Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-07-2011) 14-07-2011, n. 27674 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.S. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 5 marzo 2011 del Tribunale del riesame di Catania (che ha confermato l’ordinanza 1 febbraio 2011 del G.I.P. del Tribunale di Catania, di applicazione della custodia cautelare in carcere per il delitto ex art. 416 bis cod. pen.), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) l’ordinanza impugnata.

Con l’ordinanza 1 febbraio 2011 del G.I.P. del Tribunale di Catania, il ricorrente veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Interrogato dal G.I.P., il R., si avvaleva della facoltà di non rispondere mentre innanzi al Tribunale, all’udienza camerale del 3 marzo 2011, nell’affermare la propria estraneità ai fatti contestati, giustificava il tenore delle conversazioni intercettate, con la consapevolezza che egli stesso ed i suoi coindagati avevano di essere sottoposti ad intercettazioni; i difensori alla stessa udienza, senza sollevare alcuna specifica censura, insistevano nel riesame proposto.

Per il Tribunale del riesame, che in data 5 marzo 2011 ha confermato l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, il grave quadro indiziario posto a fondamento del titolo custodiale è costituito dal tenore di numerose conversazioni telefoniche ed ambientali, registrate nel corso delle indagini relative ad un’organizzazione criminale di tipo mafioso, operante in Bronte e facente capo a C.S. nella quale risultava militare l’odierno ricorrente, cognato dello stesso C..

Il provvedimento impugnato ha precisato, in ordine all’operatività dell’associazione, che nel periodo in questione, nel quale si inasprivano i contrasti con il gruppo avverso, facente capo a M.B., il C., temendo indagini nei suoi confronti si manteneva piuttosto riservato e, dimorando nel comune di Brolo presso la sua azienda agricola, preferiva ricevere e coordinare in questa sede l’attività dei suoi affiliati, evitando di destare l’attenzione delle forze di polizia.

Tali accorgimenti -prosegue ancora l’ordinanza- finalizzati ad arginare eventuali indagini di polizia ed a limitarne le conseguenze si spingevano fino al compimento di frequenti bonifiche delle autovetture nella disponibilità dell’associazione allo scopo di verificarne la sicurezza; la fortuita circostanza che U. G., indagato nel medesimo procedimento, avesse ottenuto un’auto di cortesia da un’assicurazione, consentiva ai militari operanti, ancora prima della consegna del mezzo al medesimo ed a dispetto delle descritte accortezze, di disporre apparati di monitoraggio auto e localizzazione satellitare così, trattandosi di macchina che gli indagati ritenevano del tutto affidabile, consentendo la registrazione di dialoghi di significativa rilevanza al fine di supportare l’ipotesi accusatoria.

In proposito il Tribunale valorizza:

a) le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia B. I., il quale riferiva che il "(OMISSIS)", cognato del C., ne curava gli interessi in sua assenza, occupandosi della contabilità delle estorsioni;

b) la conversazione del 18.8.07 n. 48 a bordo della BMW nella disponibilità dell’ U., nel corso della quale il R. spiegava al C. che aveva dato disposizioni perchè una somma di denaro di chiara provenienza illecita e nella sua disponibilità, rimanesse integra in ragione delle logiche di spartizione del denaro tra i diversi gruppi criminali;

c) la conversazione n. 57 tra R. e C., nel corso della quale il C. da specifiche istruzioni sulle disposizioni da dare a certo T.;

d) le conversazioni n.249, 1068, 5387 nelle quali si evidenzia il ruolo assunto nel sodalizio dal ricorrente stesso.

Quanto alle esigenze cautelari, ferma la presunzione di pericolosità dell’art. 275 c.p.p., comma 3, il Tribunale evidenzia l’assenza di elementi di segni positivo atteso lo stile di vita ed i precedenti penali.

2.) i motivi di ricorso e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti fondanti la fattispecie dell’art. 416 bis c.p..

In particolare si lamenta il credito e l’affidabilità attribuita dal provvedimento impugnato alle dichiarazioni del collaborante B., posto che lo stesso giudice ha precisato che per alcuni episodi specifici non vi sarebbe corrispondente riscontro, circostanza questa che imponeva una diversa e motivata disamina della attendibilità intrinseca ed estrinseca del B. stesso.

Con un secondo motivo si lamenta l’interpretazione fuorviante data al tenore delle intercettazioni le quali non hanno considerato la "familiaris affectio" che legava il ricorrente al cognato C. S. e che il richiamo a termini legati a prodotti caseari è conseguente alla titolarità, da parte del C. di una azienda agricola.

Nessuna delle anzidette doglianze supera la soglia dell’ammissibilità.

Il ricorso infatti si risolve sostanzialmente in una richiesta di rivalutazione dei dati considerati dal giudice della cautela, ed utilizzati attraverso una meditata ponderazione delle emergenze processuali, attraverso una metodica di giustificazione degli elementi rilevanti e ragionevolmente valorizzabili agli effetti del mantenimento del presidio cautelare e della conseguente negazione della più attenuata misura, nei termini come sopra riassunti.

In conclusione il ricorso per cassazione, che, come nella specie, deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se prospetta la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito al fine di giustificare ragionevolmente la sua decisione, come avvenuto nella specie (Cass. pen. sez. 5, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro. Massime precedenti Vedi: N. 11 del 2000 Rv. 215828, N. 1786 del 2004 Rv. 227110, N. 22500 del 2007 Rv. 237012, N. 22500 del 2007 Rv. 237012).

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

Inoltre, non conseguendo dalla decisione la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, la trasmissione di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, per l’inserimento nella cartella personale.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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