Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-07-2011) 14-07-2011, n. 27678 Misure cautelari Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.V. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 5 marzo 2011 del Tribunale del riesame di Catania (che ha confermato l’ordinanza 1 febbraio 2011 del G.I.P. presso il Tribunale di Catania di custodia cautelare in carcere per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74) deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame.

Dal gravato provvedimento risulta che lo S., interrogato dal G.I.P., pur non giustificando i contenuti delle conversazioni telefoniche ed ambientali che gli venivano contestati, affermava la propria estraneità ai fatti, ammetteva l’esistenza di rapporti economici coi suoi sodali, imputabili peraltro a prestiti ricevuti da questi ultimi ed, in sede di udienza camerale del 3 marzo 2011, escludeva che parte dei riferimenti operati nel corso delle conversazioni intercettate tra i suoi coindagati lo riguardassero personalmente, ritenendo, invece, che il menzionato S. fosse in realtà solo un suo omonimo e giustificava gli accertati rapporti con gli altri indagati con il consumo.

I difensori alla stessa udienza camerale, insistevano nel riesame proposto contestando la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente, evidenziando, da un lato, dei dubbi in ordine alla sua identificazione quale interlocutore di alcune delle conversazioni intercettate (in particolare con riferimento ad una di esse, registrata il 3.7.07 ore 15.51 l’interlocutore, chiamato V. avrebbe avuto la disponibilità di una scheda telefonica intestata a tale S.V., nato a (OMISSIS) e dunque persona diversa dall’indagato) e, dall’altro, che anche con riferimento a quelle certamente attribuibili a quest’ultimo, emergerebbe esclusivamente il suo consumo personale di sostanza stupefacente ma nessuna sistematica attività di cessione.

La difesa inoltre negava la sussistenza delle esigenze cautelari, in ragione della personalità del ricorrente e della sua incensuratezza e concludevano chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il Tribunale del riesame, nel confermare l’ordinanza applicativa, evidenziava invece il grave quadro indiziario posto a fondamento del titolo custodiale e costituito dal tenore di numerose conversazioni telefoniche ed ambientali, registrate nel corso delle indagini relative ad un’organizzazione criminale di tipo mafioso, operante in Bronte e facente capo a C.S..

Da tali intercettazioni, per ciò che riguarda più direttamente la posizione dello S., e le contestazioni allo stesso elevate, emergeva, altresì, come fra le attività gestite dalla suddetta organizzazione criminale vi fosse quella del traffico di sostanze stupefacenti, realizzato attraverso la predisposizione di una struttura organizzata con precisi ruoli e gerarchie, composta da soggetti solo in parte coincidenti con gli associati all’associazione di tipo mafioso e stabilmente dedita al procacciamento di sostanza stupefacente, anche in località del nord Italia ed alla successiva vendita della stessa nel territorio di operatività della suddetta associazione.

L’ordinanza impugnata ha considerato particolarmente significativi del ruolo svolto dallo S. all’interno dell’associazione e dell’inequivoco compito di detentore e spacciatore, stabilmente assunto per conto della stessa, i contenuti di tre conversazioni, con riferimento alle quali nè la difesa ha eccepito alcunchè in merito alla corretta identificazione del ricorrente come suo interlocutore, nè lo stesso S. ha fornito qualsivoglia giustificazione (questi, peraltro, contestava la sua corretta identificazione solo laddove non era interlocutore diretto delle conversazioni intercettate, limitandosi con riferimento a quelle che lo vedevano, invece, assumere tale veste a fornirne una diversa interpretazione:

consumatore e non spacciatore, debitore dei coindagati per ragioni personali e non legate al comune traffico di stupefacenti). Tali comunicazioni hanno riguardato:

a) la conversazione registrata il 14.8.07 nel corso della quale L.G. chiedeva al ricorrente se avesse tolto "quella cosa" ( L.: "L’hai tolta quella cosa da là?"; S.:

"Minchia me lo sono dimenticato"; L.: "A vai….

V., che cazzo") e nella successiva appariva evidente, seppure mediante l’utilizzazione di un linguaggio criptico ma di facile interpretazione, in ragione della sua incongruenza con il dialogo nella sua interezza, come il ricorrente si fosse occupato di custodire la droga per conto dell’associazione;

b) la conversazione 19 agosto 2007 n. 600, indicativa della detenzione di droga all’interno del garage nella disponibilità del ricorrente;

c) la conversazione 9 dicembre 2007 tra B. e L.;

d) una serie di altre conversazioni – riportate nell’ordinanza genetica e richiamate- dalle quali risultava l’esistenza dei rapporti gestiti dallo S. con i suoi sodali, il rapporto di subordinazione con il B., suo diretto responsabile, i debiti maturati nei confronti dell’associazione e l’assiduità dei rapporti con il L..

Sulla base di tali elementi il Tribunale ha ritenuto accertata la costituzione di una struttura destinata ad operare con stabilità, finalizzata al traffico di sostanza stupefacente, acquistata anche in piazze diverse dal mercato locale (in territori ove l’associazione vantava l’adesione di soggetti del posto), per la successiva vendita in loco.

Nello svolgimento di tale attività realizzata attraverso una specifica ripartizione dei ruoli e con il rispetto di precise gerarchie, S. concretamente cooperava alla realizzazione del programma criminoso, curando la detenzione della droga per conto della associazione ed occupandosi personalmente sia dello smercio dello stupefacente sul territorio locale che della realizzazione dei suoi introiti.

Quanto alle esigenze cautelari il Tribunale ha escluso, in concreto e in ogni caso la presenza di elementi di segno positivo (che senz’altro non possono essere rappresentati dalla mera incensuratezza del ricorrente) che consentano di escludere la sussistenza di esigenze cautelari, avuto riguardo alla gravità dei fatti contestati, alle modalità di realizzazione degli stessi, alla pluralità di condotte illecite attribuibili all’indagato, alla particolare spregiudicatezza dallo stesso mostrata oltre che dalla sua personalità. 2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un unico motivo di impugnazione viene dedotta carenza e contraddittorietà della motivazione fondata sull’errore circa il titolare dell’utenza telefonica di cui alla conversazione 979 del 3 luglio 2007 ( S.V. nato a (OMISSIS)), senza tener conto che il ricorrente è nato a (OMISSIS). Da tale errore sarebbero derivate tutte le ulteriori devianti attribuzioni di paternità delle conversazioni dirette, oppure dei riferimenti fatti a " V.". Deduzione questa che per la sua radicalità non esigerebbe, come richiesto dal Tribunale del riesame, una contestazione specifica per ogni conversazione direttamente od indirettamente riferibile al ricorrente.

In ogni caso, osserva il difensore, si tratterebbe di conversazioni che denotano un mero interesse allo stupefacente per un uso personale e non certo per la destinazione allo spaccio, avuto anche riguardo ai valori irrisori di scambio che non superano il prezzo di Euro 50.

Il motivo, pur suggestivo, per la sua attribuzione a "persona altra" della disponibilità e dell’uso dell’utenza telefonica, non merita accoglimento.

Il ricorso sembra invero dimenticare che la misura della custodia cautelare in carcere è stata essenzialmente fondata nel provvedimento impugnato, sul tenore di tre intercettazioni (dianzi indicate: sub a, sub b, e sub c), per le quali nessuna contestazione è stata difensivamente proposta sulla identificazione del parlante interlocutore nella persona dello S..

In tale quadro, indiscutibile la corrispondenza dell’interlocutore con il ricorrente, restano solo le questioni di interpretazione del tenore delle corrispondenti intercettazioni, in questa sede non ammissibili avuto riguardo alla "lettura" del giudice cautelare del tutto ragionevole e con esiti giustificati mediante modalità espositive prive di incoerenze od invalidità, suscettibili di censura da parte del giudice di legittimità.

Il ricorso è dunque, inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p. il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Inoltre, non conseguendo dalla decisione la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, la trasmissione di copia del provvedimento al Erettore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, per gli adempimenti di rito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1 000 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *