Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-07-2011) 14-07-2011, n. 27618

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 27 febbraio 2008 il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, dichiarava B.G. responsabile della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 2, e lo condannava alla pena di cinquecento euro di ammenda.

A B. è contestato di avere, nella qualità di gestore di un ristorante, mediante abuso degli strumenti sonori dei complessi musicali attivi presso il locale nelle serate di venerdì e sabato dalle 17-18 in poi, fino a notte inoltrata, disturbato l’occupazione e il riposo delle persone dimoranti nei pressi e, in particolare, di F.N., V.G., P.G., D.L. E., C.D., D.V.C..

2. Avverso la citata sentenza ha proposto appello (convertito in ricorso per cassazione), tramite il difensore di fiducia, B., il quale lamenta: a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità; b) erronea applicazione della legge penale, essendo il fatto contestato sussumibile nell’ipotesi dell’art. 659 c.p., comma 2, e non in quello del primo comma, tenuto conto del fatto che il superamento del livello di rumore consentito è avvenuto nella fascia oraria compresa nell’autorizzazione; c) violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. La prima censura è manifestamente infondata.

Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1, 9 novembre 2004. ric. Santapaola, rv. 230203).

In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento ai di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2 e agli elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità, non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di porre in essere la condotta criminosa di cui all’art. 659 c.p., comma 2. 2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

L’art. 659 c.p. disciplina, rispettivamente nel primo e nel secondo comma, due distinte ipotesi di reato contravvenzionale.

Il comma 1 prevede un reato a forma vincolata – che quindi nessuno spazio riserva all’etero-integrazione da parte di altre fonti – per la cui sussistenza occorre che i rumori prodotti non siano connaturati all’attività lavorativa e che quest’ultima ecceda il normale esercizio o costituisca un uso smodato dei mezzi tipici di essa. I rumori devono superare la normale tollerabilità e determinare un’oggettiva situazione, potenzialmente idonea a recare disturbo ad un numero indeterminato di persone. La valutazione circa l’entità del fenomeno rumoroso va effettuata secondo parametri riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente ove i rumori fastidiosi vengono percepiti (Sez, 1, 23 maggio 1996, n. 6761; Sez. 1, 24 aprile 1996, n. 5714; Sez. 1, 25 maggio 2006, n. 30773).

Nel caso disciplinato dall’art. 659 c.p., comma 2, invece, la professione o il mestiere produttivi dell’effetto lesivo (disturbo della quiete pubblica) devono essere di per se stessi rumorosi e devono essere esercitati in forma irregolare ossia in violazione delle specifiche disposizioni dettate dalla competente autorità amministrativa, volte a disciplinare e determinare specificamente le modalità spaziali e temporali dell’esercizio delle attività di lavoro rumoroso, con conseguente presunzione iuris et de iure del disturbo, connesso all’irregolare espletamento delle predette attività. La fattispecie è incentrata, quindi, sul disvalore della condotta a prescindere dagli effetti da essa prodotti (Sez. 1, 26 giugno 1986, n. 6180; Sez. 1, 13 maggio 1994, n. 7482; Sez. 1, 29 novembre 1996, n. 2646; Sez. 1, 23 maggio 1998, n. 9728; Sez. 1, 26 luglio 2004, n. 32468).

3. Alla stregua di questi principi, le censure difensive sono, all’evidenza, prive di pregio, atteso che la sentenza impugnata ha ricondotto la condotta contestata al ricorrente nell’ambito di previsione di cui all’art. 659 c.p., comma 2 atteso che i rumori prodotti erano connaturati all’esercizio dell’attività ma che quest’ultima eccedeva il normale esercizio e costituiva un uso smodato dei mezzi tipici di essa anche in ore notturne, malgrado il divieto contenuto nell’autorizzazione a tenere manifestazioni musicali nel locale oltre le ore 23,30. 4. Manifestamente infondata è anche l’ultima censura, atteso che la sentenza impugnata, in aderenza ai principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte, ha fondato la dosimetria della pena e il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla gravità degli effetti dell’azione di disturbo arrecata ad un elevato numero di persone residenti nella zona, sul loro carattere prolungato nel tempo. Avuto, inoltre, riguardo alle complessive modalità del fatto e alla personalità del suo autore ha correttamente ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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