Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-07-2011) 14-07-2011, n. 27666 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza impugnata, il Tribunale della Libertà di Roma, accogliendo per quanto di ragione l’appello proposto dal PM avverso l’ordinanza del Gip di quel Tribunale, applicava la misura custodiale in carcere a L.S., B.A., D.F., M.A., N.E., S.V. ed a N.E. quella degli arresti domiciliari in relazione a reati, loro singolarmente contestati, in tema di tentata estorsione, ricettazione, riciclaggio, usura e intestazione fittizia di beni.

2. La vicenda criminale, nella quale erano coinvolti i su indicati indagati, oggi ricorrenti, prendeva origine dalla indagine condotta, mediante intercettazioni, servizi di osservazione ed acquisizione di documentazione, ai danni di D.F., che, spacciandosi per consulente del Tribunale di Roma e millantando rapporti con magistrati e funzionari, avrebbe prospettato alle sue vittime la possibilità di partecipare con sicuro esito favorevole ad aste immobiliari ovvero garantito la soluzione di problemi in sede esecutiva che assillavano alcuni di costoro; in cambio dei suoi favori, coadiuvato da un staff organizzato, si faceva consegnare denaro in contante o in assegni che venivano subito negoziati; a questo traffico erano interessati e partecipi, a vario titolo, i nominati ricorrenti, nei cui confronti affermava la sussistenza di gravi indizi in relazione ad alcune delle molteplici imputazioni formulate dal PM, rispetto le quali il Gup aveva invece ritenuto la irrilevanza dei dati raccolti.

3. Ricorrono i sottoposti a misura e deducono:

3.1. L.S., è indagato per il delitto di cui al D.L. 3 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, comma 1, capo HH, relativo alla fittizia intestazione a costui di una autovettura, in realtà destinata al pregiudicato S.V. ed allo scopo di celarne l’acquisto da parte di costui; con il primo motivo, riprende la eccezione di inammissibilità dell’appello e sottolinea che l’organo della accusa, nella impugnazione, non era andato al di là di generiche osservazioni sulla corretta applicazione della norma e di altrettanto generiche indicazioni sulla esistenza di esigenze cautelari; con il secondo motivo, denuncia il difetto di motivazione e la illogicità della stessa in tema di valutazione dei gravi indizi; in primo luogo, non potevano essere utilizzate le dichiarazioni con cui innanzi agli organi di polizia egli aveva ammesso la falsa intestazione, dato che erano autoindizianti e non precedute dal rituale avviso ex art. 63 c.p.p.. Inoltre, il ricorrente contesta la ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale della Libertà, secondo cui il D. avrebbe convinto certo C., che si era rivolto a lui per vari favori, ad aprire un conto corrente, con la promessa di fargli avere un finanziamento;

in questo conto aveva fatto confluire il denaro che la finanziaria Sava aveva concesso al C. per l’acquisto di una auto; aveva indotto il nominato C. a rivendere, subito dopo l’accredito del denaro, l’auto al L., presentatogli dal D., che si sarebbe intestato il mezzo per favorire S.V., suo amico, il quale non poteva a ciò procedere, perchè sottoposto ad indagini per mafia. Oppone che egli è sempre stato il proprietario dell’auto, e come tale è riconosciuto anche dall’ultimo compratore, certo G., e che non è stata approfondita la tematica inerente al necessario dolo specifico, non essendo egli a conoscenza delle condizioni del S.; osserva infine che la misura non è proporzionata ai fatti, specie considerando la risalenza nel tempo degli stessi.

3.2. S.V., anche egli indagato per il capo HH, solleva la questione della non utilizzabilità delle dichiarazione del L.; esclude che ricorresse per egli la prova del timore di subire il sequestro del mezzo, non essendo sufficiente per l’individuazione del dolo la esistenza di un procedimento penale, peraltro conosciuto circa un anno dopo l’acquisto; nega i presupposti per la applicazione della massima misura carceraria, desunta da altre pendenze giudiziarie, la cui gravità indiziaria è però stata oggetto di negativa valutazione da parte degli organi giudiziari competenti che lo hanno rimesso in libertà. 3.3 D.F. è indagato per il reato sub HH di cui sopra si è detto e per il reato di cui al capo B, ossia la tentata estorsione in danno di certo Ca., costruttore edile. Secondo la ricostruzione emersa dalle dichiarazioni della parte offesa e di D’.Sa., altro coindagato, egli si sarebbe intromesso per il recupero di un asserita provvigione pari ad un milione di Euro, vantata da K.J. per una transazione immobiliare, e avrebbe posto in contatto l’estorto con il D’., presentatosi come siciliano in grado di proteggere il Ca. dai "napoletani" che sarebbero stati alle spalle del K. per proteggerlo e perchè anch’essi interessati al recupero della somma; inoltre il D. si sarebbe attivato per favorire ulteriori incontri, aventi lo scopo sempre di convincere al pagamento la pò, che però aveva avvisato le forze dell’ordine. I difensori del ricorrente hanno proposto distinte impugnazioni, che possono essere esaminate congiuntamente; in primo luogo, è denunciata per mancanza ed illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, identificata nell’estorsione stessa, senza individuare gli elementi da cui trarre la esistenza della camorra alle spalle degli indagati, non essendo certo sufficiente la sola evocazione astratta.

Sottolineata la non attendibilità del Ca., deducono comunque la non sussistenza delle esigenze cautelari per difetto del requisito di attualità. In ordine al capo HH entrambi i difensori riprendono il tema della duplicazione a carico del D. del procedimento, essendo egli indagato presso il tribunale di Velletri per truffa e presso Roma per il delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies in relazione alla stessa autovettura; in ogni caso la qualificazione è errata, trattandosi di truffa e mancando per il secondo reato il dolo specifico; anche in tal caso la misura non avrebbe alcuna attualità;

3.4. B.A., indagato per il delitto sub B, propone impugnazione analoga a quella ora esaminata, sia per la ritenuta aggravante sia che per la applicazione della misura cautelare.

3.5. N.E. e M.A. sono indagati per i delitti di cui ai capi P e V ed hanno proposto distinte impugnazioni, che però risultano identiche nei contenuti e possono essere esaminante congiuntamente. Entrambi deducono in relazione alla fattispecie di ricettazione loro contestata al capo P, che il Tribunale non ha adeguatamente spiegato la sussistenza dell’ingiusto profitto e della consapevolezza della provenienza illecita degli assegni che il D. si era fatto dare con un raggiro da certa Fioretti e che poi aveva versato nelle mani dei due indagati, suoi creditori. Il contenuto delle conversazioni intercettate non individuava un preciso collegamento con la precedente attività illecita, non bastando nè le sollecitazioni al pagamento dei debiti, nè il fatto che il D. garantisse il pagamento degli stessi, non appena in possesso degli assegni della F., nè le espressioni usate dai due indagati nei confronti del D., definito un truffaldino, generica e temporalmente successiva al reato.

Per quanto riguarda il capo V, riciclaggio di una somma di Euro 500, parte del più ampio provento di una truffa commessa dal D. ai danni di certo La. i due ricorrenti eccepiscono le medesime carenze motivazionali sopra illustrate, a nulla rilevando a tal fine la circostanza valorizzata dal Tribunale che l’operazione avvenisse per il tramite di certo Ca.Ga., braccio destro del D., uso ad operare sul conto a lui intestato, ma in realtà gestito a favore del D.. Entrambi chiedono l’annullamento della misura per difetto della gravità indiziaria e per mancanza dei presupposti di adeguatezza e attualità.

Motivi della decisione

1. I ricorsi del L., del S. e del D., quest’ultimo nella parte in cui impugna l’ordinanza relativamente al capo HH, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.

2. Va preliminarmente rilevato che la eccezione di incompetenza territoriale, per essersi il reato, comunque, consumato in Velletri non è stata tempestivamente e ritualmente proposta innanzi al tribunale della Libertà: Infatti, come si evince dalla lettura del verbale del 2 marzo 2001, udienza nel corso della quale sono state raccolte le conclusioni dei difensori interessati alla questione, nessuno dei difensori presenti, nominativamente indicati, ha eccepito alcunchè in tal senso, formulando richieste di spostamento.

Pertanto, si è verificata la preclusione temporale all’esame della stessa ex art. 21 c.p.p., che opera anche nel giudizio sulla cautela innanzi a tribunale distrettuale (Cass. sez. 3 n. 3816 del 2008).

Sono invece fondati i rilievi sulla non adeguata valutazione degli elementi relativi alla configurabilità del delitto in esame, che hanno natura assorbente delle ulteriori doglianze in rito proposte.

Il Tribunale non ha tenuto conto che il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, comma 1 (convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356) punisce l’intestazione fittizia o il fraudolento trasferimento di denaro, beni o altre utilità posti in essere al fine di eludere le disposizioni di legge sulle misure di prevenzione patrimoniali o sul contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati inerenti alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza.

Il riferimento alle mere disposizioni di legge anzichè alle misure (già in essere o ancora sub indice) evidenzia icasticamente l’abbassamento della soglia di punibilità della fattispecie (che è a forma libera: cfr. Cass. Sez. 1, n. 30165 del 26.4.07, dep. 24.7.07, rv. 237595; Cass. Sez. 1, n. 14626 del 10.2.05, dep. 19.4.05, rv. 231379; Cass. Sez. 2, n. 38733 del 9.7.04, dep. 4.10.04, rv. 230109; Cass. Sez. 1, n. 43049 del 15.10.03, dep. 11.11.03, rv.

226607), ancor prima che una misura di prevenzione patrimoniale sia stata emessa od anche solo richiesta.

A sua volta la dilatazione dell’elemento materiale è temperata dalla particolare connotazione dell’elemento psicologico, che qualifica come illecita una condotta altrimenti penalmente irrilevante e supera ogni sospetto di illegittimità costituzionale per indeterminatezza della norma incriminatrice (ossia per eventuale violazione dell’art. 25 Cost., comma 2: cfr. Cass. Sez. 5, n. 39992 del 25.9.07, dep. 29.10.07, rv. 238189).

Le finalità di politica criminale della norma rivelano che l’oggetto giuridico del delitto in questione consiste nell’evitare la sottrazione di patrimoni anche solo potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, sicchè la concreta emanazione di queste ultime (o la pendenza del relativo procedimento) non integra l’elemento materiale del reato nè una sua condizione oggettiva di punibilità, ma può costituire mero indice sintomatico (possibile, ma non indispensabile) di eventuali finalità elusive sottese a trasferimenti fraudolenti o ad intestazioni fittizie di denaro, beni o altre utilità, che connotano il dolo specifico richiesto. Non a caso esso viene descritto – nella norma incriminatrice in esame – come fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e non già le misure in concreto disposte o richieste (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 5, n. 5541 del 15.1.09, dep. 9.2.09, rv. 243163).

E’, altresì, significativo che quando il legislatore ha inteso attribuire rilevanza – nella struttura materiale del reato – all’applicazione di misure di prevenzione o alla pendenza dei relativi procedimenti lo ha fatto esplicitamente, come nella figura delittuosa delineata nel corpo dello stesso art. 12 quinquies, al comma 2 cit. D.L..

In breve, il reato de quo prescinde dall’avvenuta adozione (o dalla pendenza del procedimento per l’emanazione) di misure di prevenzione patrimoniali.

Ciò non esclude che i concorrenti nel reato debbano avere consapevolezza della detta finalità, in quanto l’ampiezza e l’indeterminatezza dell’elemento oggettivo trova un limite nella indefettibile presenza del dolo specifico, da individuare nel momento selettivo della volontà diretta ad attuare la elusione.

In punto di motivazione, il tribunale ha individuato il dolo in base ad elementi del tutto inconferenti e non sintomatici della detta finalità; innanzi tutto, per il S. ha valorizzato la sua sottoposizione, in quel torno di tempo, ad indagini per delitti associativi, che ne giustificavano il timore di essere soggetto a misure patrimoniali; ma tale asserzione, identifica la consapevolezza soggettiva su un dato inesistente, posto che le indagini nei confronti del S. sono state da costui conosciute solo alla fine del dicembre 2008 e che, dunque, al momento del trasferimento dell’automobile, che è avvenuto nel 2007, costui non aveva alcun elemento che gli facesse ragionevolmente sospettare non tanto la possibile applicazione di una misura di prevenzione quanto la stessa sottoposizione ad un procedimento penale; nè all’evidenza può identificarsi il dolo specifico con la generica coscienza del proprio malaffare, concetto che dilaterebbe inaccettabilmente l’ipotesi in esame al di fuori del perimetro descritto dal D.L. n. 306 del 1991, art. 12, come sopra delineato.

Altrettanto vale per il L. ed il D., nei cui confronti non viene indicato alcun dato significativo del dolo specifico, posto che, per il primo, è valorizzata una dichiarazione che seppure spontanea e quindi utilizzabile, è aspecifica e generica; il fatto che l’indagato abbia ammesso di aver proceduto alla intestazione dell’auto per favorire l’amico S. è un elemento neutro, in quanto molteplici possono essere le ragioni per cui costui non voleva figurare, laddove, invece, era da rinvenire un dato indiziario strettamente correlato alla posizione processuale del S. ed alla possibilità di intervento del giudice sul suo patrimonio, nei termini di cui si è detto. Quanto al D., il giudice distrettuale non ha individuato alcun elemento di collegamento con il S., affidandosi ad una mera presunzione sulla natura illecita della operazione, che però inerisce al delitto di truffa e non anche al delitto di fraudolenta intestazione del bene. In conclusione, non vi sono elementi per la configurabilità del reato in esame e l’ordinanza sul punto è da annullare senza rinvio, con conseguente caducazione delle misure cautelari adottate in relazione al capo HH. Va da sè che l’esame delle ulteriori doglianze relative a tale reato è ultroneo.

3. Fondati sono altresì i ricorsi del D. e del B. in ordine alla sussistenza dell’aggravante speciale loto contestata al capo B della epigrafe.

Invero, la giurisprudenza di questa corte di legittimità ha affermato che il mero collegamento degli indagati con contesti di criminalità organizzata e la loro caratura mafiosa non è sufficiente per configurare l’aggravante essendo necessario l’uso del metodo mafioso (Sez. 6, 26 aprile 2007 n. 26326) ed ha specificato che la rappresentazione del potere del gruppo criminale deve porre concretamente la vittima in condizioni di soggezione in relazione alla prospettiva che egli sia tenuto ad adempimento (Sez. 2, 29 ottobre 2003 n. 47414, rv. 227583 e n. 141931-2010) Sez. 1, Sentenza n. 5783 del 22/01/2010 Cc. (dep. 12/02/2010).

Ora nel caso in esame, il giudice distrettuale non spiega come il solo riferimento che il D’. aveva fatto ad un non identificato gruppo napoletano avesse altresì l’idoneità ad evocare, in termini di effettivo utilizzo, nel senso indicato, una condotta di sopraffazione, nè come in tale assento quadro di necessità di pagare da parte del Ca., i due avessero, con la loro presenza, ragionevolmente Indotto la parte offesa a credere che essi fossero sostenuti da un gruppo criminale di spessore mafioso.

Pertanto, si impone l’annullamento con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto e sulle consequenziali valutazioni delle esigenze cautelari ai danni dei due indagati.

4. Sono da rigettare i ricorsi di N.E. e M. A..

Entrambi si dolgono della non configurabilità della ingiustizia del profitto nei delitti di ricettazione e riciclaggio loro ascritti e della inesistenza comunque del dolo.

Ora, è principio pacifico che l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, ne1 potendo consistere in un mero sospetto. Il dolo eventuale riguarda, oltre alla verificazione dell’evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell’esistenza del presupposto stesso e nell’accettazione dell’eventualità di tale esistenza.

La sentenza impugnata è esente come detto da pecche, poichè in linea con tale principio, con iter argomentativo correttamente sviluppato, ha precisato che, rispetto alla ricettazione, la pressante esigenza dei due indagati di riavere i propri soldi era supportata dalla conoscenza della illiceità delle operazioni sottostanti, poste in essere dal D. per reperire il denaro necessario; ha desunto ragionevolmente tale conoscenza dal tenore delle conversazioni intercettate, valorizzando e la contestualità delle comunicazioni effettuate dal D. circa i movimenti della sua vittima e l’immediato saldo del debito, non altrimenti spiegabile se non con la manifestazione da parte di costui delle iniziative fraudolente in corso, ed il successivo chiaro riferimento che i due indagati fanno, in altra telefonata intercettata, alle attività truffaldine del D., sintomatico del metodo usato da costui per ottenere denaro contante.

In sostanza, ha ravvisato il dolo eventuale, poichè gli agenti si erano comunque rappresentati l’eventualità della provenienza delittuosa del denaro e nonostante ciò hanno agito egualmente, come se di tale provenienza avessero avuto la certezza.

Quanto, poi, alla illiceità del profitto, esso è ravvisabile in re ipsa nel conseguimento della soddisfazione dei propri crediti, non altrimenti realizzabili se non attraverso la ricettazione del contante; in altre parole, anche al di là della componente patrimoniale stricto sensu identificabile nell’importo di quanto loro dovuto dal D., è configurabile sotto la veste di vantaggio non patrimoniale, egualmente penalmente rilevante ai fini delle fattispecie in esame, l’adempimento spontaneo e veloce da parte di costui, con evidente risparmio di tempo, conseguente ad eventuali procedure di recupero.

In ultimo, non sono fondate le censure relative alla mancanza di esigenze cautelari, che il giudice distrettuale ha, invece, motivato, con adeguato riferimento alla loro personalità, alla precedente commissione di reati della stessa specie ed, in relazione alla attualità della misura rispetto alla data di commissione dei reati, alla permanente esistenza di una rete di collaboratori fidati, dediti a reati similari, organizzati ed attivi, anche successivamente alle attività delittuose de quibus. Si tratta all’evidenza di considerazioni di merito sottratte al sindacato di questa Corte.

In conseguenza, il N. ed il M. sono da condannare al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria per i detti imputati curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nei confronti di L., S. e D. in ordine al reato di cui al capo HH; annulla altresì l’ordinanza impugnata relativamente al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 contestato al capo B a B. e D. e rinvia per nuovo giudizio su tale capo e sulle conseguenti esigenze cautelari al Tribunale di Roma con riferimento a tali ricorrenti. Rigetta i ricorsi di M. e N. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p. limitatamente a tali ultimi ricorrenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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