Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-07-2011, n. 27620

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 6 maggio 2010 il giudice di pace di Reggio Emilia condannava O.J., imputato del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis e successive modifiche, per essersi trattenuto nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico in tema di immigrazione senza essere munito del prescritto permesso di soggiorno, alla pena di Euro quattromila di ammenda.

La responsabilità dell’imputato veniva ritenuta provata sulla base della relazione di servizio redatta da parte degli agenti di polizia giudiziaria operanti, che non venivano esaminati a dibattimento.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale lamenta violazione dei canoni di valutazione probatoria e carenza della motivazione in ordine agli elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità, avendo il giudice omesso i doverosi accertamenti sulla legittima permanenza nel territorio dello Stato, accertamenti che, ove svolti, avrebbero consentito di verificare la presenza di una dichiarazione di emersione del lavoro irregolare.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1, 9 novembre 2004, ric. Santapaola, rv. 230203).

In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2, critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di trattenersi nel territorio dello Stato, pur se privo di permesso di soggiorno.

Nè, d’altra parte, risulta in alcun modo prospettata nel corso dell’udienza dinanzi al giudice di pace (cfr. verbali delle udienze celebrate il 4 febbraio 2010 e il 6 maggio 2010) la questione concernente l’avvenuta presentazione della domanda di emersione, questione che anche nell’atto di impugnazione è semplicemente enunciata, ma non risulta in alcun modo documentata sì da rendere il ricorso non "autosufficiente".

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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