Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-07-2011) 14-07-2011, n. 27669 Misure cautelari Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.M.G. ricorre avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della Libertà di Catanzaro in data 22 febbraio 2011, con cui è stato rigettato il riesame proposto avverso l’ordinanza del Gip di quel Tribunale, applicativa della misura custodiale in carcere per il delitto di partecipazione ad una associazione dedita al narcotraffico.

Il Tribunale riteneva esistenti gravi indizi – costituiti dai risultati delle intercettazioni di conversazioni, esiti di sequestri e osservazioni dirette di attività- per la configurabilità di un accordo stabile fra numerosi soggetti, fra cui spiccavano i fratelli S.B. e P., dedito alla detta attività illecita e ne rinveniva i segni tangibili: 1. nei frequenti contatti tra i soggetti sottoposti ad attenzione investigativa, 2. nel contenuto criptico dei loro colloqui, riferibili a sostante stupefacenti, 3. nella esistenza di basi logistiche, 4. nella localizzazione della organizzazione in Vibo Valentia, con fonti di approvvigionamento sia nel territorio calabro sia nel Nord Italia, 5. nella suddivisione di compiti tra i partecipi, 6. nella predisposizione di un sistema di controllo dei loro siti per prevenire e contrastare l’azione delle forze dell’ordine, indicate anch’esse con termini criptici, 7. e nell’uso in comune di autovetture, in tal numero da essere definite costituenti un auto parco e nella possibilità di impiego di una targa-prova, un’accortezza ulteriore che rendeva, dunque, arduo il monitoraggio dei loro movimenti. Il D.M., oltre che indicato da una donna, R.E., come suo fornitore di dosi di marijuana, aveva secondo il Tribunale nella organizzazione il ruolo di fornitore di M.S. e C.B., che curavano per conto del sodalizio la diffusione dello stupefacente sulla costa tirrenica vibonese; inoltre, egli era in contatto con il Se., che era colui che forniva la targa prova, di cui si è detto; il D.M., nelle conversazioni intercettate era indicato dai sodali quale un sicuro appartenente, poichè se ne commentava l’arresto, come una perdita nell’organico, contrapposta all’avvenuto rientro di un altro indagato, quasi contemporaneamente scarcerato.

2. Il D.M., viceversa, deduce sia sotto il profilo del difetto di motivazione che di vizio nell’applicazione della legge penale, che il tribunale ha operato una mera rassegna degli indizi elencati nella ordinanza, equiparabili invero, per genericità, a meri sospetti;

innanzi tutto, eccepisce la non utilizzabilità delle dichiarazioni della R., perchè non precedute dagli avvertimenti di cui all’art. 64 c.p.p., nonostante la sua evidente posizione di coindagata; rileva che la frequentazione del duo M. – C., che avrebbe anche ragione nel rapporto di parentela e l’unico contatto con il Se., non indicano affatto che i loro rapporti abbiano lo scopo illecito supposto, tenuto conto poi che la ordinanza nei confronti del C. era stata revocata, così come irrilevanti sarebbero i commenti degli altri associati sulla sua. condizione di arrestato. Contesta, poi, che nella scelta della massima misura coercitiva, il Tribunale abbia individuato esigenze non correlate ad effettivi dati di fatto, presuntivi di pericolosità.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il D.M. si affida a considerazioni che esulano dal perimetro delle censure consentite nel giudizio di legittimità, per avanzare, sotto la veste del difetto di carenza ed illogicità della motivazione, una rivisitazione del materiale indiziario valutato dal giudice distrettuale.

3. Va ribadito che la denuncia innanzi questa corte del vizio ex art. 606 c.p.p., lett. e, in relazione alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, implica un controllo limitato alla verifica della adeguatezza e della congruenza delle argomentazioni adottate dal giudice della cautela sugli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

4. Sotto tale profilo, l’ordinanza non manifesta evidenti pecche e mancanze e nella ricostruzione della vicenda e nello esame delle censure mosse dal D.M. in sede di riesame.

5. Per quanto riguarda il reato associativo, ha, infatti, proceduto ad un’ampia ricognizione degli elementi costitutivi, costituiti da quei fatti e situazioni, elencati ai punti da 1 a 7, della esposizione che precede, definendoli concreti sintomi della esistenza di un tessuto organizzato, poichè veniva consentito, mediante i mezzi predisposti, agli adepti la realizzazione di una serie indefinita di reati fine; ha, altresì, individuato il preciso ruolo da intraneo, rivestito dal ricorrente, valorizzando sia i numerosi contatti con gli altri esponenti del clan, sia i commenti e le osservazioni espressi dagli stessi sodali sulla sua persona, definiti significativi del suo inserimento, secondo un prudente apprezzamento che è in linea con i criteri ex art. 192 c.p.p. in tema di dichiarazioni auto ed etero indizianti rese spontaneamente dagli indagati nel corso di colloqui intercettai.

6. A fronte di tali dati, che nella loro esistenza fenomenica non sono contestati, le lagnanze del D.M. attengono alla ricostruzione in fatto, ovvero prospettano letture alternative -in realtà soggettive interpretazioni- degli esiti delle intercettazioni, parimenti non spendibili in questa sede di legittimità. 7. Deve confermarsi, dunque, la congruenza della motivazione in ordine alla sufficienza – allo stato ed a questi fini- degli elementi di colpevolezza anche per quanto riguarda l’episodio di cessione di sostanza stupefacente alla F., di cui viene contestata la ritualità dell’acquisizione delle accuse, su un supposto e non ritenuto ruolo di coimputato, anche in questo caso affidato a mere valutazioni di merito sul dato ponderale della sostanza cedutale, che sconfesserebbe la di lei condotta di mero acquirente, viceversa affermata con adeguata analisi e logica coordinazione dei dati da parte del giudice di merito.

8. Del tutto generica è infine la censura sul difetto delle esigenze cautelari, che il Tribunale ha approfondito, facendosi carico di una adeguata disamina degli elementi significativi del pericolo di recidivanza e ciò pur in presenza della presunzione di sola adeguatezza della misura carceraria nei delitti associativi di narcotraffico dalla novella n. 38 del 2009. 9. In conclusione, il ricorso è inammissibile ed il D.M. è da condannare al pagamento delle spese processuali ed alla somma, che si stima equo determinare in Euro 1000 da versare alla cassa delle ammende;

6. A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di Euro 1000 a favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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