Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-12-2011, n. 25684 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da R. S. nei confronti della società Poste Italiane, avente ad oggetto la declaratoria di nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro stipulato tra la stessa e la società Poste in data 13 dicembre 1999 ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 30 novembre 2006, accoglieva il gravame proposto dalla R. e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 13 dicembre 1999, condannando la società Poste al pagamento delle retribuzioni dalla costituzione in mora (1 agosto 2000).

Avverso tale ultima sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste, affidato a tre motivi.

Resiste la R. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della sentenza.

1 – Con i primi due motivi la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del c.c.n.l.

1994 di categoria, e successivi accordi integrativi, nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che la corte di merito, in contrasto con le norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la delega contenuta nel citato art. 23, le parti sociali erano libere di individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicchè le pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale, e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo determinato.

Lamentava inoltre che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, poteva essere imposto alle pattuizioni sindacali delegate.

2 – I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.

La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto le pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato L. n. 56 del 1987, ex art. 23 soggette ai requisiti di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 ma solo che esse avevano previsto un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi.

L’assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva, che, delegata alla individuazione di nuove ipotesi di assunzione a tempo determinato, è parimenti libera di stabilire una loro scadenza temporale.

Come efficacemente chiarito da Cass. 9 aprile 2008 n. 9259 e quindi da Cass. 28 ottobre 2010 n. 22015, la L. n. 56 del 1987, art. 23 nel consentire alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi rispetto a quelle previste dalla L. n. 230 del 1962, non impone di fissare contrattualmente dei limiti temporali alla facoltà di assumere lavoratori a tempo determinato, ma, ove un limite sia stato invece previsto, la sua inosservanza determina la illegittimità del termine apposto. Nella specie la limitata efficacia temporale degli accordi intervenuti all’interno della società Poste risulta rispettosa dell’autonomia negoziale collettiva ed in linea col consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), secondo cui dall’esame dei vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998. Le considerazioni che precedono sorreggono il rigetto delle altre censure contenute nel motivo in esame.

3.- Con il terzo motivo la società Poste lamenta la violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., laddove la corte territoriale aveva confermato la condanna dell’appellante al pagamento delle retribuzioni dal momento della costituzione in mora. Il motivo è inammissibile per la sua genericità, come si evince dal relativo quesito di diritto ("dica la Corte se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 e segg. c.c."), che risulta del tutto astratto e senza alcun riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dal giudice di merito.

5. Considerato che la censura inerente la condanna al pagamento delle retribuzioni è risultata inammissibile, parimenti inammissibile risulta la richiesta, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici e rituali motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

6. – Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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