Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-07-2011) 14-07-2011, n. 27616

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’assise d’appello di Catanzaro, confermava la decisione di primo grado nei confronti di D.G., D.A., G.C., V.P.S. e G. M. in relazione all’omicidio di M.A., aggravato dalla premeditazione, dal numero delle persone superiore a 5, e dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, e in relazione ai delitti di detenzione e porto illegale di armi, ricettazione di armi, ricettazione di un motorino contestati al solo V., al quale riduceva la pena previa concessione delle attenuanti generiche.

Il procedimento riguarda l’uccisione di persona del tutto estranea al mondo della criminalità che veniva attinta da numerosi colpi di arma da fuoco mentre stava leggendo un giornale su una panchina in una pausa del proprio lavoro di operano forestale; immediatamente appariva che la sua morte era stata frutto di un tragico errore di persona, in quanto pochi minuti prima, seduto su quella panchina, vi era altro operano forestale, S.G., intento a leggere il medesimo giornale, pluripregiudicato, capo del clan omonimo, di fattezze fisiche del tutto simili a quelle della vittima. Osservava la corte che da anni era in atto una guerra di mafia tra i componenti del suddetto clan S. e quello antagonista Sc. – M., che aveva determinato la morte di numerosi affiliati.

Tale tesi investigativa trovava una prima conferma in un colloquio intercettato in carcere tra i fratelli S.U. e G., nel quale i due commentavano il tragico errore che aveva consentito a G. di salvarsi.

Ulteriori indagini di P.G. consentivano di rinvenire all’interno del carcere di (OMISSIS) un telefono cellulare, nascosto in un ripostiglio, altro telefono cellulare e due carte SIM nella disponibilità di Gi. e foglietti con numeri di telefono cellulare, in base ai quali ritrovamenti poteva accertarsi che sia Gi. che D. G. avevano avuto la possibilità di comunicare con l’esterno, e che la ricarica di una delle carte SIM era stata effettuata da D. A. e G.C., genitori di D.G.. In conseguenza di tale rinvenimento il Magistrato di sorveglianza disponeva la sottoposizione della corrispondenza del detenuto a visto di controllo.

Nell’ottobre 2004 Gi.Ma. chiedeva di rendere dichiarazioni allo scopo di ottenere la revoca dei provvedimenti disciplinari da lui subiti a seguito dei rinvenimenti in carcere del telefono e di aiutare gli inquirenti a far luce sull’uccisione di un innocente; successivamente chiedeva di collaborare anche B. A., uno degli autori materiali dell’omicidio. Gi. aveva riferito per conoscenza diretta che mandante dell’omicidio era stato D.G., il quale si era avvalso dell’aiuto di B. M. (per il quale la posizione veniva stralciata nella odierna udienza del giudizio di legittimità per un difetto di notifica al difensore di fiducia) che gli aveva trovato i due killer, che all’esterno del carcere i genitori di D. erano stati il punto di riferimento e così la moglie di Bl., D.M.S.; che Bl. aveva comunicato con l’esterno tramite il telefono cellulare trovato privo di carta SIM perchè masticata da costui quando aveva capito di essere stato scoperto; a seguito dell’errore di persona erano sorti dei contrasti tra D. e Bl. sul pagamento del compenso, che poi erano stati appianati con l’accordo che Bl. avrebbe provveduto a ritentare l’agguato e D. avrebbe pagato. B. aveva riferito di essere stato uno degli esecutori materiali insieme a V.P., di aver ricevuto l’incarico da Bl. e di aver avuto contatti con i genitori di D. e la moglie di Bl..

I riscontri a dette dichiarazioni si rinvenivano nell’esame dei tabulati telefonici, nell’esito delle intercettazioni sull’utenza di D.M.S., nei contenuti della corrispondenza tra la D. M. e Gi. e tra Bl. e D. dal rinvenimento di una cartuccia nell’auto di V., dal sequestro del casco utilizzato dai killer e dal rinvenimento di numerose armi a seguito della collaborazione di B.. A questi elementi si aggiungevano i verbali delle dichiarazioni di S.G., vittima designata, nel frattempo divenuto collaboratore.

In presenza di tale materiale probatorio la Corte territoriale riteneva infondate le richieste di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale; quella volta ad effettuare una nuova perizia psichiatrica nei confronti di D.G. onde verificare la sua capacità di stare in giudizio, visto che il perito, nominato dalla Corte aveva rappresentato in dibattimento le ragioni della ritenuta piena capacità dell’imputato a stare in giudizio; e tutte le altre richieste avanzate a vario titolo dagli imputati in quanto inidonee ad acquisire contributi rilevanti al processo e inconferenti rispetto ad una eventuale alternativa spiegazione dell’evento.

Valutava in primo luogo l’attendibilità di Gi.Ma., legato a D.G. da un rapporto di fiducia e confidenza, tanto che costui gli aveva confidato il proposito di uccidere S. e lui stesso si era incaricato in un primo momento di trovargli i killer, i quali però mentre si recavano dai genitori di D. avevano avuto un incidente stradale, per cui tutto era andato a monte.

Nel frattempo era giunto in carcere Bl., da lui conosciuto, il quale si era fatto carico di portare a termine il proposito criminoso di D., in cambio della somma di dieci milioni di lire.

Dopo il fatto aveva saputo dallo stesso Bl. che vi era stato l’errore di persona, aveva saputo dei contrasti sul compenso pattuito e delle lettere scambiate tra i due, dove era stato utilizzato un linguaggio criptico nel senso che quando si parlava di "tuta" ci si riferiva all’omicidio. Una parte del denaro costituente il compenso era stato ritirato dalla moglie di Bl. e la stessa era stata fermata con parte di quella somma, quando era uscita dal carcere dopo aver lasciato al marito solo cinquantamila lire.

B. aveva raccontato fatti assolutamente coincidenti, ed aveva riferito che era stato contattato tramite il fratello di Bl., aveva avuto contatti con i genitori di D., aveva scelto V. come esecutore, aveva deciso di utilizzare il motorino per eseguire l’omicidio, aveva pattuito un compenso di cinquantamilioni di lire; aveva poi raccontato minuziosamente come si erano svolti i fatti e cosa era accaduto successivamente.

Gli inquirenti avevano poi accertato che i cellulari in uso ai due esecutori materiali erano stati presenti nel territorio di Paola il giorno dell’omicidio, che la moglie di Bl., D.M.S., era stata in contatto con gli altri coimputati nell’omicidio, già giudicati con altro processo. Gi. poi consegnava agli inquirenti 7 lettere ricevute dalla D.M., sia direttamente sia tramite altro detenuto, nelle quali costei gli raccontava che uno dei killer era suo cugino B. e che il marito Bl. aveva poi commissionato a B. anche il suo omicidio, a causa della sua relazione con altro uomo.

Dieci giorni dopo l’omicidio nell’auto di V. gli inquirenti trovavano una munizione dello stesso calibro e della stessa marca di quelle utilizzate per l’omicidio e il perito aveva rilevato dei segni dai quali desumere che fosse stata caricata nella stessa arma usata per l’omicidio; la consulenza di parte che aveva rilevato come non vi fosse la certezza assoluta, non aveva rilievo visto che nel quadro complessivo delle prove già acquisite tale elemento aveva una forte capacità dimostrativa.

Successivamente all’omicidio M., gli inquirenti avevano identificato insieme ancora i due killer in posizione sospetta ai fini di realizzare altri tentativi di uccidere il S..

Ulteriori riscontri si rinvenivano nelle conversazioni intercettate col consenso di Gi. tra lui e la D.M. nelle quali la donna rivelava che l’altro esecutore materiale era stato V., il quale era anche fuggito con una parte del compenso.

B. aveva poi condotto gli inquirenti sul luogo dove lui e V. avevano provato l’arma e li avevano rinvenuto numerose ogive esplose dalla medesima arma.

Le lettere intercorse tra Bl. e D. rappresentavano i contrasti insorti sul pagamento del compenso, i rapporti con i genitori di D. e i successivi tentativi di portare a termine l’originario proposito criminoso.

Il medico legale che aveva effettuato l’autopsia, assunto in dibattimento, aveva rilevato che la ricostruzione alternativa effettuata da B. sulle modalità concrete di esecuzione dell’omicidio, ben poteva corrispondere alla realtà, essendo compatibile con i riscontri oggettivi, mentre la sua ricostruzione era stata una ricostruzione su una sua ipotesi.

S., dopo che aveva intrapreso la strada della collaborazione, aveva confermato di essere stato la vittima designata, aveva riferito dei motivi di contrasto tra i due clan ed in particolare con D..

Di fronte a questo quadro probatorio doveva essere confermata la condanna di primo grado mentre erano prive di fondamento le questioni processuali sollevate dalla difesa di numerosi imputati. Non sussisteva alcuna genericità del capo di imputazione, anche perchè la specificazione dei ruoli di tutti gli imputati, anche di quelli che non facevano parte di questo processo, era doverosa e non creava alcuna difficoltà di lettura.

Non vi era stata alcuna violazione del legittimo impedimento a partecipare all’udienza del 6/11/2007 dei difensori di D. G. visto che l’impegno in cassazione di uno solo dei due era per il giorno dopo; non vi era stata alcuna violazione di legge per l’omessa notifica al medesimo del rinvio dell’udienza del 18/3/2008, in quanto il rinvio al giorno dopo per motivi di salute era avvenuto sulla base di un calendario di udienze prefissato e conosciuto dalle parti. Non vi era stata alcuna violazione neh"aver previsto la videoconferenza per D. e Bl. visto che si trattava di reati di criminalità organizzata, che vi erano le precarie condizioni di salute del D. e le gravi ragioni di sicurezza per Bl., avendo il DAP comunicato di un progetto di evasione; le modalità di svolgimento del video collegamento erano del tutto regolari visto che ben poteva svolgere assistenza anche un agente di polizia giudiziaria, mentre la mancanza della sottoscrizione del detenuto nel verbale non era causa di nullità, trattandosi di irregolarità solo formale. Respingeva le eccezioni di nullità degli interrogatori resi da Gi.Ma. anche in presenza del difensore, fondata sul fatto che in precedenza alcuni interrogatori erano stati resi senza la presenza del difensore, in quanto la Suprema Corte, che si era pronunciata in sede cautelare, aveva escluso che sussistesse nell’ordinamento un principio di inutilizzabilità consecutiva dei mezzi di prova e che la nullità dei primi interrogatori non si rifletteva su quelli successivi nei quali per altro aveva confermato interamente le dichiarazioni rese in precedenza, richiamandole per relationem.

Erano del tutto utilizzabili le lettere scritte dalla D.M. e consegnate alla P.G. dal destinatario Gi.Ma. ed anche quelle formalmente inviate ad altro detenuto, ma destinate a lui;

così come erano state formalmente acquisite con provvedimenti di sequestro quelle di P. e di C..

Quanto alla corrispondenza tra D. e Bl. le missive erano state acquisite in copia presso la casa circondariale in quanto D. era già sottoposto a visto di controllo con decreto motivato del magistrato di sorveglianza e quindi, come sempre affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ben potevano esser acquisite senza bisogno di un provvedimento formale di sequestro e senza che si dovesse informare il detenuto di ciò, in quanto le lettere erano state fotografate e poi consegnate in originale al detenuto.

Del tutto utilizzabili erano le conversazioni telefoniche intercettate tra Gi. e D.M. in quanto il primo aveva acconsentito alla registrazione su richiesta della P.G. e l’acquisizione al processo del contenuto era avvenuta attraverso il meccanismo di cui all’art. 234 c.p.p., cioè come documentazione fonografica del colloquio; tale intercettazione era stata autorizzata in via d’urgenza dal P.M. e il GIP aveva convalidato limitatamente alla utenza in uso alla D.M.. In relazione alle incongruità dedotte sulla ricostruzione delle modalità esecutive dell’omicidio da parte del B. rispetto alla perizia autoptica osservava che il perito in dibattimento aveva precisato che la ricostruzione da lui operata era solo una delle possibilità, ma che era ben possibile prospettare altre ricostruzioni ugualmente valide visto che i colpi che avevano attinto la vittima agli arti inferiori e superiori non erano stati vitali; l’aver B. riferito di aver colpito la vittima al petto ben poteva essere frutto della inesatta percezione della traiettoria dei colpi sparati in un momento di forte concitazione.

Confermava il giudizio di piena attendibilità delle dichiarazioni di Gi. e B. alla luce della giurisprudenza di legittimità sull’art. 192 c.p.p..

La credibilità soggettiva di Gi. era molto forte, tenuto conto che si era accusato del grave delitto senza che vi fosse alcun sospetto ai suoi danni, così come aveva riferito il ruolo dei correi in assoluta autonomia senza che potesse essere stato condizionato da notizie inerenti le indagini in corso. La sua attendibilità intrinseca era dimostrata dalla mancanza di motivi di astio o rancore nei confronti dei correi, non era un dichiarante de relato ma aveva vissuto come protagonista l’organizzazione dell’omicidio, avendo fatto da tramite tra D. e Bl.; alle sue dichiarazioni vi erano stati numerosi riscontri quali lo stato di codetenzione dimostrato tra tali soggetti, la disponibilità dei telefonini all’interno del carcere, la corrispondenza acquisita tra D. e Bl.. La credibilità soggettiva di B. era conclamata dal fatto che immediatamente aveva confessato la sua partecipazione all’omicidio riferendo circostanze inedite e affermando di essere stato vinto dal rimorso di aver ucciso una persona del tutto innocente; non era mai emerso che il collaboratore avesse avuto possibilità di contattare Gi., che neppure conosceva, e non vi era alcun problema di autonomia delle notizie riferite; aveva fornito numerosi riscontri oggettivi agli inquirenti consentendo di rinvenire armi e munizioni esplose con la medesima arma utilizzate per il delitto. Tra tutti i correi sussisteva il concorso di persone nel delitto di cui all’art. 110 c.p. in quanto i plurimi segmenti di una unica condotta concorsuale si erano inseriti nella vicenda delittuosa in modo strumentale alla realizzazione dell’evento, mediante un verifica ex post; D.G. era stato il mandante, ruolo assolutamente certo alla luce dei numerosi riscontri quali il sequestro del telefono cellulare e i tabulati acquisiti; V. era stato l’esecutore materiale insieme a B., come confermato da B. e dalla conversazione intercettata con la D.M., dal rinvenimento nella sua auto di una munizione identica a quelle usate nel delitto; Gi. era stato reo confesso sul suo ruolo di partecipazione all’organizzazione; G.C. e D. A., genitori di D. si erano prestati a svolgere funzioni di collegamento tra il figlio in carcere e i killer, ben consapevoli dello scopo di questo ingaggio, avevano effettuato i pagamenti, avevano tenuto i contatti col figlio, come emergeva anche dalle lettere inviate dalla D.M. a Gi. e quelle tra D. e Bl..

Da queste considerazioni emergeva che non vi era alcuna possibilità di configurare il tentativo o la desistenza nei confronti di Gi., e gli artt. 114 e 118 c.p., nei confronti di D. G.. Sussisteva l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, inserendosi il fatto in una guerra di mafia ed essendo stato commesso per rafforzare il potere della cosca di appartenenza; vi era l’aggravante del numero delle persone, essendo stati già condannati per il medesimo omicidio altre due persone; vi era certamente la premeditazione per la lunga e complessa programmazione dell’omicidio.

In relazione al trattamento sanzionatorio escludeva che potessero riconoscersi le attenuanti generiche a D. e ai suoi genitori.

L’unico al quale potevano riconoscersi per l’incensuratezza e per la mancanza di autonomia nell’azione era V. e quindi ne riduceva la pena. Avverso la sentenza presentavano ricorso tutti gli imputati e deducevano quanto a Gi.Ma..

Mancanza e illogicità della motivazione in relazione alla denegata dichiarazione di non punibilità per desistenza, avendo egli tenuto una condotta tra il testimone e l’imputato e non avendo dato alcun contributo nè materiale nè morale, in termini di causa efficiente, alla realizzazione del reato; infatti dopo il fallimento del primo tentativo di trovare i killer, si era limitato a presentare a D. il Bl. e poi si era disinteressato all’evento e proprio questo comportamento aveva rappresentato la sua desistenza dall’originario proposito; da quel momento si era disinteressato dell’organizzazione, se dopo l’omicidio era rimasto informato delle controversie economiche tra i due ciò dipendeva da una loro volontà e non da un interesse del detenuto; la circostanza che avesse introdotto in carcere i telefonini aveva nei suoi confronti un rilievo solo sentimentale in quanto gli serviva per tenere i contatti con le sue due amanti e infatti dall’esame dei tabulati non emergeva alcun contatto con gli esecutori materiali dell’omicidio che neppure conosceva. La promessa di denaro proveniente da D.G. e Bl. era conseguenza di una sorta di stima personale ma non era certo frutto di una pretesa di Gi.; il telefonino che aveva donato a Bl. su sua richiesta aveva come scopo quello di tenere i contatti con la propria figlioletta e se aveva assistito a qualche telefonata sull’organizzazione dell’omicidio non ne aveva capito il contenuto visto che era in dialetto albanese;

– Mancanza di motivazione e violazione di legge sulla determinazione della pena non avendo concesso la riduzione massima del terzo della pena alla luce dell’estrema lealtà del suo comportamento processuale quanto a V.P.S.:

– Omessa motivazione in relazione alle ordinanze dibattimentali sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni di Gi., sulla inutilizzabilità della corrispondenza acquisita agli atti in violazione della L. n. 95 del 2004, sulla inutilizzabilità delle registrazioni dei colloqui tra Gi. e la D.M.;

Violazione di legge e difetto di motivazione sulla chiamata in correità da parte di Gi. e B. mancando ogni riscontri) esterno; infatti mentre Gi. non conosceva V. e nulla sapeva di lui, B. lo aveva chiamato in correità senza fornire alcun riscontro; non poteva costituire riscontro la telefonata intercettata nella quale la D.M. aveva fatto il nome del V. come esecutore materiale, visto che si tratta di dichiarazioni de relato e che rappresentavano al massimo un’ipotesi fatta dalla donna; non vi era neppure la certezza che il nome V. si riferisse all’attuale imputato visto che nella località (OMISSIS) vi erano almeno 20 nuclei familiari aventi quel cognome; le dichiarazioni di B. erano del tutto inattendibili visto che ipotizzavano che V. avesse deciso di uccidere una persona di cui non sapeva nulla, le sue dichiarazioni erano inattendibili anche per la descrizione dell’omicidio incompatibile con quanto affermato dal perito; il rinvenimento della munizione nella sua vettura non era un valido riscontro, visto che non erano stati compiuti sufficienti accertamenti sulla compatibilità con l’arma usata nel delitto; le cose riferite da B. erano frutto di una pregressa conoscenza con V., nessun riscontro papillare o biologico era stato rinvenuto sul luogo del delitto; i contatti telefonici con i correi durante la programmazione dell’omicidio erano stati esigui e non dicevano nulla sul contenuto delle telefonate; la sua presenza nel territorio di Paola il giorno dell’omicidio era privo di significato, vista l’estensione della cella di riferimento;

nelle missive inviate in carcere dalla D.M. si nota una confusione nell’individuazione delle persone coinvolte nell’omicidio;

la circostanza che V. fosse stato controllato con B. cinque mesi dopo l’omicidio era del tutto neutro; nella telefonata intercettata con la D.M. non vi era alcuna spontaneità visto che il nome del V. era frutto di specifica domanda del collaboratore; la condanna dell’imputato era avvenuta sulla base di semplici sospetti e di prove inquinate; quanto a D.G. con due atti di ricorso e motivi aggiunti:

– Violazione di legge in relazione agli omessi accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo alla luce della perizia che aveva riconosciuto l’esistenza di disturbi percettivi e difficoltà di attenzione, ma le attribuiva ad una risposta psicologica difensiva salvo diverse risultanze cliniche e proprio a queste si era rifatta la difesa nel richiedere una nuova perizia senza aver ottenuto risposta;

– Violazione di legge per la genericità del capo di imputazione, per la sua esuberanza contemplando anche posizioni ormai stralciate e aggravanti non riconosciute;

– Violazione di legge per non aver accolto l’istanza di rinvio per l’udienza del 6/11/2011 per impedimento del difensore, visto che la presenza di due difensori era irrilevante e che per poter raggiungere la Cassazione il giorno dopo non poteva svolgere il suo mandato a Catanzaro il giorno prima;

– Violazione di legge in relazione all’impedimento a comparire all’udienza del 18/3/2008 con rinvio al giorno dopo, essendo irrilevante che la corte avesse stilato un calendario che prevedeva anche l’udienza del 19 marzo, visto che il detenuto era assente quel giorno;

– Violazione dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p., in quanto per evitare di rinviare il dibattimento la corte aveva disposto il ricovero del detenuto in una clinica ed aveva disposto la sua partecipazione in videoconferenza affermando la complessità del dibattimento senza alcuna reale motivazione;

– Violazione di legge in relazione all’art. 18 ter o.p., per aver acquisito in copia le lettere sottoposte a visto di controllo con abuso di legge, ebbero che il visto non consente la fotocopia delle missive se non tramite formali provvedimenti di sequestro notificati al detenuto; la sua posta, in violazione di legge, era esaminata anche nei contenuti e indebitamente trattenuta;

– Inutilizzabilità del contenuto delle registrazioni tra Gi. e D.M. in quanto il Gip aveva convalidato il provvedimento del P.M. in relazione alla utenza della D.M. ma non in riferimento all’utenza in uso ai CC, dal che ne derivava che non potevano essere intercettate le telefonate che partivano dall’utenza dei carabinieri;

nè tali conversazioni potevano essere acquisite in violazione di legge;

– Violazione di legge in relazione al mandato omicidiario e al concorso visto che dalle stesse dichiarazioni dei collaboratori era emerso che le persone ingaggiate dovevano compiere dei delitti ma non quali e quindi non era certo il mandato omicidiario; inoltre le dichiarazioni dei collaboratori non erano certe sul punto;

– Violazione di legge sull’attendibilità dei collaboratori, essendo emersi vari elementi sulla pessima personalità di costoro;

– Necessaria rimessione alle Sezioni Unite in relazione alla utilizzabilità delle dichiarazioni di Gi. visto che una sezione le aveva ritenute inutilizzabili mentre altra aveva ribaltato detto giudizio; invece le dichiarazioni di Gi. erano affette da inutilizzabilità patologica perchè fin dall’inizio doveva essere assunto con le garanzie difensive;

– Violazione di legge per non aver dato ingresso alla richiesta istruttoria di effettuare una perizia grafica sulle pagine manoscritte che riportavano quanto B. aveva riferito ai Carabinieri;

– Con memoria ripercorreva tutta la disciplina normativa e la giurisprudenza in materia di art. 18 ter O.P. concludendo per l’illegittima acquisizione della corrispondenza avvenuta con l’uso di mezzi subdoli e contrari alla Costituzione; ribadiva l’inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori nonchè la violazione dell’art. 507 c.p.p. per non aver dato ingresso a rinnovazione dell’attività istruttoria.

Per D.A. e G.C. con due distinti ricorsi:

– Violazione di legge per la genericità del capo di imputazione, per la sua esuberanza contemplando anche posizioni ormai stralciate e aggravanti non riconosciute;

– Violazione di legge in relazione all’art. 18 ter O.P. per l’aver acquisito in copia le lettere sottoposte a visto di controllo con abuso di legge, visto che il visto non consente la fotocopia delle missive se non tramite formali provvedimenti di sequestro notificati al detenuto; la sua posta in violazione di legge era esaminata anche nei contenuti e indebitamente trattenuta; anomalia evidenziata anche dal direttore del carcere che nel 2005 si era opposto in un primo momento alla possibilità di fotocopiare le suddette missive senza un provvedimento ad hoc del magistrato di sorveglianza o senza un provvedimento di sequestro formale;

– Inutilizzabilità del contenuto delle registrazioni tra Gi. e D.M. in quanto il Gip aveva convalidato il provvedimento del P.M. in relazione alla utenza della D.M. ma non in riferimento all’utenza in uso ai CC, dal che ne derivava che non potevano essere intercettate le telefonate che partivano dall’utenza dei carabinieri;

nè tali conversazioni potevano essere acquisiti in violazione di legge ed in particolare in violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, poichè la registrazione era avvenuta in impianti installati presso la caserma dei carabinieri senza alcuna motivazione sulla insufficienza degli impianti della procura e sulle ragioni di eccezionale urgenza;

– Violazione di legge sull’attendibilità dei collaboratori, essendo emersi vari elementi sulla pessima personalità di costoro; nei confronti in particolare dei genitori del D. mancavano riscontri individualizzanti, non potendo configurarsi tale il possesso del loro recapito telefonico in capo ai killer, che poteva aver altri significati;

– Difetto di motivazione in relazione alle gravi divergenze di riferimenti sui ruoli avuti dai due imputati secondo le stesse dichiarazioni dei collaboratori che avevano loro attribuito ruoli predominanti in contrasto insolubile; nessun riscontro vi sarebbe sulla consapevolezza dell’incarico omicidiario; nella motivazione non vi era alcuna distinzione tra le responsabilità dei due imputati che venivano sempre accomunate mentre diversi erano i riferimenti che avevano effettuato i collaboratori, in particolare poco o niente emergeva a carico del padre.

– Violazione di legge in relazione all’art. 82 c.p., in quanto non vi sarebbero prove della loro consapevolezza in relazione al reato concordato.

La Corte ritiene che i ricorsi debbano essere in parte dichiarati inammissibile e in parte rigettati. Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso di Gi. in quanto si limita a prospettare una diversa lettura degli atti processuali per giungere a sostenere che la sua condanna era avvenuta senza che fosse stata provata alcuna condotta concorsuale, dopo di che aveva elencato una serie invece rilevante di elementi dai quali desumere il suo intervento nella fase organizzativa o quanto meno rafforzativa del proposito criminoso. Infatti emerge con certezza che sapesse che l’intento di D. era quello di uccidere un suo rivale nella guerra di mafia, tanto che in un primo momento aveva procurato i killer e l’evento non si era verificato solo perchè costoro avevano avuto un incidente stradale; aveva poi proseguito nel suo aiuto presentandogli la persona che lui sapeva essere in grado di trovare i killer e cioè il Bl., anch’egli sopraggiunto in carcere;

infine per rendere possibile il collegamento con l’esterno gli aveva sostanzialmente messo a disposizione un telefono cellulare che lui aveva per tenere i contatti con l’esterno; solo tramite questo collegamento era stato possibile per lui contattare i killer e prova ne era il numero di telefono trovato in carcere, il rinvenimento del telefono privo di carta SIM che Bl. si era mangiato proprio per impedire gli accertamenti. A ciò aggiungasi l’offerta di compenso per l’aiuto prestato provenienti dai due detenuti, certo sintomatiche della rilevanza del suo apporto alla realizzazione dell’evento, essendo del tutto irrilevante che egli non avesse in alcun modo sollecitato tale compenso. Sussistevano quindi sia il rafforzamento del proposito criminoso, consistito nell’attività di intermediazione svolta dopo il fallimento del primo tentativo, sia l’apporto materiale consistito nel mettere a disposizione del mandante il telefonino. Il motivo sulla pena è inammissibile, per la sua genericità, avendo ben chiarito la sentenza sìa di primo che di secondo grado i motivi della quantificazione della pena.

Anche i motivi di ricorso di V. sono inammissibili, in quanto tutte le questioni processuali sono appena accennate, non sviluppate con argomentazioni che tengano conto della motivazione puntuale adottata su tutte dalla sentenza della ®forte territoriale. I motivi attinenti alla attendibilità dei collaboratori costituiscono mera reiterazione di quelli presentati al giudice di merito; la mancanza di riscontri viene dedotta in maniera apodittica, elencandoli e ritenendoli insufficienti o inidonei a costituire riscontro senza argomentazioni o dati fattuali specifici. La chiamata in correità di B. è invece confermata dai vari riscontri oggettivi quali, la conoscenza tra i due, la circostanza che dopo i fatti erano stati nuovamente identificati insieme dalla P.G. in atteggiamento sospetto;

dall’esame dei tabulati erano risultati nel territorio di Paola il giorno dell’omicidio, senza aver saputo fornire una spiegazione alternativa; sull’auto di V. era stata trovata una munizione che era dello stesso tipo di quelle utilizzate per l’omicidio e che aveva scalfitture che presupponevano che fosse stata caricata sulla medesima arma; in relazione poi al contenuto della telefonata intercettata tra Gi. e la D.M. alcun dubbio può sollevarsi sulla spontaneità della risposta anche se la domanda non era stata spontanea, ma indotta dalla polizia giudiziaria. Non può attribuirsi alcun rilievo determinante al fatto che sul luogo dell’omicidio non siano stati rinvenuti reperti biologici o rilievi papillari dell’imputato visto che dalle stesse modalità dell’omicidio non emerge alcun elemento dal quale dedurre che dovessero essere trovate. I restanti motivi di ricorso debbono invece essere rigettati.

Debbono in primo luogo essere affrontate le questioni processuali comuni a tutti gli imputati. L’acquisizione delle lettere scambiate tra D. e Bl. è del tutto legittima. La medesima questione è stata affrontata dalla Suprema Corte con riguardo alla medesima vicenda processuale sia in sede cautelare che in sede di merito in relazione ad altri coimputati, condannati con sentenza definitiva.

Nel caso di specie si è verificato che D., dopo il rinvenimento del telefonino e dei biglietti con i numeri di telefono, era stato sottoposto al visto di controllo della corrispondenza da parte del magistrato di sorveglianza secondo la procedura prevista dall’art. 18 ter O.P.. Poichè la sua corrispondenza era legittimamente letta e poi vistata, il P.M. poteva chiederne la esibizione mediante fotocopiatura prima dell’inoltro, in quanto il detenuto era formalmente informato che la sua corrispondenza era sottoposta a visto, come poteva rilevarlo dal fatto che gli veniva consegnata aperta e vistata. Non sussiste in tal caso alcuna violazione di diritti fondamentali, visto che la procedura di cui all’art. 18 ter O.P. era stata rispettata, e neppure un aggiramento delle norme poste a tutela della riservatezza, visto che egli sapeva di essere sottoposto a controllo della corrispondenza.

La corte territoriale inoltre ha utilizzato le lettere fotocopiate dopo il provvedimento di sottoposizione a visto di controllo del 31/8/2004 e fino al 13/12/2004, quindi nel pieno rispetto del termine di sei mesi previsto dalla disciplina dell’art. 18 ter O.P..

Nessuna norma prevede a pena di inutilizzabilità che la fotocopiatura delle lettere possa avvenire solo dopo il formale trattenimento della corrispondenza, e neppure che in ogni caso il visto apposto ad ogni corrispondenza debba essere notificato al detenuto, visto che la norma prevede un obbligo di comunicazione solo quando venga preso il provvedimento di non inoltro.

Poichè le uniche missive utilizzate erano quelle del 2004, ne consegue che del tutto irrilevanti appaiono le osservazioni contenute nei motivi di ricorso del D. su analoga iniziativa che sembrerebbe essere stata assunta nel settembre del 2005 dal P.M. quando il detenuto non era più soggetto a visto di controllo, che aveva suscitato le perplessità di altro direttore di carcere; si tratta con evidenza di circostanze del tutto irrilevanti ai fini che qui interessano.

La giurisprudenza di legittimità sul punto è del tutto conforme ai principi sopra esposti, avendo sancito l’inutilizzabilità solo per quelle operazioni di controllo della corrispondenza e successiva fotocopiatura quando il detenuto non era mai stato sottoposto a visto di controllo (Sez. 6^ 13 ottobre 2009 n. 47009, rv. 245183; Sez. 5^ 4 febbraio 2010 n. 16575, rv. 246870); in relazione a quest’ultima decisione deve anche rilevarsi che la Sezione Quinta aveva trasmesso alle Sezioni Unite la questione ravvisando sul punto un contrasto di giurisprudenza ma che il procedimento era stato restituito in quanto la sezione remittente non aveva colto che non vi era alcun contrasto, visto che in presenza di sottoposizione a visto di controllo si era sempre ritenuto legittimo l’ordine di esibizione con fotocopiatura della missiva mentre l’inutilizzabilità aveva operato solo quando non vi era il provvedimento di sottoposizione a visto di controllo.

L’acquisizione di tutte le altre missive era avvenuta mediante regolari provvedimenti di sequestro e quindi non aveva determinato alcun motivo di ricorso.

Infondata era anche la questione inerente l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate tra Gi. e la D.M., in conseguenza dell’ accordo tra il primo ed i carabinieri; nessuna rilevanza ha in questa sede la questione, pure affrontata dalla corte territoriale della possibilità di acquisire dette conversazioni ai sensi dell’art. 234 c.p.p., come documento, visto che l’intercettazione è avvenuta previo decreto d’urgenza del P.M., poi convalidato dal GIP. Incomprensibile è invece la questione sollevata da alcuni difensori sul fatto che il GIP avrebbe convalidato solo il decreto inerente l’utenza della D.M. e non quello riguardante anche l’utenza dei carabinieri dalla quale partivano le telefonate, visto che una volta autorizzata l’intercettazione sull’utenza della donna tutte le telefonate che pervenivano o partivano da quella utenza erano correttamente intercettate e quindi le conversazioni relative erano perfettamente utilizzabili. La difesa di D.A. e G. C. aveva posto la questione della inutilizzabilità delle conversazioni in quanto l’intercettazione sarebbe stata eseguita con impianti non in uso presso la procura; osserva la corte che la questione è stata sollevata in modo generico e marginale e reiterata sia nei motivi di appello che nel ricorso per cassazione senza tenere in alcun conto quanto descritto dal giudice di primo e secondo grado sulle modalità esecutive della intercettazione che paiono rappresentare invece la mera remotizzazione dell’ascolto e senza neppure dedurre una omessa motivazione sul punto. Infatti a pagina 50 della sentenza di appello si legge che le operazioni avvenivano a mezzo di apparecchiatura installata nella sala intercettazione del Comando dei carabinieri attraverso l’utilizzo di una linea telefonica dedicata appositamente collegata al sistema di registrazione, dal che se ne deduce che non si è mai posto un problema di utilizzo di impianti esterni per la registrazione ma solo di ascolto remotizzato, e di fronte a tale motivazione non vi è stata alcuna obiezione da parte delle difese. Per altro che l’intercettazione non sia avvenuta con utilizzo di impianti esterni, lo si potrebbe dedurre anche dal fatto che l’originario decreto del P.M. comprendeva l’intercettazione anche dell’utenza di carabinieri, decisione priva di ogni logica qualora l’intercettazione fosse stata disposta con l’utilizzo di quegli impianti (S.U. 26 giugno 2008 n. 36359, rv. 240395).

Infondata è anche la questione inerente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Gi. in quanto nei primi verbali era stato sentito come testimone e nome come indagato e quindi senza la presenza del difensore e questa inutilizzabilità si estendeva anche a quelli successivi, pur assunti con la presenza del difensore. Nella vicenda processuale si rileva che un primo provvedimento cautelare era stato annullato dalla Suprema Corte in quanto si fondava esclusivamente su verbali resi senza la presenza del difensore, quindi su una visione parziale del materiale probatorio. Invece successivamente le decisioni della Suprema Corte, sia in materia cautelare sia nel merito con riguardo ad altri imputati diversi da quelli oggi giudicati ma condannati per il medesimo fatto, avevano accertato che successivamente Gi. era stato sentito con la presenza del difensore ed aveva confermato integralmente le precedenti dichiarazioni richiamandole per intero; queste dichiarazioni erano del tutto utilizzabili non sussistendo nel nostro ordinamento un principio di trascinamento degli effetti della inutilizzabilità dei verbali simile a quella prevista dall’art. 185 c.p.p., per le nullità processuali, visto che tra gli interrogatori non sussiste alcuna connessione essenziale (Sez. 1^ 7 novembre 2007 n. 46274, rv. 238487; Sez. 1^ 10 dicembre 2008 n. 8401, rv. 242969);

ne consegue che mentre i primi verbali resi in veste di testimone restano inutilizzabili, i contenuti di quei verbali trasmigrati in quelli resi in qualità di indagato sono pienamente utilizzabili.

Venendo all’esame degli ulteriori specifici motivi di ricorso dei singoli imputati deve rilevarsi quanto a D.G.:

– Non è fondato il motivo inerente agli omessi accertamenti sulla capacità dell’imputato di stare in giudizio in quanto la corte aveva effettuato un accertamento peritale che aveva escluso detta incapacità e in udienza il perito aveva spiegato che non vi erano altre evidenze cliniche dalle quali ricavare detta incapacità nè la difesa in sede di perizia o successivamente in dibattimento li aveva individuati e quindi non vi era alcuna ragione per dare ingresso ad un ulteriore accertamento; anche con i motivi di ricorso non si evidenzia da quali ulteriori dati clinici obiettivi poteva ricavarsi la necessità di un ulteriore accertamento già disposto ai sensi dell’art. 507 c.p.p., in sede di appello.

Congrua è la motivazione sul diniego al rinvio per legittimo impedimento del difensore all’udienza del 6/11/2008, visto che l’impedimento riguardava un’udienza da tenersi davanti alla Corte di cassazione il giorno dopo, e non vi era l’assoluta impossibilità di raggiungere (OMISSIS) in tempo utile per espletare tale incombente mediante collegamento aereo;

– Non era necessario procedere alla notifica del rinvio dell’udienza dal 18 al 19 marzo del 2008 in quanto si trattava di impedimento dell’imputato per un solo giorno e l’udienza del 19 era già stata fissata come prosecuzione delle udienze da tempo e l’imputato ne era a conoscenza; ne consegue che l’udienza non si era svolta nel giorno nel quale egli avanzava un legittimo impedimento, mentre per il giorno 19 marzo, per il quale sapeva che doveva celebrarsi udienza in base ad un calendario da lui conosciuto, non aveva avanzato alcun impedimento;

– L’art. 146 bis disp. att. c.p.p., era stato correttamente attivato per la particolare complessità del procedimento e tenuto conto delle sue precarie condizioni di salute che non avrebbero consentito di procedere con speditezza alla celebrazione del dibattimento; trattasi di motivazione assolutamente congrua in relazione al procedimento in questione in materia di criminalità organizzata;

– I motivi inerenti alla genericità del capo di imputazione per la sua esuberanza e cioè per aver eccessivamente dettagliato le posizioni dei correi, anche di quelli non sottoposti a questo giudizio, rendendolo di difficile lettura, sono manifestamente infondati per la intrinseca contraddittorietà, non potendo mai una eccessiva analiticità riverberarsi contro l’imputato;

– I motivi inerenti la valutazione della attendibilità e della credibilità dei collaboratori appaiono mere ripetizioni di quelli presentati ai giudici di merito oltre che generiche limitandosi a riferire della pessima loro personalità e della indeterminatezza del mandato omicidiario; emerge con certezza che D.G. avrebbe a dare tale mandato prima a Gi. e poi a Bl., non solo dalle dichiarazioni dei collaboratori ma anche dai riscontri costituiti dalle lettere acquisite, dagli accertamenti sui tabulati telefonici, dal sequestro del telefonino e dalle sue ammissioni sul punto, dal coinvolgimento dei suoi genitori; Appare inconferente la richiesta di sottoporre a perizia grafica le pagine consegnate dai carabinieri e relative al collaboratore B., non essendo evidenziata nei motivi di ricorso alcuna rilevanza di tale accertamento e soprattutto perchè si dubitava della paternità di detti fogli manoscritti;

– Del tutto generica era la richiesta di violazione dell’art. 507 c.p.p. e della rinnovazione del dibattimento limitandosi a riprodurre la medesima richiesta sollevata davanti al giudice di merito.

Quanto a D.A. e G.C.:

– Inconsistente è il motivo della genericità del capo di imputazione per la sua esuberanza e cioè per aver eccessivamente dettagliato le posizioni dei correi, anche di quelli non sottoposti a questo giudizio, rendendolo di difficile lettura; trattasi di motivo contraddittorio e comunque privo di fondamento;

I motivi inerenti i riscontri alle chiamate in correità costituiscono mera ripetizione di quelli presentati davanti al giudice di merito senza tenere conto che i riscontri individualizzanti erano costituiti dalle lettere tra D.G. e Bl. acquisite, dalle dichiarazioni della D.M., dai contatti telefonici coi killer, dai tabulati telefonici; deve in particolare riferirsi che dalla lettura della decisione di primo grado emerge in modo analitico il coinvolgimento di ambedue gli imputati sia perchè di ambedue parla l’esecutore materiale B., della madre parlano tutti i correi compresa la D.M., del padre parlano le lettere di Bl. nella quali egli riferiva del diretto coinvolgimento di A. nella trattativa e consegna del denaro ai killer;

I motivi sul concorso e sulla consapevolezza del mandato omicidiario sono privi di consistenza, limitandosi a mettere in dubbio le parole dei collaboratori sul punto; il contrasto con le dichiarazioni rese da S. che aveva posticipato la presenza dei killer presso la bancarella dei genitori di D. appare privo di rilievo, ben potendo essere che si fossero recati da costoro per altri motivi dopo il fatto, visto che da loro avevano ricevuto il pagamento delle loro spettanze.

Tutti ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, mentre Gi. e V. anche al pagamento della somma di Euro 1000 alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi di V.P. S. e Gi.Ma. e rigetta i ricorsi di D. G., D.A. e G.C..

Condanna tutti i predetti al pagamento delle spese processuali e V. e Gi. anche ciascuno al versamento della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Condanna altresì i predetti ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3600 per le parti civili assistite dall’Avv. Vincenzo Lo Giudice, in complessivi Euro 2800 per quelle assistite dall’Avv. Fiorita, in Euro 966 per la Regione Calabria e in Euro 1000 per il Comune di Paola oltre per tutte accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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