Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-06-2011) 14-07-2011, n. 27663

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Arrestato il 10.7.2010 in flagranza del reato di concussione, per avere -quale impiegato della direzione provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate- costretto P.A. titolare di una autocarrozzeria a corrispondergli denaro (in particolare la somma in contanti di Euro 1.500,00) con la minaccia di contestargli irregolarità fiscali nella conduzione dell’esercizio commerciale, l’imputato A.M., con il ministero del difensore, impugna per cassazione la sentenza in data 10.1.2011 del g.i.p. del Tribunale di Palermo (così essendosi trasformato il giudizio immediato ex art. 451 c.p.p., comma 1-bis), con la quale -su sua richiesta cui ha consentito il pubblico ministero-gli sono state applicate la pena principale di tre anni di reclusione e la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

2. Con il ricorso si enunciano due motivi di censura per violazione di legge e carenza di motivazione.

Il primo motivo attiene all’asserita omessa verifica della corretta qualificazione del reato di concussione contestato all’imputato, la cui condotta -in asserita mancanza di prova di specifici contegni coattivi o induttivi nei confronti dell’artigiano considerato persona offesa dal reato- dovrebbe ricondursi nell’ambito della meno grave fattispecie della corruzione propria.

Il secondo motivo di doglianza inerisce alla violazione dell’art. 240 c.p. e al connesso difetto assoluto di motivazione in ordine alla disposta confisca e distruzione di beni ed oggetti personali dell’ A., che non hanno alcuna pertinenza criminosa con il fatto reato per cui è stata emessa sentenza (un telefono cellulare, un videofonino, una pen drive per computer, lo chassis o case del computer dell’imputato). Oggetti tutti sottoposti a sequestro probatorio contestualmente all’arresto in flagranza dell’imputato, che -esaurita tale temporanea funzione probatoria- avrebbero dovuto essere restituiti all’imputato e della cui ordinata confisca il giudice di merito non fornisce alcuna giustificazione, non potendosi certamente supporre o presumere una loro intrinseca pertinenzialità criminosa legittimante la misura ablativa.

3. Il primo generico motivo di ricorso è indeducibile e manifestamente infondato.

La prospettata censura in punto di qualificazione giuridica della illecita condotta dell’imputato, oltre ad essere smentita dalle emergenze connesse all’arresto in flagranza di reato del prevenuto e in particolare -come chiarisce la sentenza impugnata- dalle dichiarazioni accusatorie della persona offesa vittima del contegno concussivo del pubblico ufficiale, non è consentita nel giudizio di legittimità. In questo non possono farsi valere asseriti vizi attinenti a questioni incompatibili con la richiesta applicativa di pena per il reato ascritto e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poichè l’accusa, come giuridicamente configurata, non può essere rimessa in discussione, atteso che l’accordo sanzionatorio presuppone la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento, al consenso ad essa prestato, alla legalità della pena applicata e -quanto alla definizione giuridica dei fatti (nomen iuris del reato o dei reati attribuiti all’imputato)- soltanto in caso di patente erroneità, tale da escludere ictu oculi, secondo la descrizione dei fatti contenuta in imputazione, la riconducibilità di quei fatti nel paradigma della fattispecie criminosa ritenuta in sentenza (cfr.: Cass. Sez. 1, 4.11.2009 n. 46146, P.G. in proc. Rosa, rv. 245505; Cass. Sez. 5,25.3.2010 n. 21287, Legari, rv. 247539; Cass. Sez. 4,11.3.2010 n. 10692, P.G. in proc. Hernandez, rv. 246394: "In tema di patteggiamento la possibilità di ricorrere per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità"). Caso, quest’ultimo, che non è ravvisabile nella sentenza del g.i.p. del Tribunale di Palermo oggetto di ricorso.

Il secondo motivo di censura proposto dal difensore dell’ A. risulta fondato, limitatamente alla confisca dei beni e degli oggetti personali dell’imputato (cellulari, computer personale, una "penna" per p.c.) che non risultino direttamente collegati sul piano probatorio con il reato ascrittogli. Beni della cui confisca la sentenza impugnata non reca alcuna giustificazione.

Pur alla luce della novella apportata dalla L. n. 134 del 2003 al testo dell’art. 445 c.p.p., comma 1 con l’estensione dell’applicabilità -in caso di pena patteggiata- della misura di sicurezza della confisca a tutte le ipotesi previste dall’art. 240 c.p. (e non più soltanto a quelle previste dall’art. 240 c.p., comma 2 come ipotesi di confisca obbligatoria), non è revocabile in dubbio che il giudice ha l’obbligo di motivare le ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di determinati beni sottoposti a sequestro ovvero, in subordine, le ragioni per cui non possono reputarsi attendibili le giustificazioni eventualmente addotte sulla provenienza di detti beni. Ed analogo ragionamento va svolto per la confisca obbligatoria eventualmente disposta ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, che richiede l’enunciazione dei motivi che rendono ingiustificata la provenienza del denaro addotta dall’imputato ed altresì richiede l’esistenza di una palese sproporzione tra i valori patrimoniali accertati e il reddito dell’imputato o la sua effettiva attività economica.

Se ne inferisce che la schematicità della motivazione propria del rito differenziato ex art. 444 c.p.p. non può estendersi semplicisticamente all’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale che si mostri del tutto priva di una pur sintetica motivazione (cfr.: Cass. Sez. 5, 3.11.2009 n. 47179, D’Ambrosio, rv.

245387; Cass. Sez. 6,16.4.2010 n. 17266, Trevisan, rv. 247085). Tale obbligo di motivazione nella sentenza del g.i.p. del Tribunale di Palermo emessa nei confronti del ricorrente si rivela inadempiuto.

Nella parte motiva della sentenza non v’è traccia, infatti, delle ragioni che presiedono alla generalizzata confisca e distruzione di "quanto in giudiziale sequestro", senza che alla statuizione si coniughi una qualsiasi specificazione.

La descritta lacuna motivazionale impone, per tanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla disposta misura di sicurezza patrimoniale della confisca e distruzione dei compendi e beni in sequestro. In sede di rinvio il Tribunale di Palermo provvedere ad emendare l’indicata carenza, uniformandosi ai criteri e ai principi giurisprudenziali appena menzionati.

Rimane impregiudicata, come ovvio, la statuizione di merito dell’impugnata sentenza (sussistenza del reato e sua commissione ad opera dell’ A.) e delle pene, principale e accessoria, applicate al’imputato. Statuizione che a seguito dell’odierna pronuncia di legittimità diviene definitiva.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca dei beni in sequestro e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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