Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-06-2011) 14-07-2011, n. 27657

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. G.G. propone ricorso avverso l’ordinanza del 2/2/2011 emessa dal Tribunale di Salerno, con la quale è stato respinto il riesame proposto in relazione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal Gip di quella città.

Si lamenta con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) rilevando, quanto alla valutazione degli indizi, che il Tribunale si è limitato a valorizzare quanto già considerato dal giudice della misura, utilizzando elementi di accusa privi dei requisiti di cui all’art. 273 c.p.p..

In particolare si rileva che gli indizi sono costituiti da intercettazioni non solo scarsamente indicative nel loro contenuto, ma fondate su un decreto carente di motivazione, richiamando, quale elemento fondante l’intero accertamento, un’intercettazione estera, già dichiarata inutilizzabile in diverso procedimento; in tal senso si contesta la ricostruzione del Tribunale, che ha ritenuto di poter valorizzare, anche solo come mero indizio, le risultanze richiamate.

L’impossibilità di condividere l’interpretazione resa emerge dalla circostanza che G., nel diverso procedimento, era stato assolto dall’imputazione cui tali conversazioni si riferivano, in quanto era emerso che il linguaggio criptico usato nella circostanza si giustificava per la diversa natura degli affari seguiti dall’interessato.

Si contesta inoltre la pertinenza dei gravi indizi riguardo di reato associativo, nell’ambito del quale si attribuisce all’interessato la qualifica di capo promotore sulla base di dati evanescenti, costituiti dal contenuto delle conversazioni e dall’esito di due sequestri non eseguiti in danno di esso ricorrente.

Si rileva inoltre che non è possibile desumere dalla lettura del provvedimento elementi di conferma dell’affectio, che dovrebbe, secondo la ricostruzione accusatoria, essere individuata nell’accordo tra venditori ed acquirenti per la successiva diffusione della sostanza, contrariamente a quanto costantemente richiesto sul punto dalla pronuncia di legittimità. Nel concreto non risulta ricostruita la costituzione dell’associazione, ma la sua presenza è stata desunta da fatti concludenti, alla luce delle prove sui singoli contatti per le cessioni.

Si ritiene insufficiente a tratteggiare la gravità indiziaria la valorizzazione delle dichiarazioni di due partecipi, la cui credibilità era stata positivamente accertata solo valorizzando l’ammissione del proprio coinvolgimento negli illeciti. Peraltro, proprio nei confronti della ricorrente, i dichiaranti hanno fornito generiche indicazioni di partecipazione al sodalizio, che risultano dettate da motivi di rancore. Le dichiarazioni rese dai due propalanti non solo risultano contraddittorie tra di loro nella ricostruzione dei fatti, ma non sono corroborate da riscontri. A supporto delle risultanze richiamate il Tribunale ha valorizzato le affermazioni di tale C., che risultano prive di riscontri individualizzanti, e comunque già utilizzate nel precedente giudizio.

Riguardo a tale ultimo aspetto si contesta la ritenuta autonomia dei fatti oggetto del presente procedimento rispetto a quelli già giudicati, quanto al reato associativo, in Reggio Calabria.

Si contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, ed in particolare del pericolo di inquinamento probatorio, o di fuga, anche in ragione del notevole lasso temporale intercorso dall’epoca di verificazione dei fatti.

Si rileva inoltre la sopravvenuta inefficacia della misura in forza dell’art. 297 c.p.p., comma 3, conseguentemente chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata, rilevando inoltre che compito del Tribunale del riesame è la valutazione dei requisiti previsti dall’art. 292 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. I rilievi contenuti nell’atto introduttivo non si sottraggono le censure di genericità, che non consentono di valutare il gravame proposto come rispondente ai canoni cui all’art. 606 c.p.p..

In particolare deve preliminarmente rilevarsi che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il Tribunale risulta aver analizzato la memoria difensiva del cui esame si da conto nella parte narrativa, oltre che nella parte riservata alle valutazioni di merito.

Nel merito l’esame degli atti ha consentito di accertare l’intervenuta parcellizzazione delle risultanze a cura del ricorrente, con sottoposizione a critica dei singoli elementi a carico, sulla base di criteri generici.

In particolare, quanto alle intercettazioni, a fronte di un’ordinanza impositiva della misura che analizza specificamente sia i decreti di intercettazione, che la loro utilizzabilità, con particolare riferimento alle conversazioni provenienti dall’estero, il ricorrente nella memoria depositata dinanzi al Tribunale del riesame contesta genericamente la completezza dei decreti, senza indicarne gli estremi, e, solo in questa fase, non confrontandosi con la motivazione richiamata, nè operando un riferimento specifico a singole conversazioni, in quanto ipoteticamente valutate rilevanti al fine di decidere, eccepisce l’inutilizzabilità delle captazioni sotto altro profilo, scontrandosi in tal modo con ulteriore causa di inammissibilità, derivante dalla impossibilità di dedurre per la prima volta in questa sede l’inutilizzabilità delle conversazioni sotto un profilo autonomo, non sottoposto al giudice di merito (Sez. 5, Sentenza n. 39042 del 01/10/2008, dep. 16/10/2008, Imp. Samà, Rv.

242319).

Duplice risulta quindi il motivo di inammissibilità del ricorso in argomento, dovendosi in primo luogo rilevare la genericità dell’eccezione formulata in questa sede, a fronte della specifica motivazione di segno contrario desumibile dall’ordinanza impositiva, che da atto della presenza di captazioni nel nostro territorio di comunicazioni provenienti dall’estero, pacificamente ammissibili anche in assenza di rogatoria; in secondo luogo risulta mancante la deduzione in merito all’effettiva utilizzazione della conversazione che si ritiene inutilizzabile, ai fini dell’imposizione della misura, così dovendo riscontrarsi, anche su tale argomento la genericità del motivo, che impone di concludere nei termini già indicati.

2. Analogo vizio attinge l’ulteriore motivo di ricorso, costituito dalla scarsa credibilità dei collaboranti che hanno individuato in G. il promotore dell’associazione contestata. In argomento nel ricorso non si lamenta violazione di legge, ma si sollecita di fatto una rivalutazione del merito, là dove si opera un riferimento alla genericità del portato dei collaboratori ed alla presenza di motivi di rancore di questi nei confronti del G., peraltro genericamente dedotti e non dimostrati, rilievi non consentiti in questa fase (Sez. 5, Sentenza n. 46124 del 08/10/2008, dep. 15/12/2008, imp. Pagliaro, Rv. 241997), omettendo per di più di contrastare quanto già analiticamente espresso sul punto nell’ordinanza di custodia cautelare, nonchè nel provvedimento impugnato, in relazione alla specificità delle ricostruzioni offerte, alla loro particolare affidabilità, in quanto coinvolgenti responsabilità dei dichiaranti, nonchè, da ultimo, al riscontro desumibile dagli accertamenti operati che, sia pur non riguardanti la persona di G., si inseriscono nella ricostruzione offerta e ne confermano l’affidabilità. Peraltro la mancata esecuzione diretta dei trasferimenti della sostanza stupefacente da parte di G. risulta del tutto in linea con il ruolo dirigenziale attribuito a questi dai dichiaranti.

Deve in argomento sottolinearsi che nel ricorso si fa riferimento solo alla presenza di contrasto tra le dichiarazioni provenienti da due collaboranti, con una mera evocazione, omettendo specifiche allegazioni al riguardo; inoltre si rileva che nella stessa prospettazione difensiva i pretesi contrasti risultano riguardare particolari esecutivi dell’azione, quale la composizione di un determinato equipaggio per l’esecuzione di un singolo trasporto, che ben può essere sintomo di un cattivo ricordo e non necessariamente rivelatore di una ricostruzione veritiera. Inoltre è necessario osservare che, nel provvedimento impugnato, si richiama esplicitamente quanto dichiarato da C., che va ad aggiungersi ai riferimenti operati dagli altri due collaboratori, ed il cui portato probatorio non è contestato nelle osservazioni contenute nell’atto introduttivo. Il dato risulta estremamente rilevante al fine di escludere la fondatezza dei rilievi svolti, in quanto è possibile ricavare dalle dichiarazioni in esame la presenza di un gruppo operativo di cui faceva parte il G. che risulta aver commissionato più volte ad uno dei dichiaranti l’importazione dall’Olanda di quantitativi di cocaina, che questi aveva incarico di trasportare in Italia.

Le indicazioni rese danno conto della presenza di un gruppo organizzato, di cui G. faceva parte in funzione apicale, volto alla realizzazione di un numero indefinito di attività illecite della stessa natura, elementi tutti che corroborano in maniera sufficiente, per lo stato della procedura, le accuse formulate nei suoi confronti e contestate nel ricorso. Tali risultanze evidenziano la convergenza esistente tra gli elementi desumibili dalle intercettazioni e quanto apportato alle indagini dai correi, fornendo il necessario riscontro alle loro affermazioni.

Analogamente disancorata dalle risultanze processuali, per come valutate nel provvedimento impugnato, risulta l’osservazione relativa all’impossibilità di ritenere la presenza di un’associazione nell’accordo tra venditore ed acquirente per la mancanza del necessario nesso di stabilità, in quanto è possibile ricavare dalle imputazioni e dalle indicazioni desumibili dalle dichiarazioni dei collaboranti e dai sequestri che le hanno confermate, che al G. è attribuita, tra l’altro, l’attività di importazione costante -con cadenza mensile- di grossi quantitativi di stupefacenti dall’Olanda, che questi svolgeva stabilmente in collaborazione con altre quattro persone, circostanza che giustifica da sola la contestazione associatìva elevata nei suoi confronti, dando conto dell’esistenza della stabilità di accordo necessaria al fine di verificare i presupposti del reato richiamato, e ciò a prescindere dalla possibilità di verifica re la presenza di un vincolo ulteriore avente ad oggetto il rifornimento stabile di particolari clienti.

3. Deve inoltre ribadirsi in questa sede l’autonomia dei fatti oggetto del presente giudizio rispetto a quelli già giudicati dall’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, poichè se è indubbia l’identità di modalità operativa dei partecipi, altrettanto indubbia è la natura chiusa della contestazione operata in quella sede, che indicava l’attività associativa illecita come cessata in data antecedente a quella di inizio dell’odierna contestazione, il che esclude ogni possibilità di ricondurre gli accertamenti in corso al procedimento pendente nella diversa sede. Il ricorrente lamenta che le dichiarazioni di C. abbiano già costituito oggetto della precedente condanna, senza minimamente comprovare tale affermazione che, ove desumibile dalla datazione degli elementi di fatto forniti dal dichiarante, avrebbe dovuto in questa sede costituire oggetto di specifica dimostrazione documentale, e che invece risulta proposta attraverso un’affermazione sfornita di dimostrazione.

4. L’ordinanza impugnata argomenta in maniera ampia ed esauriente sulla sussistenza delle esigenze cautelari. Il ricorrente contesta tali conclusioni sulla base del notevole lasso temporale intercorso dalla verificazione dei fatti, circostanza di fatto irrilevante ove si consideri la particolare pericolosità di G. desumibile non solo dal titolo di reato, ma anche dalla natura perdurante nel tempo dell’attività illecita compiuta in forma organizzata, il cui svolgimento richiede basi operative e contatti illeciti che non si esauriscono nella consumazione dei singoli reati, situazioni in relazione alle quali l’ordinanza correttamente motiva sull’idoneità della misura più rigorosa a garantire dal pericolo di reiterazione, peraltro già valutata necessaria dal legislatore nell’ipotesi di contestazione di reati associativi, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3. 5. Del tutto insussistente è la possibilità di applicare nella specie il computo dei termini di durata della misura stabilito dall’art. 297 c.p.p., comma 3, essendo mancanti tutti presupposti applicativi della disciplina. In particolare, come si è già esposto, stante la precisa delimitazione temporale dei fatti, deve escludersi l’identità di oggetto tra i due giudizi, nonchè la ricorrenza della connessione qualificata richiamata dalla disposizione in esame, non risultando inoltre, per non averlo dedotto lo stesso ricorrente, la desumibilità dei fatti dagli atti del procedimento, al momento dell’emissione della precedente ordinanza.

6. Risulta generica inoltre la contestazione relativa alla mancata individuazione degli elementi essenziali del provvedimento restrittivo, previsti dall’art. 292 c.p.p., poichè da un canto non emerge che l’assenza di specifici elementi sia stata sottoposta al vaglio del Tribunale del riesame ed in secondo luogo in quanto in questa sede non viene indicata quale specifica mancanza sia individuabile nel provvedimento impositivo, su cui il Tribunale non sia intervenuto con la sua pronuncia.

7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma in favore della cassa delle ammende indicata in dispositivo. Si dispone inoltre che a cura della cancelleria si provvede alle comunicazioni prescritte dall’art. all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1/ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1/ter.

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