Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-07-2011) 14-07-2011, n. 27625 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 19 settembre 2010 il Tribunale di Velletri, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza avanzata da M.S., volta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p., ritenendo ostativi la diversità dei titoli di reato oggetto delle sentenze di cui al provvedimento di unificazione di pene concorrenti adottato dal locale Procuratore della Repubblica in data 21 gennaio 2010 e le differenti modalità di commissione dei delitti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione ai quali il Tribunale di Velletri aveva pronunziato sentenze di condanna rispettivamente in data 3 aprile 2008 e 14 aprile 2008. 2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, M., il quale lamenta erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al diniego della continuazione in sede esecutiva.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. L’art. 671 c.p.p. attribuisce al giudice il potere di applicare "in executivis" l’istituto della continuazione e di rideterminare le pene inflitte per i reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili secondo i criteri dettati dall’art. 81 c.p..

Peraltro, la possibilità di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva ha carattere sussidiario e suppletivo rispetto alla sede di cognizione, stante il carattere più completo dell’accertamento e la mancanza dei limiti imposti dall’art. 671 c.p.p. (Sez. 6, 8.5.2000, sent.n. 00225, ric. P.G. in proc. Mastrangelo e altri, riv. 216142).

In tema di reato continuato, tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo. Anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti indici – purchè siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo in questione – il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni (Sez. 1, 20.4.2000, seni n. 01587, rie.

D’Onofrio, riv. 215937).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per aversi unicità del disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che, quando si commette la prima azione, già si sono deliberate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono essere ricollegate ad un’unica previsione, di cui i diversi reati costituiscano la concreta realizzazione, cosicchè i reati successivamente commessi devono essere delineati fin dall’inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il requisito psicologico indicato nell’art. 81 c.p. con un generico programma delinquenziale.

Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. la "cognizione" del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumo essere "in continuazione".

Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate dall’istante e fornendo del tutto esauriente valutazione. La decisione del giudice di merito, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, 7.5.1992, sent. n. 01060, ric. Di Camillo, riv. 189980; Sez. 1, 7.7.1994, sent. n. 02229, rie. Caterino, riv. 198420; Sez. 1, 30.1.1995, sent. n. 05518, ric. Montagna, riv. 200212).

2. Il provvedimento del Tribunale di Velletri è conforme a tali principi giuridici, in quanto ha analiticamente valutato il contenuto delle diverse sentenze, oggetto dell’istanza di applicazione dell’istituto di cui all’art. 671 c.p.p., ha evidenziato i punti di difformità, ha ricostruito, sulla base delle stesse, le condotte poste a fondamento delle diverse condanne, le loro modalità di commissione, l’elemento soggettivo che ha sorretto ciascuna di esse, le causali dei vari reati, il contesto in cui essi si collocano.

Dopo questa disamina, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici e, conseguentemente, non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto di non ravvisare l’unicità del disegno criminoso, tenuto conto della diversità dei beni giuridici lesi ovvero delle diverse modalità delle condotte e ha altresì spiegato, anche con riferimento ai due episodi di violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, oggetto delle sentenze del Tribunale di Velletri del 3 aprile 2008 e del 14 aprile 2008 le ragioni per le quali, pur in presenza di violazione della medesima norma incriminatrice, le differenti modalità di commissione degli illeciti (cessione in concorso con altra persona nel primo caso e detenzione all’interno dell’abitazione nel secondo caso) erano ostative all’accoglimento della domanda.

D’altra parte l’identità del movente e la condizione di tossicodipendenza non sono, di per sè, sufficienti a configurare l’unicità del disegno criminoso, che non va confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto (Sez. 1, 12 marzo 1996, n. 785).

Non legittimano, pertanto, la presunzione di medesimezza del disegno criminoso nè l’omogeneità delle varie violazioni della legge penale nè la permanenza del proposito criminoso. Tali elementi, infatti, sono indicativi unicamente del movente sotteso ai reati posti in essere, ma non costituiscono di per sè prova della originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro caratteri essenziali, sintomatiche dell’istituto della continuazione.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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