L. a transigere la causa civile dalla medesima promossa nei loro confronti per la risoluzione di un contratto d’appalto stipulato dal di lei defunto marito e per il connesso risarcimento dei danni subiti, minacciando in caso contrario – per un verso – l’esproprio di un terreno di proprietà della donna e prospettando alla stessa – per altro verso – interventi sul Piano Regolatore, per rendere edificabili alcuni suoi terreni (giugno 2002).

Il Giudice distrettuale riteneva che la prova a carico degli imputati era integrata dalla documentazione acquisita, dal testimoniale escusso e dalla trascrizione della registrazione, ad iniziativa della P., del colloquio in data 22/3/2002 tra la medesima e gli imputati. Da tale materiale probatorio emergevano elementi inequivoci circa la determinazione degli imputati a transigere la lite in corso con la P. alle condizioni da loro dettate, facendo leva, per indurre la controparte ad accettare la proposta, sulla posizione istituzionale del C., divenuto nel frattempo sindaco di Cepagatti, il che integrava gli estremi del reato ipotizzato: a) nell’incontro in data 26/7/2001 tra gli imputati e la P., il C. aveva manifestato, in termini perentori, la sua determinazione alla transazione versando la somma di L. 20.000.000 e, al rifiuto opposto dalla controparte, aveva replicato che l’area di proprietà della stessa sarebbe stata espropriata per realizzarvi una strada; b) nel successivo mese di ottobre, l’imputato F. aveva contattato per telefono la donna, per convincerla a non proseguire la causa; c) il 22/3/2002 v’era stato un altro incontro tra le parti; la P., all’insaputa degli interlocutori, aveva registrato il colloquio, nel corso del quale gli imputati, alternando toni arroganti a toni suadenti, non mancando di evocare, in forza della posizione istituzionale ricoperta dal C., l’eventuale adozione di provvedimenti in danno o a favore della P., avevano tentato ancora una volta, senza riuscire nell’intento, di indurre la predetta a conciliare la lite in corso.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, gli imputati, deducendo la violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 43 e 317 cod. pen., e il vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità: il tentativo di transigere la causa civile in corso, da loro ritenuta pretestuosa e vessatoria, non mirava a conseguire un’indebita utilità; i contatti avuti, a tal fine, con la controparte non avevano determinato in questa alcuno stato di soggezione; il riferimento, nel corso di tali colloqui, ad eventuali modifiche degli strumenti urbanistici rispecchiava una previsione reale nell’interesse dell’intera collettività comunale e non era finalizzato a coartare la volontà della P..

La difesa degli imputati ha depositato in data 10/1/2011 memoria, con la quale ha ribadito le doglianze di cui al ricorso, insistendo per l’accoglimento.

3. I ricorsi non sono fondati e devono essere rigettati.

Rileva la Corte che i fatti, per così come ricostruiti nella loro materialità in sede di merito, non sono oggetto di contestazione. Si tratta, quindi, di stabilire se in essi siano ravvisabili o no gli elementi strutturali del tentativo di concussione.

La risposta non può che essere positiva.

Preliminarmente deve sottolinearsi che nessun rilievo può allegarsi, ai fini che qui interessano, alla circostanza che la controversia civile tra la P. e gli imputati si sia risolta a favore dei secondi (cfr. sentenza civile d’appello allegata alla memoria difensiva).

Quello che rileva è la condotta tenuta dagli imputati nel tentativo di indurre la P. a transigere, nei termini da loro proposti, la controversia avente ad oggetto la risoluzione del contratto di appalto che essi avevano stipulato, nella qualità di imprenditori privati, col dante causa della predetta.

E’ indubbio, per quanto emerge dalla ricostruzione in fatto dei giudici di merito più sopra sintetizzata, che gli imputati, per raggiungere il loro scopo, non si erano fatti scrupolo di fare ricorso all’abuso della qualità di sindaco nel frattempo assunta dal C., determinando così una impropria commistione tra pubblico e privato. Di fronte al rifiuto della P. di aderire alla proposta transattiva fattale, il riferimento del C. all’esproprio di un terreno della predetta o alla modifica degli strumenti urbanistici per rendere edificabili terreni sempre di proprietà della stessa, alternando così atteggiamenti di minaccia ad atteggiamenti di persuasione, denuncia l’abuso della qualità e la strumentalizzazione della funzione pubblica, nella chiara prospettiva di incidere sul processo volitivo del soggetto passivo, attraverso un comportamento idoneo – in astratto -a determinare in costui uno stato di soggezione.

Non ha alcun pregio l’argomento col quale i ricorrenti sostengono che la loro iniziativa aveva avuto come obiettivo non il conseguimento di una indebita utilità ma l’esigenza di porre fine ad una controversia, ritenuta pretestuosa e vessatoria.

E’ agevole replicare che, anche a volere ammettere – in astratto – che gli agenti si siano mossi nella prospettiva di soddisfare una loro giusta pretesa, il semplice fatto di essersi avvalsi della posizione di preminenza di uno di loro e di avere tentato di prevaricare il soggetto passivo integra il reato contestato.

L’avverbio "indebitamente" presente nella norma di cui all’art. 317 c.p., infatti, qualifica, piuttosto che U contenuto della pretesa del concussore, la quale può essere anche non oggettivamente illecita, le modalità di richiesta e di realizzazione della pretesa medesima, sicchè è inquadrarle nel paradigma del tentativo di concussione il comportamento del pubblico ufficiale che, abusando della propria posizione e alternando implicite minacce a blandizie, pone in essere atti idonei ad incidere sulle trattative con la controparte, alterando, in proprio favore, il principio della par condicio che deve caratterizzare ogni rapporto contrattuale.

4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle ulteriori spese sostenute in questo grado dalla parte civile P.L. e liquidate nella misura in dispositivo precisata.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile P.L., liquidate in Euro 2.500,00, oltre spese generali, iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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