Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-07-2011) 14-07-2011, n. 27639 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4.6.2007, il Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Partitico, dichiarò S.L. responsabile di due delitti di ricettazione di assegni bancari compendio di furto, unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla pena di anni 2 mesi 5 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 8.5.2009, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale, dopo aver rinnovato il dibattimento al fine di escutere il teste F.G., avrebbe motivato in modo superficiale l’identificazione dell’imputato sulla base di una carta d’identità mai acquisita agli atti, mentre gli assegni furono negoziati dal F.;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata, sulla scorta delle dichiarazioni di F.G. e del fatto che la fotocopia della carta d’identità dell’imputato è stata utilizzata per il passaggio di proprietà dell’autovettura.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5Asent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2A sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato nei precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p., non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. (Cass. Sez. 4A sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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