T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 19-07-2011, n. 6438 Università

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Parte ricorrente, in data 2 settembre 2010, partecipava alla prova selettiva indetta con bando dall’Università degli Studi di Catania, per l’ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia.

Con il ricorso in esame la ricorrente impugnano gli atti indicati in epigrafe ed in particolare la avvenuta esclusione all’ammissione al corso de quo e del diniego all’iscrizione, deducendo i seguenti motivi di gravame:

I Violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 33 e 34 Cost. – artt. 3 L. n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del Decreto ministeriale 21 luglio 1997, n. 245 (in Gazz. Uff., 29 luglio, n. 175). – Mancanza degli atti presupposti. Eccesso di potere – illogicità – sviamento (per carente od insufficiente motivazione) – Violazione del giusto procedimento

In particolare, l’art. 3 della legge 264/99 rimanda alla regolamentazione ministeriale la determinazione delle modalità e delle procedure, sia per la determinazione dei posti a livello nazionale e dei singoli atenei, sia per la selezione degli studenti da ammettere, prevedendo, tuttavia, che il Ministro, nell’emanazione e nelle modificazioni del succitato regolamento (previsto dall’art. 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341, come modificato dall’art. 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127), si conformi alle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge, attenendosi ad una serie di principi e criteri direttivi, specificatamente elencati.

Ebbene, il menzionato regolamento non risulta essere mai stato emanato o, quantomeno, modificato in base ai criteri e le indicazioni previste dalla succitata Legge.

Ciò posto, non può revocarsi in dubbio che la programmazione degli accessi ai corsi de quo, ed, in particolare, a quello di cui al presente giudizio, risulti avvenuta senza il necessario atto presupposto, sia con riferimento alle procedure ed ai criteri di determinazione dei posti disponibili, sia in relazione alle modalità di selezione degli studenti da ammettere.

II Violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 33 e 34 Cost. – artt. 3 L. n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del Decreto ministeriale 21 luglio 1997, n. 245 (in Gazz. Uff., 29 luglio, n. 175). – Mancanza degli atti presupposti. Eccesso di potere – illogicità – sviamento (per carente od insufficiente motivazione) – Violazione del giusto procedimento.

L’Articolo 2 (Programmazione e informazione) del citato Regolamento di cui al D.M. 245/97 stabilisce quanto segue: "1. Entro il 28 febbraio di ogni anno il Ministro sentito l’Osservatorio, definisce e aggiorna, con proprio decreto: a) i criteri di riferimento, utilizzabili dalle università, per l’attivazione di forme diversificate di iscrizione e di frequenza degli studenti, a tempo pieno e a tempo parziale, in relazione a tutte le tipologie dei corsi universitari; b) le procedure e i parametri standard per la determinazione della disponibilità di posti per studenti da parte delle università ove si svolgono corsi universitari ad accesso limitato, nonché delle condizioni di offerta formativa ottimale nelle università.

2. Entro il 31 gennaio di ogni anno l’Osservatorio, nell’ambito delle attività di cui alla legge 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 5, comma 23, redige e aggiorna un rapporto sullo stato delle università italiane in relazione alle dotazioni di strutture, attrezzature e personale universitario, nonché alle provvidenze e ai servizi offerti agli studenti.

3. Il Dipartimento e le università, anche sulla base di intese con il Ministero della pubblica istruzione e le sue strutture periferiche, nonché con le regioni e gli enti locali, realizzano una campagna informativa presso gli istituti e le scuole di istruzione secondaria superiore e sui mezzi di comunicazione di massa finalizzata alla diffusione della conoscenza:

a) dei decreti di cui al comma 1 e del rapporto di cui al comma 2;

b) delle modalità delle preiscrizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 2;

c) delle attività di cui all’articolo 3, comma 3;

d) dei corsi ad accesso limitato, della determinazione e ripartizione dei posti tra le università e delle modalità di ammissione di cui agli articoli 4 e 5;

e) dei contenuti generali dei corsi universitari e dei prevedibili sbocchi professionali".

Ebbene nessuno di questi provvedimenti risulta essere stato adottato!

Non vi è dubbio, infatti, che, là dove si ritenga che il richiamo operato dalla legge 264/99 sia riferito alla disciplina prevista dal regolamento di cui al D.M. 245/97, le disposizioni in esso contenute avrebbero dovuto essere integralmente attuate, ivi comprese quelle relative all’emanazione dei provvedimenti di cui al richiamato articolo 2.

III Violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 33 e 34 Cost. – art. 3 L. n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Eccesso di potere – illogicità – sviamento (per carente od insufficiente motivazione) – Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria..

La legge prevede, inoltre, che la ripartizione dei posti tra le università venga effettuata tenendo conto dell’offerta potenziale comunicata da ciascun ateneo e dell’esigenza di equilibrata attivazione dell’offerta formativa sul territorio.

Ebbene, nel caso de quo, la determinazione del numero dei posti è illegittima, in quanto risulta essere stata adottata senza che fossero effettuati accertamenti precisi sulle potenzialità della sede universitaria resistente e da verifiche delle effettive capacità didattiche.

Invero, non solo non è stato dato documentato conto di tale analitica e particolareggiata attività istruttoria da parte dell’ateneo, ma non v’è nemmeno traccia di una effettiva verifica della sussistenza di tali elementi nel provvedimento con il quale il Ministro ha stabilito la limitazione de quo.

Successivamente, il MIUR, con la Nota del 17 settembre 2010, d’intesa con il Ministero della Salute, aveva invitato gli Atenei a voler valutare la possibilità di ampliare l’offerta formativa relativa al corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia per l’anno accademico 20102011, nel rispetto dei requisiti previsti e comunque entro il limite massimo del 10 per cento, ritenuto idoneo a non alterare la qualità formativa (?), essendo stato rilevato un fabbisogno maggiore rispetto a quanto stabilito con il precedente D.M. del 2 luglio 2010 "in relazione alle risultanze di studi appositamente condotti che portano ad ipotizzare, già a partire dal 2012, una carenza di medici"

Infine, il MIUR, con D.M. del 21 ottobre 2010, aveva provveduto ad ampliare il numero dei posti a disposizione, secondo le nuove indicazioni pervenute dagli atenei.

L’Ateneo resistente non rientra tra le università per le quali è stato disposto l’aumento del numero dei posti pari al 10 per cento, senza che il D.M. del 21 ottobre 2010 abbia dato documentato conto dei motivi della esclusione.

Peraltro, l’Ateneo avrebbe agito in contrasto con la normativa rubricata anche nel caso in cui non abbia adottato tali provvedimenti negativi, non avendo ottemperato all’obbligo di verifica e di indagine ad esso richiesta dal Ministero.

In tale quadro si contestano, pertanto, sia le determinazioni ministeriali, sia le deliberazioni degli organi accademici, di cui se ne richiede espressamente l’acquisizione, riservandosi di meglio dedurre in relazione all’esito dell’istruttoria.

Inoltre, con il D. M. del 21 ottobre 2010, il Ministero ha concesso ad alcuni atenei un aumento del numero dei posti maggiore rispetto al 10 per cento previsto (si veda ad esempio l’Università Statale di Milano), mentre ad altri un aumento in misura inferiore a tale percentuale (si veda ad esempio l’Università di Milano – Bicocca).

Tale circostanza, oltre a rappresentare una conferma della carenza e/o erroneità della attività istruttoria espletata, costituisce una evidente disparità di trattamento tra i candidati delle diverse sedi universitarie.

Pertanto, anche per tale motivo, si richiede l’acquisizione delle relative determinazioni ministeriali e deliberazioni degli organi accademici

IV Violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) – Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 – Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n.168 (autonomia universitaria) – Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti – Eccesso di potere – illogicità – sviamento (per carente od insufficiente motivazione) – Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria – T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 – Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l’accesso ai corsi di laurea in odontoiatria).

IV.1. Con il decreto del 2 luglio 2010, il Ministero avrebbe dovuto – anche se tale criterio si contesta per i motivi di seguito esposti – determinare il numero complessivo dei posti a livello nazionale e la ripartizione di questi tra i singoli atenei, non solo in base alle capacità ricettive di ogni singolo ateneo, ma, ai sensi dell’art. 3, comma I, lett. a), anche in ragione del fabbisogno sanitario nazionale, relativo alla professione di odontoiatra per l’anno accademico 20092010, effettuata dal Ministero della Salute ai sensi dell’art.6 ter del D.L.gs. n.502/1992 e successive modifiche.

Ebbene, in realtà, alla data di emanazione di tale decreto, la rilevazione effettuata dal Ministero della Salute ai sensi dell’art.6 ter del D.L.gs. n.502/1992 e successive modifiche, non si era ancora tradotta in Accordo formale in sede di Conferenza per il rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, sicché la determinazione del numero dei posti da parte del Ministero è stata effettuata senza tenere conto del prescritto fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo, ciò solamente per soddisfare l’esigenza di consentire la pubblicazione del bando di concorso da parte degli Atenei nel rispetto del termine disposto dall’art.4, comma 1, della legge n. 264/1999.

Di conseguenza, il decreto ministeriale suddetto, nel caso de quo, è illegittimo, in quanto risulta essere stato adottato senza uno dei necessari atti presupposti.

Ciononostante, in ogni caso, il Ministero ha ritenuto opportuno di ridurre il numero dei posti rispetto alla potenzialità recettiva del sistema universitario, in considerazione della rilevazione da parte del Ministero della Salute, che mette in luce un fabbisogno di professionalità a livello nazionale di molto inferiore alla potenzialità formativa degli atenei.

In buona sostanza, sebbene alcune università abbiano indicato che le loro capacità ricettive sono maggiori e/o uguali rispetto all’anno accademico precedente, nel provvedimento impugnato, di contro, è stata disposta una diminuzione dei posti, disattendendo, in tal modo, la maggiore indicazione riguardo la effettiva capacità recettiva della singola università.

IV.2. Ferme restando le considerazioni sopra esposte non può non rilevarsi, in ogni caso, l’illegittimità dell’utilizzo del suindicato parametro fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo nella determinazione (limitazione) dei posti al corso di laurea in medicina e chirurgia.

Ebbene, in un quadro di reciproco riconoscimento dei titoli, di libera circolazione dei cittadini e di stabilimento dei professionisti, l’introduzione dell’elemento del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo nella determinazione del numero degli studenti da ammettere ai corsi universitari, limitando tale analisi al solo livello nazionale, se non, addirittura, al fabbisogno sanitario delle singole Regioni, appare del tutto illegittima, dovendosi – al più – riferire ad un quadro più ampio quale quello comunitario.

Infine, non può sottacersi che la limitazione degli accessi ai suddetti corsi, se può essere giustificata in relazione all’esigenza di garantire adeguati standard formativi, rendendo – solo in questo caso – tale limitazione non in contrasto con il diritto allo studio e con la riserva di legge prevista dalla Carta Costituzionale, non altrettanto potrà affermarsi per l’ulteriore criterio del fabbisogno produttivo, introdotto dalla Legge 264/99.

Invero il diritto allo studio previsto dagli artt. 33 e 34 della Cost. non può essere limitato sulla base di criteri connessi al successivo accesso al modo del lavoro, anzi ad un presupposto, ma non meglio specificato fabbisogno produttivo.

Infatti, il diritto allo studio è riconosciuto e tutelato dalla Costituzione ex se e non in quanto finalizzato al successivo accesso al mondo produttivo e del lavoro:

Un cittadino ha diritto di studiare e di acquisire un titolo riconosciuto, indipendentemente dal fatto di voler utilizzare successivamente tale titolo a fini produttivi.

V Incostituzionalità – Violazione di legge ( artt. 3, 33 e 34 Cost.; art. 9, comma 4°, L. n. 341/1990; art. 9, 4 comma, L. 9.5.1989 n.168; DPR n. 25 del 27 gennaio 1998; artt. 6 e 11, D.M. 3 novembre 1999, n. 509 (in G.U. n. 2 del 4 gennaio 2000) – Eccesso di potere nella scelta di inadeguati e discriminatori

criteri selettivi – contraddittorietà – illogicità.

V.1. Occorre, inoltre, porre in rilievo l’evidente illegittimità dei provvedimenti impugnati in relazione alla scelta dei criteri selettivi che si è posta in aperto contrasto con il principio di autonomia universitaria, sancito dall’art. 9, 4 comma, L. 9.5.1989 n.168 ed ha leso l’autonomia universitaria sopra richiamata.

Pertanto, nei termini sopra descritti, si contesta la legittimità costituzionale della norma richiamata ed, in particolare, dell’art. 4 per contrasto con gli artt. 33, 34 e 97 della Costituzione.

V.2. L’illegittimità dell’intero sistema selettivo si è manifestata in modo ancor più stridente in considerazione del fatto che l’istituzione delle prove di ammissione non sono state precedute da adeguate attività di informazione degli studenti, sia in riferimento ai contenuti delle stesse, sia in relazione alla mancata indicazione dei testi sui quali basare una sia pur minima preparazione.

A ciò si aggiunga che non tutte le domande contenute nelle prove selettive hanno avuto come scopo quello di vagliare l’attitudine del candidato ad affrontare il corso di studi in oggetto, né alcuna rilevanza è stata data agli studi superiori preuniversitari.

Invero, un sistema che non solo non tiene conto del percorso scolastico affrontato dai singoli candidati, ma neppure – a livello generale – del voto riportato alla maturità, appare per ciò stesso iniquo e discriminatorio, potendo l’Amministrazione alla luce delle disposizioni di cui alla legge 264/99 adottare un sistema selettivo per titoli ed esami e non solamente basato su quiz informatici.

V.3. Le prove selettive, inoltre, si sono svolte a livello nazionale in un’unica data, creando, in tal modo, una preventiva distribuzione sul territorio, disomogenea ed avulsa da una verifica delle effettive capacità dei singoli.

Tale circostanza, infatti, ha impedito agli studenti di partecipare alle prove in più sedi.

E’ evidente che la possibilità di svolgere le prove in più atenei, o l’adozione di una graduatoria unica, avrebbe ovviato a tale discriminazione, mentre il sistema utilizzato testimonia come l’unico scopo perseguito sia stato quello di operare una "falcidia numerica" tra i candidati, indipendentemente dalla reale verifica della maggiore o minore attitudine dei singoli ad affrontare il corso di studi de quo.

VI Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione. – Eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio.

Un indubbio vizio di illegittimità, tale da rendere annullabile ex se ed imporre un nuovo svolgimento delle prove selettive, sarebbe costituito dall’emergere di situazioni analoghe anche per l’anno accademico 2010 – 2011 delle vicende degli anni passati, avvenute presso le Università di Bari e Catanzaro.

I plichi contenenti gli elaborati dei candidati sono stati consegnati aperti, e sembra che la Commissione abbia fatto chiamare nominalmente i singoli candidati, in ordine alfabetico, per la consegna degli elaborati medesimi, con evidente violazione del principio dell’anonimato e della imparzialità nella conduzione della procedura selettiva, nonché delle modalità previste dal Decreto Ministeriale 11 giugno 2010.

A ciò si aggiunga, inoltre, che nessun controllo capillare sul possesso dei telefonini cellulari è stato compiuto,

VII Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi ad accesso programmato a livello nazionale" – Eccesso di potere – illogicità – Violazione del giusto procedimento -Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione. – Eccesso di potere per carenza di par condicio etrasparenza.

Il criterio di individuazione della risposta corretta, utilizzato per la selezione dell’anno accademico oggetto della presente impugnativa, risulta essere illegittimo, irragionevole e non congruo.

Infatti, non esiste un criterio assoluto ed oggettivo per stabilire o, comunque, individuare, se una risposta possa considerarsi arbitraria o più o meno probabile.

Tutto ciò, tra l’altro, rimanendo invariato, rispetto agli anni precedenti, il tempo a disposizione degli studenti per l’espletamento della prova.

Pertanto, il criterio di svolgimento della selezione relativo all’anno accademico 20102011, così come regolato dal Decreto Ministeriale 11 giugno 2010, proprio perché permeato da un elevato grado di discrezionalità, risulta essere in contrasto con i principi di ragionevolezza e trasparenza che dovrebbero contraddistinguere le procedure concorsuali, con evidente lesione, pertanto, anche della par condicio tra i candidati medesimi.

VII.2. Occorre rilevare, peraltro, che tale modalità di svolgimento della prova risulta ancor più illegittima in considerazione della circostanza che alcune delle domande oggetto della selezione sono risultate con risposta errata e/o, comunque, dubbia.

VIII Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione Legge. n. 264 del 2 agosto 1999 – Violazione e falsa applicazione Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 – Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione. – Eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio.

Un indubbio vizio di illegittimità, deriva dalla vicenda connessa all’erroneità o, comunque, ambiguità di molte delle domande scelte dalla Commissione, proprio alla luce delle modifiche introdotte in merito ai criteri di scelta delle risposte.

Non vi è dubbio alcuno che molti dei quesiti proposti, abbiano indotto in confusione i partecipanti alla prova, con conseguente illegittimità della selezione.

Non solo, a ben vedere i punteggi sottratti ai ricorrenti, che, comunque, avevano correttamente risposto alle domande nei termini sopra indicati, e/o i punteggi illegittimamente attribuiti agli studenti ammessi, li avrebbero potuti pienamente far rientrare tra gli idonei alla iscrizione, in base alla loro posizione in graduatoria ed al punteggio complessivo ottenuto e, quindi, in ragione del margine che li ha distanziati dall’ultimo posto utile, ciò anche in considerazione dei successivi ripescaggi.

Peraltro, la presenza di quesiti con risposta errata e/o quantomeno dubbia risulta ancor più illegittima alla luce delle modalità di svolgimento della prova concorsuale, disciplinate con il Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 – sulle quali si è ampiamente argomentato in precedenza – con cui, diversamente dal passato, non si richiedeva più ai candidati di individuare, tra le cinque opzioni di risposta, quella esatta, bensì di individuarne "una soltanto, scartando le conclusioni errate, arbitrarie o meno probabili".

IX Violazione artt. 3, 24, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione Legge. n. 264 del 2 agosto 1999 – Violazione e falsa applicazione Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 – Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione. – Eccesso di potere per carenza di trasparenza e par condicio.

Si rende necessario conoscere quali siano stati il procedimento e le modalità di individuazione delle domande e delle correlate risposte corrette e tra queste di quelle che avrebbero dovuto essere selezionate dal candidato per ottenere il punteggio massimo.

Non vi è dubbio, infatti, che la Commissione a ciò delegata debba dare documentato conto delle scelte operate, la cui legittimità si contesta sin d’ora, stante la loro irrazionalità e non trasparenza.

X Violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Eccesso di potere – illogicità – sviamento (per carente od insufficiente motivazione) – Violazione del giusto procedimento.

In particolare, risulta, che non tutti i posti riservati agli extracomunitari siano stati effettivamente coperti, essendo pervenute un numero di domande minore dei posti messi a disposizione, né che l’ateneo abbia provveduto a "redistribuire" tali posti vacanti assegnandoli agli esclusi appartenenti alla graduatoria riservata ai cittadini italiani e comunitari.

Peraltro tale riserva ha determinato che soggetti meno preparati, rispetto ai colleghi comunitari, si siano potuti iscrivere. Invero, non appare legittima la previsione di una riserva speciale in favore di tali soggetti a detrimento del numero dei posti complessivo.

XI Violazione dell’art. 2 del protocollo addizionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Roma 4.11.1950, rat. Con L.4.8.1955 n. 848 – Violazione dell’art. F, n.2 della L. 3.11.1992 n. 454 di ratifica del trattato di Maastricht – Incostituzionalità della legge n. 264, del 2 agosto 1999.

La stessa Carta Costituzionale garantisce e riconosce come inviolabile il diritto all’istruzione, sicchè qualsiasi norma che tenda a limitarlo si pone in aperto contrasto con gli art. 2, 10 e 97 della Cost.

XII Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge. n. 264 del 2 agosto 1999 – violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 4°, L. n. 341/1990, come modificato dalla L. n. 127/1997. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, del D.M. 245, del 21/7/97. – eccesso di potere. – mancanza dell’atto presupposto. – violazione del giusto procedimento.

Ebbene, in contrasto con tale normativa, l’ateneo ha bandito la selezione per l’accesso al corso de quo in data anteriore a quella dell’entrata in vigore del Decreto del 2 luglio 2010 (in G.U. Serie Generale n. 174 del 28 luglio 2010) con il quale il Ministro ha determinato il numero dei posti.

Peraltro, l’ateneo ha agito in aperto contrasto della riserva di legge, già richiamata, e, conseguentemente, con le disposizioni cui agli artt. 33 e 34 della Costituzione, avendo, autonomamente e senza nessun provvedimento normativo, sia pur secondario, che ne attribuisse il potere, determinato, sia la limitazione degli accessi al corso de quo, sia il numero di posti disponibili.

A ciò si aggiunga che, attesa la data di pubblicazione del citato Decreto Ministeriale, sussiste la violazione dell’art. 4 della Legge. n. 264 del 2 agosto 1999, per il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni.

Peraltro, essendo in tale Decreto stabiliti il numero dei posti per ciascun ateneo, non vi è dubbio alcuno che al candidato non è stato consentito di conoscere, nel rispetto dei requisiti di legge, con adeguato anticipo, uno profilo fondamentale che incide sulla scelta dell’ateneo presso il quale svolgere la prova selettiva.

Si costituisce in giudizio l’Amministrazione resistente che nel controdedurre alle censure di gravame, chiede la reiezione del ricorso.

Nelle more del giudizio, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in data 3 dicembre 2010, in risposta a specifica istanza, inviava copia dei verbali dei lavori della Commissione di esperti, di cui all’art. 2 del Decreto Ministeriale 11 giugno 2010, relativi alla formulazione dei quesiti relativi alla prova per l’accesso al corso di laurea de quo.

Con motivi aggiunti del 23 dicembre 2010 i ricorrenti impugnano i detti atti richiamati in epigrafe, formulando le seguenti doglianze:

I Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi ad accesso programmato a livello nazionale" – Eccesso di potere – illogicità – Violazione del giusto procedimento. – Violazione dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e trasparenza. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Illogicità e contraddittorietà manifesta.

I verbali dei lavori relativi alle sedute della predetta Commissione nelle quali si è proceduto alla formulazione, predisposizione, individuazione e scelta degli ottanta quesiti previsti per la selezione al corso de quo, nonché delle correlate risposte alternative, così come comunicati dal Ministero, risultano assolutamente vaghi, incompleti e, comunque, insufficientemente dettagliati in merito all’esatto svolgimento delle predette attività ed ai criteri utilizzati.

In particolare, in essi non vi è alcun elemento idoneo dal quale evincere, in modo trasparente ed esaustivo, il procedimento adottato nella determinazione dei quesiti e delle risposte, con conseguente illegittimità del provvedimento, apparendo lo stesso, quantomeno, insufficientemente motivato.

Peraltro, a ben vedere, dall’esame dei verbali appare evidente che i tempi utilizzati dalla Commissione per la predisposizione dei quesiti e delle relative risposte (comprese quelle non corrette) ed, in generale, per il completamento delle attività ad essa demandate, sono stati del tutto insufficienti per poter svolgere con un minimo di adeguatezza e credibilità il compito affidato, ciò a dimostrazione della totale irragionevolezza ed illogicità del procedimento e del fatto che, verosimilmente, la Commissione si è limitata a scegliere, casualmente (random), quesiti e risposte già predisposti, non si sa da chi e sulla base di quali criteri.

II Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. – Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni – Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE – Decreto Ministeriale 11 giugno 2010 "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi ad accesso programmato a livello nazionale" – Eccesso di potere – illogicità – Violazione del giusto procedimento. – Violazione dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e trasparenza. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Illogicità e contraddittorietà manifesta.

Nei verbali comunicati veniva puntualizzato, fra l’altro, quanto segue: "I computer che hanno ospitato le domande sono formattati in modo irreversibile per evitare che possano rimanere files delle domande. Il Presidente conclude la riunione alle ore 15.00. Il segretario si assicura della distruzione di tutti i documenti contenenti gli abbozzi delle domande…"

Ebbene, operando in tal modo, la Commissione ha reso impossibile qualunque valutazione successiva sulla legittimità del suo operato, che, essendo preordinato all’esercizio di una pubblica funzione, avrebbe dovuto ispirarsi a canoni di correttezza, logicità, congruenza e proporzionalità.

La Commissione di esperti, deputata all’elaborazione degli ottanta quesiti del test di ammissione, è incorsa in grave e insanabile illegittimità per avere omesso la redazione di un qualche verbale attestante, sia pure sinteticamente, le operazioni che hanno condotto alla formulazione dei quesiti.

L’avere cancellato tutti i files e l’avere distrutto i documenti cartacei afferenti alla formulazione dei test si pone in contrasto – completamente disattendendolo – con il principio di trasparenza, ormai codificato dall’art. 1 della fondamentale legge n. 241/1990 tra i principi generali dell’attività amministrativa.
Motivi della decisione

Con il primo e il secondo motivo di gravame parte ricorrente assume che il M.I.U.R., nel programmare l’accesso ai corsi di laurea in questione, avrebbe mancato di emanare il regolamento di cui all’art. 3, comma l, della Legge 2 agosto 1999, n. 264. Né il regolamento previsto dalla legge potrebbe individuarsi in quello contenuto nel Decreto Ministeriale 21 luglio 1997, n. 245, che semmai avrebbe dovuto essere modificato sulla base dei principi e dei criteri direttivi elencati nell’ art. 3 della suindicata legge.

Deduce altresì parte ricorrente (secondo motivo) che nessuno dei provvedimenti contemplati dall’art. 2 (Programmazione e informazione) del menzionato D.M. n. 245/1997 è stato, comunque, adottato, per cui, ove anche si ritenga che il regolamento previsto dalla Legge 264/1999 sia quello da ultimo citato, le disposizioni in esso contenute avrebbero almeno dovuto essere integralmente attuate.

In sostanza con il primo e secondo motivo ci si duole della mancata attuazione del regolamento ministeriale previsto dall’art. 3 L. 264/99 e dei provvedimenti attuativi ex art. 2 D.M. 245/97.

Le doglianze sono prive di consistenza.

Ed invero osserva il Collegio che il citato articolo3 L. 264/99 è chiaramente norma programmatica e di indirizzo rivolta al Ministro dell’Università, cui demanda il compito di adeguare i regolamenti in precedenza emanati alla nuova disciplina, ma ciò non vuol dire che la mancata adozione della normazione secondaria comporti l’invalidità della normativa regolamentare predisposta in precedenza dal MIUR che rimane così ancora in vigore e ciò non fosse altro perché la disciplina introdotta dalla legge 264/99 ha un contenuto eminentemente ricognitivo rispetto alla precedente e pertanto la sua entrata in vigore non comporta l’automatica abrogazione della normativa antecedente. (cfr., Tar Lazio Sez. III bis 18.10.2000 n. 7138 TAR Firenze Sez. I,12 febbraio 2007 n. 197 – TAR Lazio Sez. III,8 novembre 2004 n. 12668).

Ne consegue che con l’entrata in vigore della L. 264/99 il potere della P.A. di disporre accessi programmati ai corsi di laurea delle professioni sanitarie, ha conseguito una sua specifica ed esaustiva copertura legislativa e tali disposizioni, fatto salvo quelle degli artt. 5 comma 3, 4 comma 1 e 3 comma 1, devono ritenersi immediatamente applicabili e non postulano quindi il necessario previo intervento del regolamento cui parte ricorrente fa riferimento (T.A.R. Lazio Roma, sez. III bis, 10 gennaio 2006, n. 189).

Più in particolare, tali disposizioni legislative, fatta eccezione per quelle espressamente indicate dall’art. 5, comma 3, e fatto salvo il necessario intervento dei DD.MM. di determinazione delle modalità e dei contenuti delle prove di ammissione e di definizione del numero dei posti disponibili (art. 4, comma l, seconda parte, e art. 3, comma l, lettere a) e b), della ripetuta legge del 1999) – sono immediatamente applicabili e "non postulano quindi il necessario previo intervento del regolamento" cui fa riferimento la ricorrente.

Da ciò consegue che tale regolamento, pur espressamente menzionato (con norma programmatica e di indirizzo) dalla predetta legge, non assume veste di presupposto necessario ed ineludibile per la disciplina procedimentale dell’accesso ai corsi di laurea a "numero chiuso.

D’altra parte il regolamento stesso (richiamato dalla L. n. 264/1999) di cui all’art. 9, comma 4, della legge n. 341/1990, concerne, per definizione legislativa espressa, "criteri generali per la regolamentazione dell’accesso" ed eventuali "limitazioni nelle iscrizioni" a determinati corsi universitari: ed, a seguito dell’intervento della Legge n. 264/1999, è direttamente nel relativo testo legislativo che sono contenuti, ad un tempo, le previsioni limitative dell’ accesso ai corsi di laurea in questione (cfr. art. 1) ed i "’principi e criteri direttivi" (cfr. art. 3) di regolamentazione dell’accesso stesso.

Sicché, "il contenuto di un eventuale regolamento, ex art. 9, comma 4, della legge n. 341/1990, sarebbe sostanzialmente confermativo e reiterativo" (T.A.R. Lazio Roma, sez. III bis, 10.01.2006, n. 189).

E del resto se la Legge n. 264/1999 è direttamente applicabile dalle Università, in base all’art. 5, comma 4, per la determinazione dei posti per i corsi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), e comma 2, non si vede perché non dovrebbe applicarsi per gli accessi ai corsi, come quello di cui trattasi, programmati a livello nazionale e dettagliatamente disciplinati dalla fonte primaria (cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio Roma, sez. III bis, 189/2006; Id., sez. III bis, 08.11.2004, n. 12668).

Consegue da quanto esposto anche la infondatezza della doglianza di cui al secondo motivo dato che i provvedimenti ex art. 2 del D.M n. 245/1997 sono previsti come adempimenti presupposti e preordinati allo svolgimento della procedura di determinazione dei posti universitari ad accesso limitato di cui al regolamento stesso del 1997, sicché, una volta riconosciuta l’irrilevanza di tale regolamento (ed in gran parte trasfusa la relativa disciplina direttamente in quella della Legge n. 264/1999) ai fini della regolamentazione dell’iter procedimentale di accesso ai corsi in esame viene ovviamente meno anche il riferimento ai provvedimenti in esso regolamento previsti(cfr. T.A.R. Lazio Roma, sentenze citate; nonché la sentenza 08.03.2006, n. 1842).

Con il terzo motivo parte ricorrente censura la determinazione del numero dei posti per carenza di motivazione o di istruttoria, in quanto risulterebbe essere stata adottata senza che fossero effettuati accertamenti precisi sulle potenzialità della sede universitaria resistente.

Le doglianze sono destituite in fatto ed in diritto non ravvisandosi nella specie carenza di motivazione od istruttoria inadeguata.

Ed invero osserva il Collegio come il decreto (anche ad ammettere la necessità di motivazione per un atto, quale esso è, di carattere generale – cfr., T.A.R. Lazio, sez. III bis, 31.08.2004, n. 8125 -) esplichi in termini chiari e perspicui l’iter logico giuridico seguito (e l’istruttoria esperita) per la determinazione dei posti disponibili per l’accesso al corso di laurea in esame.

Ed invero, come giustamente osservato dall’Amministrazione resistente, il M.I.U.R. ha seguito l’iter disciplinato dalla legge per la definizione dei posti a livello nazionale ed ha motivato le proprie determinazioni con riferimento agli atti endoprocedimentali intervenuti ed alle considerazioni e decisioni degli Atenei, conformemente a quanto stabilito dall’art. 3 della Legge 264/1999 e l’Ateneo resistente ha determinato l’offerta potenziale per l’accesso al corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia per l’a.a. 2010/2011 a fronte di un attento esame dell’effettiva capacità delle strutture e di ricognizione del personale docente e del personale tecnico così come prescritto dall’art. 3 della L.264/99, compilando apposite schede risorse esaminate dal Consiglio della Facoltà di Medicina e Chirurgia, che ha indicato in complessivi 300 (+ 5 per extra comunitari residenti all’estero) posti l’offerta potenziale per tale corso di studio. Di tale ricognizione, all’evidenza, ha tenuto conto il MIUR nella determinazione del numero programmato di accessi relativamente al corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia per l’a.a. 2010/2011.

Con il quarto motivo di gravame parte ricorrente formula due articolate doglianze entrambe infondate.

Con la prima doglianza parte ricorrente censura gli atti impugnati sostenendo che il Ministero avrebbe dovuto… determinare il numero complessivo dei posti a livello nazionale e la ripartizione di questi tra i singoli atenei, non solo in base alle capacità ricettive di ogni singolo ateneo, ma, ai sensi dell’art. 3, comma 1, letto a), anche in ragione del fabbisogno sanitario nazionale, relativo alla professione di odontoiatra per l’anno accademico 2009 – 2010, effettuata dal Ministero della Salute ai sensi dell’art. 6 ter del D. L.gs. n. 502/1992 e successive modifiche. Evidenzia altresì che alla data di emanazione del decreto, la rilevazione effettuata dal Ministero della Salute ai sensi dell’art. 6 ter del D. L.gs. n. 502/1992 e successive modifiche, non sarebbe ancora stata tradotta in Accordo formale in sede di Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, sicché la determinazione del numero dei posti da parte del Ministero sarebbe stata effettuata senza tenere conto del prescritto fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo, con la conseguenza che il decreto ministeriale risulterebbe essere stato adottato senza uno dei necessari atti presupposti.

La doglianza è destituita in fatto e smentita dalle risultanze documentali.

Ed invero osserva il Collegio come giustamente l’Amministrazione resistente evidenzi come dalle premesse del Decreto Ministeriale 2 luglio 2010 si evinca chiaramente che la definizione del numero di posti disponibili per le immatricolazioni al Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, A.A. 2010/2011, sia stata assunta, tra l’altro, "Vista la rilevazione relativa al fabbisogno professionale di odontoiatra per l’anno accademico 20102011 che il Ministero della Salute ha effettuato ai sensi dell’art. 6 ter del D.L.gs. n. 502/1992 e trasmesso in data 1 giugno 2010 alla Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome in vista del! "Accordo formale… ".

Con la seconda doglianza parte ricorrente contesta il criterio del "’fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo", in quanto contrario a norme costituzionali e comunitarie, riferito al solo livello nazionale e non a quello comunitario. Lamenta l’irrazionalità e l’incostituzionalità di una normativa che impone la determinazione del numero massimo di studenti da iscrivere ai corsi universitari sulla base del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo del momento, per professionalità che entreranno nel mondo del lavoro dopo non meno di sette anni… ", soggiungendo che "il diritto allo studio previsto dagli artt. 33 e 34 della Cost. non può essere limitato sulla base di criteri connessi al successivo accesso al mondo del lavoro, anzi ad un presupposto, ma non meglio specificato fabbisogno produttivo".

Le doglianze sono prive di fondamento.

Ed invero sotto il profilo della presunta violazione del diritto comunitario osserva il Collegio come il sistema del numero chiuso come sopra delineato sia coerente con i principi contenuti nella pronuncia n. 383/1998 della Corte Costituzionale (ed alle direttive comunitarie ivi richiamate) la quale ha riconosciuto la piena legittimità costituzionale del numerus clausus quale criterio di accesso ai corsi universitari, lasciando alla discrezionalità politica del legislatore l’individuazione dei criteri di determinazione dei posti disponibili.

Le direttive comunitarie richiamate dalla Corte Costituzionale concernono il reciproco riconoscimento, negli Stati membri, dei titoli di studio universitari sulla base di criteri uniformi di formazione, l’esercizio del diritto di stabilimento dei professionisti negli Stati dell’Unione nonché la libera prestazione dei servizi e riguardano, al momento, i titoli accademici di medico, medicoveterinario, odontoiatra e architetto.

Nelle sopra citate direttive comunitarie si rinviene, dunque, un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere predisponendo, per alcuni corsi universitari aventi particolari caratteristiche, misure adeguate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell’ apprendimento: ma non viene dettata alcuna disciplina riguardo alle predette misure. Queste sono, infatti, rimesse alle determinazioni nazionali e il legislatore italiano, come per lo più i suoi omologhi degli altri Paesi dell’Unione, ha previsto la possibilità di introdurre il numerus clausus per tali corsi.

Non si ravvisa pertanto nessun contrasto con il diritto comunitario.

Sotto il profilo della presunta violazione del il diritto allo studio previsto dagli artt. 33 e 34 della Cost., si rileva che persino l’affermazione di principio contenuta nell’ art. 2 del protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – secondo la quale "il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno" – non può essere tradotta automaticamente, come più volte confermato dalla Corte Costituzionale e dalla Giurisprudenza amministrativa, nell’affermazione che il diritto allo studio appartenga a tutti i cittadini indiscriminatamente.

A tale proposito, la Corte Costituzionale e la giurisprudenza amministrativa hanno "ripetutamente affermato la conformità del sistema legislativo vigente rispetto al diritto allo studio, il quale non appartiene indiscriminatamente a tutti i cittadini, ma solo ai più capaci e meritevoli, e deve essere, secondo le direttive comunitarie che costituiscono fonti normative vincolanti all’interno del nostro Stato, contemperato con l’esigenza di evitare il sovraffollamento. onde realizzare un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere, predisponendo misure adeguate a garanzia delle previste qualità teoriche e pratiche dell’apprendimento. Non è, pertanto, ravvisabile un contrasto tra le L. 2 agosto 1999, n. 264, che pone una limitazione all’accesso all’Università, e gli artt. 2, 3, 33 e 34 Cost., in quanto la previsione del c.d. numero chiuso non rappresenta una limitazione arbitraria del diritto allo studio, ma una garanzia di qualità dell’insegnamento, secondo standard europei. " (T.A.R. Liguria – Genova, sez. II, 17 febbraio 2003, n. 184).

Si tratta di una limitazione che non può determinare alcun sospetto di illegittimità costituzionale del sistema, in considerazione delle ragioni che impediscono, anche alla stregua di norme e principi comunitari, iscrizioni indiscriminate e sovradimensionate rispetto alle potenzialità del sistema universitario (TAR Lazio, sez. III, 10.1.2006, n. 189, ma vd. anche: TAR Lazio, sez.III, 6 ottobre 2005, n. 7937; TAR Lazio, sez. III, 27 luglio 2005, n. 6020).

Senza contare che l’art. 34 Cost. non implica che l’accesso all’istruzione universitaria debba essere garantito senza condizioni ed indiscriminatamente a tutti i cittadini, ma presuppone, piuttosto, che l’eventuale introduzione di limitazioni sia fondata su procedure e criteri selettivi funzionali alla valorizzazione della capacità e del merito degli aspiranti, in attuazione del principio di uguaglianza nonché in osservanza dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa: né si ravvisano sotto tale profilo sospetti di incostituzionalità correlati alla procedura selettiva a quiz di cultura generale che non presenta, proprio per la natura selettiva d’ingresso vizi di illogicità manifesta.

Del pari infondato si appalesa il quinto motivo di gravame con il quale si lamenta la violazione dell’autonomia universitaria sul rilievo che i criteri selettivi, le modalità di svolgimento delle prove ed il contenuto dei test sarebbero stati fissati a livello nazionale esautorando gli Atenei.

Osserva infatti il collegio che la questione è da considerarsi senz’altro superata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 383 del 27 novembre 1998, che l’ha affrontata in base alla ripartizione di competenze all’epoca vigente tra il Ministero dell’istruzione e dell’università, le Università e l’Ordinamento Comunitario rigettando la questione di legittimità costituzionale del comma 4 l. 19 novembre 1990 n. 341 ("Riforma degli ordinamenti didattici universitari"), come modificato dall’art. 17 comma 116 l. 15 maggio 1997 n. 127 ("Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo"), sollevata, in riferimento agli art. 3, 33, 34 e 97 cost., rilevando che, "stante la riserva di legge posta dagli art. 33 e 34 cost., tale disposizione, infatti, non deve essere intesa nel senso che conferisce al Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica un libero potere circa la determinazione delle scuole e dei corsi universitari ad accesso limitato; ma occorre che sia inserita in un contesto di scelte normative sostanziali predeterminate, tali che il potere dell’amministrazione sia circoscritto secondo limiti e indirizzi ascrivibili al legislatore." Più chiaramente: "Non viola il principio della riserva relativa di legge la norma che attribuisce al Ministro per la ricerca scientifica il potere di delimitare il numero degli accessi all’Università, poiché i criteri cui tale potere è vincolato possono trarsi dalle previgenti direttive comunitarie sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio negli Stati membri, che hanno trovato attuazione nei relativi decreti legislativi." (Corte costituzionale n. 383 del 1999 cit.).

Quanto poi all’ asserita carenza di preventiva attività di informazione degli studenti sui contenuti delle prove e sui testi per la preparazione, alla contestazione del tipo di prove prescelte in ambito ministeriale ed allo svolgimento delle prove in unica data a livello nazionale e senza formazione di una graduatoria unica (quinto motivo sub 2 e 3) le doglianze risultano, in parte, infondate dato che l’Amministrazione aveva per tempo stabilito in cosa consistevano le prove, indicando i relativi programmi e i criteri di valutazione ed, in parte, inammissibili perchè tese a censurare il merito della discrezionalità amministrativa che non risulta esercitata in modo illogico e contraddittorio.

Relativamente al nel sesto motivo con il quale, che parte ricorrente ipotizza essersi verificate situazioni che abbiano comportato la violazione della segretezza dei quiz e la diffusione di informazioni a studenti di altre sedi, le correlate doglianze si risolvono in affermazioni ipotetiche, sfornite di qualsiasi elemento, anche minimo, di prova e del tutto indimostrate.

Analogamente inammissibile, perchè tesa a censurare il merito della discrezionalità amministrativa che non risulta esercitata in modo illogico e contraddittorio, si appalesa il settimo motivo di gravame con il quale parte ricorrente si duole che "… il criterio di individuazione della risposta corretta, utilizzato per la selezione dell’anno accademico oggetto della presente impugnativa, risulta essere, irragionevole e non congruo", atteso che non esisterebbe "un criterio assoluto ed oggettivo per stabilire o, comunque, individuare se una risposta possa considerarsi arbitraria o più o meno probabile".

Con l’ottavo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta l’erroneità o, comunque, l’ambiguità di molte delle domande scelte dalla Commissione; il che avrebbe"influito sulla regolarità dello svolgimento dell’intera procedura selettiva, in considerazione della differente possibile incidenza di tale elemento di disturbo sulla prova dei diversi candidati, i quali hanno subito un oggettivo pregiudizio dalla presenza, tra i quiz componenti la prova di esame, di quesiti con risposta errata e/o quantomeno dubbia".

Tali censure, che si risolvono in mere allegazioni di parte, come vere e proprie censure di merito delle scelte di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione inammissibili in questa sede basandosi su affermazioni apodittiche, analogamente alle considerazioni formulate con il nono motivo, con cui si deduce genericamente, una "mancanza di trasparenza sul punto", si risolvono mediante le suindicate considerazioni.

Parimenti, infondate risultano le doglianze contenute nel decimo motivo di gravame con cui si lamenta la mancata redistribuzione" tra gli studenti comunitari dei posti in ipotesi rimasti vacanti nell’ambito di quelli originariamente riservati agli studenti extracomunitari non residenti in Italia (decimo motivo).

Ed invero già il Consiglio di Stato" (C.d.S., sez. VI, 30.12.2005, n. 7622)., ha avuto modo di chiarire che "la possibilità di un trasferimento da una graduatoria all’altra deve essere esclusa in quanto quella riservata agli extracomunitari non residenti in Italia è finalizzata alla formazione di personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare nel proprio paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana; la quale, invece, resta incisa dagli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno. Peraltro questa Sezione con sentenza 27 aprile 2010, n. 8622 ha posto in evidenza che "…in materia di concorso unico per l’ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, i posti non assegnati riservati agli studenti non comunitari non possono essere destinati agli studenti italiani e comunitari, essendo la prima graduatoria finalizzata alla formazione di personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare nel proprio Paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana", senza contare che "La mancata copertura dei posti relativi alle quote riservate a cittadini extracomunitari a favore degli studenti italiani non dà luogo a disparità di trattamento e violazione dei principi di trasparenza e buon andamento dell’amministrazione" (cfr. sentenza, 10 marzo 2010, n. 3652.

Con riferimento all’undicesimo motivo di ricorso, con la quale parte ricorrente riprospetta la questione di legittimità costituzionale ex art.2,10 e 97 Cost., valgono le medesime considerazioni svolte in sede di esame del quarto motivo di gravame non senza sottolineare come l’affermazione di principio secondo cui "il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno" – non può essere tradotta automaticamente, come più volte confermato dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa, nell’affermazione che il diritto allo studio appartenga a tutti i cittadini indiscriminatamente ma deve essere contemperato con l’esigenza di evitare il sovraffollamento, onde realizzare un preciso obbligo di risultato che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere, predisponendo misure adeguate a garanzia delle previste qualità teoriche e pratiche dell”apprendimento.

Non è, pertanto, ravvisabile un contrasto tra la L. 2 agosto 1999, n. 264, che pone una limitazione all’accesso alle Università, e gli artt. 2, 3, 10, 33, 34 e 97 Cost., in quanto la previsione del c.d. numero chiuso non rappresenta una limitazione arbitraria del diritto allo studio, ma una garanzia di qualità dell’insegnamento, secondo standard europei.

Del pari infondato risulta il dodicesimo motivo gravame, con il quale si lamenta l’inosservanza del termine di sessanta giorni tra la pubblicazione del bando e l’effettuazione delle prove selettive ex l’art. 4, comma 1, della Legge n. 264 del 1999, data la natura non perentoria del suddetto termine (cfr T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 01.08.2007, n. 7203) precisandosi al riguardo che, laddove dispone che l’espletamento delle prove deve seguire di almeno sessanta giorni la pubblicazione del bando, l’art. 4, comma 1, della Legge n. 264 del 1999 si riferisce al decreto ministeriale che fissa su scala nazionale la data di svolgimento delle prove, definendone anche i programmi, e non ai bandi dei singoli atenei.

Con un’articolata doglianza contenuta nel primo e secondo motivo aggiunto parte ricorrente lamenta la vaghezza, l’incompletezza e comunque, gli insufficienti dettagli in merito all’esatto svolgimento delle attività ed ai criteri utilizzati per la formulazione, la predisposizione, l’individuazione e la scelta degli ottanta quesiti previsti per la selezione al corso de quo, nonché delle correlate risposte alternative da parte della Commissione ministeriale, contestando la circostanza che la commissione medesima abbia, al termine delle operazioni di individuazione dei medesimi, formattato in maniera irreversibile i computer che hanno ospitato le domande, per evitare che potessero rimanere files delle stesse, e distrutto i documenti cartacei afferenti alla formulazione dei test in violazione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa.

La doglianza è priva di consistenza.

Deve al riguardo osservarsi che in assenza di statuizioni prescrittive di livello primario non si rinviene alcun obbligo a carico della Commissione ministeriale di formulazione di preventivi criteri di massima né di esternazione dei medesimi nella correlata verbalizzazione dei lavori dell’organo collegiale.

Né la formattazione irreversibile dei computer che avevano ospitato le domande e la distruzione dei documenti cartacei afferenti alla formulazione dei test costituisce violazione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa, costituendo meri fatti o atti tecnici prodromici alla fase procedimentale propriamente detta, per la quale la norma primaria non prescrive alcun obbligo procedimentale: ed in assenza di statuizioni normative al riguardo, la loro distruzione può correttamente ispirarsi al principio della garanzia della segretezza delle prove.

Premesso che l’attività di formulazione e di scelta dei quesiti sottoposti ai candidati, non formano oggetto di potestà discrezionale da parte dei singoli Atenei, si precisa che gli stessi sono, invece, solamente chiamati a rispondere delle eventuali violazioni concernenti gli adempimenti procedurali connessi al concorso. Nella fattispecie alcuna contestazione viene mossa dai ricorrenti nei motivi aggiunti in merito alla procedura.

Sulla base delle suesposte considerazioni il ricorso ed i motivi aggiunti indicati in epigrafe devono essere respinti.

Le spese di giudizio possono tuttavia essere equitativamente compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) pronunciando sul ricorso ed i motivi aggiunti indicati in epigrafe li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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