Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-06-2011) 14-07-2011, n. 27649

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Le difese di G.R., Gu.Ad. e M. C. propongono ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 21/4/2010 che ha confermato l’affermazione di responsabilità pronunciata nei loro confronti dal primo giudice per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni aggravate, nonchè la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

La difesa di G. lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per erronea interpretazione delle dichiarazioni dei testi, a suo dire contrastanti con la tesi d’accusa, contrasti già valorizzati in atto di appello, cui era stata fornita una lettura illogica. Non è stato considerato che il teste B., prima del dibattimento, ha accusato G. solo di aver pronunciato frasi volgari, e non di aver compiuto atti aggressivi, descritti solo in tale seconda fase; il teste Ma. non è stato in grado di identificare l’imputato, mentre il teste R. ha sostenuto di aver trattenuto l’imputato M., contraddicendo quanto riferito da tutti gli altri testi, che hanno individuato questo imputato intento a spintonare i vigili.

Su tali rilievi si lamenta l’omessa motivazione della Corte, sollecitando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. La difesa di Gu. contesta travisamento della prova, con riferimento alla deposizioni F., sulla base della quale deve escludersi la presenza della ricorrente sul luogo dei fatti, mentre in senso contrario vi sono accertamenti inattendibili, a causa della presenza di un grande numero di persone sul luogo, e l’identificazione postuma delle persone coinvolte, intervenuta a seguito della loro presentazione spontanea, che si erano recati alla stazione dei Carabinieri per avere notizie sul congiunto portato in caserma.

Sul punto la Corte, partendo dall’insanabile contrasto tra tali dichiarazioni e quelle rese dalle parti civili, ha ipotizzato una ricostruzione dei fatti che cercasse di armonizzare le risultanze, del tutto priva di agganci reali, laddove le chiare indicazioni del primo teste descrivono la presenza della donna in luogo diverso rispetto a quello ove si svolgevano i fatti, come chiaramente specificato dal teste anche a domanda del P.m., mentre il teste T. ha riferito che la donna era ferma dinanzi all’auto di servizio, intenta ad impedirne la partenza, luogo incompatibile con quello riferito dal teste indifferente; tale contrasto rende impossibile la lettura degli eventi che ha fornito la Corte. A riprova di tale inconciliabilità si richiama quanto affermato dal teste R., il quale chiaramente individua il momento dell’allontanamento del mezzo con quello in cui la ricorrente era svenuta, rendendo del tutto impossibile la ricostruzione operata dal giudice di secondo grado.

Con il secondo motivo si contesta l’erronea applicazione della legge, nella parte in cui la Corte ha ritenuto non applicabile la scriminante di cui al D.Lgs. n. 288 del 1944, art. 4.

Richiamati i principi giurisprudenziali sul punto, e posto l’accento sul rilievo che assume il comportamento del pubblico ufficiale ha nell’accertamento della sussistenza del fatto, si evidenzia che fosse emerso che la donna viaggiava su autovettura diversa da quella del marito, e non aveva avuto modo pertanto di rendersi conto della condotta di questi, notando solo che l’uomo veniva portato via con la forza dai vigili urbani e da altre persone in borghese, e, sentendo i presenti commentare che lo stavano picchiando di nuovo, era intervenuta a gran voce preoccupata per il suo stato di salute, in quanto affetto da grave malattia. Richiamata da un canto la limitata cognizione dei fatti della signora all’atto del suo intervento, dall’altro la particolare energia messa in campo dai vigili per fronteggiare l’alterco, dimostrata anche dal coinvolgimento nella contestazione di un terzo estraneo al nucleo familiare, quale il M., si ritiene possibile valutare la sussistenza dei requisiti della scriminante invocata, anche nella forma putativa.

Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge per l’esclusione dell’applicabilità della scriminante dello stato di necessità, nel presupposto di fatto, erroneo, che la situazione di pericolo, costituita dall’impossibilità per il G., a seguito di quanto accaduto, di assumere il medicinale prescrittogli, fosse stata da lui stesso causata. Per di più nella specie, trattandosi di soccorso di necessità realizzato dalla donna, la scriminante può ritenersi presente anche ove, per errore, ella avesse ritenuto sussistenti le condizioni, come è dimostrato dalla circostanza che la donna, dopo i contrasti verificatisi in piazza, si era portata presso il comando dei vigili per fornire le medicine al marito, comportamento che avrebbe evitato ove fosse stata consapevole del reato di resistenza consumato.

Sulla base di tali circostanze si chiede l’annullamento della sentenza, con le conseguenze di legge.

3. M.C. propone ricorso personalmente e lamenta che la Corte di merito abbia fondato la sua valutazione solo sulle dichiarazioni delle parti civili, malgrado il contrasto di tali affermazioni con le diverse risultanze testimoniali, e la specifica contestazione operata a riguardo nell’atto di appello, rispetto alla quale la motivazione delle sentenza impugnata risulta meramente apparente. In particolare, è stata fornita una chiave di lettura circa le diverse allegazioni degli altri testi, costituita dalla distanza rispetto ai luoghi ove si svolsero i fatti, in contrasto con quanto dagli stessi testi dichiarato in ordine alla loro mancata percezione della scena aggressiva, ma solo di quella nel corso della quale veniva prestato soccorso.

Lamentata sul punto l’apparenza della motivazione, si chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono inammissibili, in quanto in essi, pur denunziandosi travisamento della prova, non viene indicato l’atto o gli atti dai quali dovrebbe desumersi l’esistenza del vizio, limitandosi i ricorsi introduttivi a riproporre i motivi d’appello, la cui fondatezza è stata adeguatamente contrastata, con motivazione esaustiva e coerente, nella pronuncia impugnata.

In particolare non è dato desumere alcun contrasto insanabile tra le ricostruzioni dei fatti offerte dai testi escussi, risultando chiaro dalle loro deposizioni che le differenti versioni rese sono giustificate dai diversi tempi e luoghi di osservazione della scena.

Invero la ricostruzione offerta attiene un’aggressione collettiva, a seguito della quale gli odierni imputati vennero in contatto in tempi successivi con le parti lese, e si allontanarono in tempi diversi dal luogo dei fatti; pertanto è del tutto prevedibile che i testi, collocati in punti diversi, abbiano colto differenti frammetti dell’azione, dalla cui ricomposizione non emerge alcuna radicale inconciliabilità delle ricostruzioni, come compiutamente argomentato sul punto dal giudice di secondo grado.

In riferimento ai pretesi contrasti tra quanto descritto dai testi negli atti redatti immediatamente dopo i fatti e quanto da questi riferito nel corso del dibattimento, non può che richiamarsi la natura di prova solo di quest’ultima dichiarazione, nel corso della cui assunzione non risultano operate contestazioni delle difformità rispetto a diverse risultanze processuali, unica via attraverso la quale è possibile valorizzare i contrasti esistenti e quindi porre in dubbio l’attendibilità della deposizione resa.

2. Quanto alle lamentate violazioni di legge, per omessa applicazione delle scriminanti, si rileva che, con riferimento all’evocazione del D.Lgs. n. 14 settembre 1944, n. 288, art. 4, la stessa prospettazione difensiva esclude la sussistenza dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale, del tutto pacifico essendo, sulla base delle prove assunte, che G. si contrappose in maniera violenta e priva di alcuna valida motivazione, all’esercizio dell’attività di regolazione del traffico realizzata dagli agenti, i quali nel condurlo in caserma per l’identificazione non realizzarono alcun atto arbitrario.

Nè quanto alla Gu., emerge da alcun atto, ingiustamente non valutato, che prima di reagire si sia informata su quanto stava accadendo, il che esclude che la sua condotta possa essere scriminata ai sensi della citata Legge, art. 4, la cui applicazione presuppone, quanto meno, una verifica da parte dell’agente della illegalità dell’intervento delle forze dell’ordine a cui si contrappone. A fronte di tale omissione, e dell’indubbia resistenza realizzata, non assume alcuna valenza la condotta successiva al reato, costituita dall’essersì portata in caserma, che al più può essere dettata da un inconsapevolezza dell’illiceità del comportamento tenuto, convinzione soggettiva irrilevante ove non fondata su elementi di fatto legittimanti la condotta costituente reato.

Analogamente la Corte risulta aver compiutamente argomentato sulla insussistenza del dedotto stato di necessità, mancando a tacer d’altro, la prova di nesso di correlazione funzionale tra azione compiuta dalla donna e irreparabilità del danno, non risultando che quest’ultimo derivasse da un preteso ritardo nell’assunzione di una terapia, per di più esclusivamente evocata.

3. Con riguardo alle specifiche contestazioni di M. il richiamo operato dai testi alla viva resistenza da questi opposta all’accompagnamento di G. in caserma, con aggressioni realizzate all’indirizzo degli operanti ed opposizione manifestata con colpi all’autovettura di servizio, al fine di impedirne l’allontanamento, comportamenti di cui si è dato pienamente conto in sentenza, attesta la completezza del provvedimento, e l’assenza di contraddizioni interne riconducibili al dedotto travisamento della prova, circostanze che conducono ad escludere la ricorrenza nella sentenza impugnata, dei vizi evocati nel ricorso.

4. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado, nonchè ciascuno al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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